Guida maimonidea/Interpretazione ed ermeneutica: differenze tra le versioni

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[[File:William Blake - Moses Receiving the Law - Google Art Project.jpg|thumb|''Mosè riceve la Legge'' (disegno di [[w:William Blake|William Blake]], 1780)]]
La condizione speciale di Mosè nella concezione maimonidea della ''halakha'' è evidente in un'altra componente della sua filosofia halakhica: la relazione tra ''halakhah'' e profezia. Diverse discussioni talmudiche stabiliscono che "non è in cielo", che una volta che la Torah fu data a Mosè, nessun profeta ha il permesso di aggiungere o interpretare i comandamenti per via profetica. La Torah fu trasmessa dai saggi, che la interpretano in virtù di tradizioni ricevute o proprie facoltà di raziocinio. Quedsto principio aveva delle eccezioni nel Talmud stesso, e vari halakhisti cercarono supporto da illuminazioni divine nel determinare la ''halakhah''. Quindi, per esempio, esiste una raccolta di ''responsa'' di R. Jacob di Marvege intitolata ''Responsa dal cielo (She`elot u-Teshuvot min ha-Shamayim)''. Tra tutti gli halakhisti medievali, Maimonide differenzia in maniera del tutto inequivocabile tra la ''halakhah'' e la profezia. Inoltre, assegna a questa differenziazione un nuovo significato concettuale, che riguarda la sua concezione di autorità profetica.<ref name="Bertal1">Moshe Halbertal, ''Maimonides: Life and Thought'', Princeton University Press, 2013, pp. 126-133.</ref>
 
Nella sua introduzione al ''Commentario alla Mishnah'', Maimonide afferma che la profezia è completamente inefficace ad interpretare la Torah: "Sappi che la profezia non è efficace allo studio e interpretazione della Torah e a derivarne branche mediante i tredici principi ermeneutici; piuttosto, quello che [i profeti] Giosuè e Fineas ficere nei reami dell'analisi e dell'analogia è lo stesso di quello che fecero [i saggi talmudici] Ravina e R. Ashi" (Introduzione al ''Commentario alla Mishnah''). Un profeta che pretenziosamente faccia leggi o che anche decida controversie tra i saggi tramite la profezia comprova di essere un falso profeta e degno di morte per strangolamento: "Ma se un profeta asserisce che Dio gli ha dettato una decisione in merito ad un certo comandamento, o che la tale o tal'altra analogia è corretta — quel profeta sarà messo a morte perché è un falso profeta, come abbiamo stabilito; non esiste Torah successiva al primo agente [cioè, Mosè] — niente aggiunta o sottrazione — poiché «non è in cielo»" (''Ibid.''). Il principio di "non è in cielo" non solo pone dei limiti sull'intervento profetico nel processo halakhico; ma determina anche se la profezia sia vera o falsa. Pertanto un profeta che profetizza su materie halakhiche non ha riconoscimento, e oltrettutto è un falso profeta che si merita la pena capitale.<ref name="Bertal1"/>
Questa interpretazione è approfondita nella ''Mishneh Torah'', Leggi delle Fondamenta della Torah. Secondo Maimonide, l'autorità profetica non si basa sulla produzione di miracoli, che è facilmente passibile di frode e inganno. La personalità del profeta e la sua reputazione come essere umano sono ciò che gli conferisce credibilità:
{{q|Non tutti coloro che manifestano segni o meraviglie sono reputati di essere profeti. Piuttosto, se una persona che fu precedentemente nota come idonea alla profezia per la sua saggezza e le sue azioni, che sorpassano quelle dei suoi contemporanei, e poi osserva i metodi, la santità e l'ascetismo della profezia, e in seguito esegue un segno o meraviglia e afferma di essere inviato da Dio — c'è un comandamento di ascoltarlo, poiché è scritto (Deuteronomio 18:15): "A lui darete ascolto."|Leggi delle Fondamenta della Torah 7:7}}
 
==Note==