Biografie cristologiche/Nuovo Testamento e antiebraismo: differenze tra le versioni

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==Più di un profeta==
Quando la discussione si sposta da versetti individuali ai Vangeli nel loro complesso, cominciano ad apparire spiegazioni aggiuntive (se uno le accetta) o scuse (se uno cerca dell'apologetica) sui passi neotestamentari potenzialmente antiebraici.<ref name="Amy5">Amy-Jill Levine, "Anti-Judaism and the Gospel of Matthew", in W. Farmer (cur.), ''Anti-Judaism and the Gospels'', Trinity Press International, 1999.</ref> Alcuni studiosi concludono che il Gesù dei Vangeli debbe essere paragonato ai profeti di Israele, il cui livello di rimproveri alla popolazione era tanto alto, se non più alto, delle invettive di Gesù contro gli scrivi ed i Farisei. Altri insistono che il Nuovo Testamento sia un libro ebraico scritto da ebrei, e quindi non possa essere antiebraico. Entrambi gli argomenti hanno merito, ma nessuno dei due alla fine convince.<ref name="Amy4">Amy-Jill Levine, ''The Misunderstood Jew, cit.'', pp.110-117.</ref>
 
Gesù sembra proprio un profeta. Come [[w:Libro di Geremia|Geremia]], predice la distruzione del Tempio (cap. 25); come [[w:Libro di Osea|Osea]], vuole "l'amore e non il sacrificio" (6:6). Condanna i capi che non seguono le vie del Signore — insomma, ciò che i profeti hanno sempre fatto. Se [[w:Libro di Amos|Amos]] fosse stato vivo nel primo secolo, avrebbe benissimo potuto fare molti dei pronunciamenti che iniziano con "Guai a voi, scribi e farisei" (Mt 23). Tuttavia, sebbene Gesù stesso possa essere percepito quale erede del lascito di Amos e Geremia, i Vangeli lo presentano come più di un profeta. Egli è, secondo gli Evangelisti, il Figlio di Dio, che aggiunge un ulteriore elemento all'impegno profetico riguardo alla giustizia. Va ben oltre il ruolo di Isaia e di Michea, che cercano quello che in ebraico si chiama ''[[w:Teshuvah|t`shuvah]]'' (תשובה), ritorno e pentimento. Gesù dei Vangeli cerca qualcosa di nuovo, specificamente, di seguirlo. È importante non solo per quello che dice, ma anche per quello che è.<ref name="Amy4"/><ref name="Amy5"/>
==Libro ebraico?==
 
Anche il contesto narrativo disturba l'analogia profetica. Sia i profeti che i bersagli delle loro invettive si riconoscevano tutti come membri della stessa comunità; la comunità ebraica conservava le parole dei profeti e si riconosceva quale destinataria dei messaggi dei profeti. I pronunciamenti profetici sono tuttora letti nelle sinagoghe e compresi di significato per gli ebrei attuali. Ciò non è il caso delle narrazioni di Matteo o Giovanni. I Vangeli non furono scritti né conservati per la comunità ebraica; non vengono letti nelle sinagoghe. Petanto, qualsiasi valutazione del linguaggio di Gesù come non antiebraico perché somiglia ad un profeta ignora il contesto narrativo evangelico. Una volta che il contesto delle parole di Gesù viene spostato, tali parole necessariamente assumono nuove connotazioni. Il pubblico al quale Gesù parlò non è in discussione: Gesù era un ebreo che parlava ad altri ebrei, o come la mette Matteo, "alle pecore perdute della casa di Israele" (Mt 10:6; 15:24). Tuttavia, una volta che le parole di Gesù vengono poste nelle narrazioni evangeliche ed indirizzate alle chiese cristiane, i commenti enunciati ''agli'' ebrei vengono presi, dalla chiesa come anche dalla sinagoga, come commenti enunciati ''contro'' gli ebrei. Quando i lettori cristiani si identificano con Gesù e seguaci, allora Gesù insieme agli apostoli, alle donne fedeli, a Giuseppe d'Arimatea, e altre compassionevoli figure vengono viste come (proto)cristiani. Gli "ebrei" rimangono, come dice Matteo, coloro che affermano che i discepoli rubarono il corpo di Gesù o, come dice Giovanni, i "figli del diavolo".<ref name="Burton"/><ref name="Boya1"/>
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==Libro ebraico?==
Estendendo l'interpretazione che Gesù dovrebbe essere visto come un profeta e quindi non possa essere antiebraico, è l'argomento che il Nuovo Testamento sia un libro "ebraico".
 
 
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[[Categoria:Biografie cristologiche|Nuovo Testamento e antiebraismo]]