Guida maimonidea/Gli obiettivi del Commentario alla Mishnah: differenze tra le versioni

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Tuttavia Maimonide andò anche oltre. Nella sua introduzione alla ''Mishnah'', elencò quattro fini che aveva posto al suo commentario; da questi si deduce che questa sua opera era progettata per preparare il terreno alla composizione della ''Mishneh Torah''. Il primo fine è quello di conoscere l'interpretazione della ''Mishnah'' secondo le conclusioni della discussione talmudica: "Poiché se chiedi al più grande dei ''Geonim'' di spiegare la legge in base alla ''Mishnah'' — egli non sarebbe in grado di dir nulla a meno che non si ricordi cosa dice il talmud in merito a quella legge... e nessuno è capace a ricordarsi l'intero Talmud" (''Introduzione alla Mishnah''). Il secondo fine è di decidere tra le varie opinioni quando la ''Mishnah'' registra una controversia e di indicare quale opinione viene seguita. Il terzo fine è di servire come un "prontuario per lo studioso novizio; da questo egli capirà come esaminare le parole ed il loro significato e sarà come colui che si è passato tutto il Talmud. Questo lo assisterà molto in tutto il Talmud" (''Ibid.''). Il quarto fine è di assistere coloro che hanno già studiato e padroneggiato il Talmud a ricordare e riesaminare.<ref name="Hartman1"/>
 
Il ''Commentario alla Mishna'' pertanto serve due obiettivi generali, che caratterizzeranno l'approccio successivo di Maimonide alla ''halakhah''. Il primo obiettivo è di comporre un'opera che renda possibile organizzare e raffinare i principi e i fondamenti del materiale halakhico nell'ambito delle discussioni convolute del Talmud. Spiegando la ''Mishnah'' secondo l'interpretazione del Talmud, Maimonide concisamente riassume discussioni prolungate e a volte difficili da seguire. La ''Mishnah'' è organizzata e succinta e può quindi essere usata per imporre ordine, organizzazione e brevità al caos del talmudTalmud. Maimonide pensò che il suo commentario venisse a fornire ai principianti i rudimenti globali dell'intero corpus della legge ebraica e aiutasse studiosi più esperti a ricapitolare e ricordare ciò che avevano imparato. Il principio organizzativo e riassuntivo che sottosta all'opera fa luce sul perché Maimonide occasionalmente interrompesse la continuità del suo commentario alla ''Mishnah'' per introdurre delle osservazioni sui principi di varie aree della ''halakhah''. La sua introduzione al Trattato ''Taharot'' è un capolavoro che rende chiara un'area estremamente ardua della ''halakhah''. Esempi aggiuntivi includono le sue osservazioni sulle leggi di ''muktzeh'' e ''nolad'' — categorie di oggetti che non possono essere spostati durante lo Shabbat — all'inizio del Trattato ''Beitza''; principi di [[w:Levirato|levirato]] e di divorzio all'inizio del Trattato ''Yevamot''; principi di relazioni sessuali proibite nel Trattato ''Sanhedrin'' (7:4); principi di punzioni corporali inflitte da tribunali rabbinici nel commentario al Trattato ''Makkot''; e altri.<ref name="Yuval">Yuval Sinai, "Maimonides` Commentary on the ''Mishnah'' and Clarifications of Rulings in ''Mishneh Torah''", ''Shenaton ha-Mishpat ha-Ivri'' 23, 2005, pp. 225-251 (in ebr.)</ref> Il secondo obiettivo del ''Commentario alla Mishnah'' è quello di emettere decisioni halakhiche su ogni ''Mishnah'' secondo le decisioni del Talmud Babilonese. Le decisioni halakhiche nel suo commentario illustrano la posizione basilare di Maimonide, che sottende alla sua composizione della ''Mishneh Torah'' — che lo scopo di studiare la ''Mishnah'' ed il Talmud è quello di decidere la ''halakhah''.<ref name="Yuval"/>
 
Questi due punti centrali — l'organizzazione e la decisione halakhica — stanno al cuore della ''Mishneh Torah'' quale opera halakhica onnicomprensiva. Stabilendo la ''Mishnah'', grazie al suo commentario, come un'opera da studiarsi per conto suo, Maimonide affermò il suo proposito basilare del concetto di ''halakah'', che raggiunse la sua maturazione ultima nel suo ''magnum opus''. Come si vedrà successivamente, Maimonide considerò la ''Mishanh'' quale precedente della sua ''Mishneh Torah''. Si identificò con la figura di R.<ref>Quando apposta, l'abbreviazione "R." sta per "Rabbi/Rabbino".</ref> [[w:Giuda il Principe|Judah ha-Nasi (Giuda il Principe)]], il redattore della ''Mishanh'', che a suo tempo aveva formulato la base della ''halakhah'', e che da allora aveva continuato a crescere e svilupparsi. Scrivendo un commentario alla ''Mishnah'' che incorporava interpretazioni del Talmud babilonese, ma senza l'estenuante discorso che aveva portato a quelle interpretazioni, Maimonide gettò le fondamenta e preparò la strada alla ''Mishneh Torah''.<ref name="HalbertalM"/>
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La concentrazione di Maimonide sulle componenti basilari del pensiero halakhico scaturiva sia del suo interesse generale nella filosofia sia della sua affiliazione alla più ampia cultura islamica, in cui la filosofia giuridica era un campo altamente sviluppato. Inoltre la sua trattazione della base teorica della ''halakhah'' nel ''Commentario alla Mishnah'' era inteso come una preparazione anticipata alla sua impresa monumentale, la ''Mishneh Torah'', per imporre una struttura ordinata, esaustiva e sistematica al discorso talmudico. Tale impresa costrinse Maimonide a sviluppare un'impalcatura nella quale potesse assimilare, raffinare e formulare il discorso talmudico in modo razionale.<ref name="HalbertalM"/><ref name="Drazin"/>
 
Formulare una filosofia coerente e onnicomprensiva della ''halakhah'' era una delle componenti principali della metodologia maimonidea, in contrasto con i principali halakhisti del XII secolo in Francia e Provenza. Questi halakhisti, contemporanei di Maimonide, prepararono la strada alla nascita della letteratura delle ''[[w:novella|novellae]]'' e videro lo scopo dello studio talmudico come un ampliamento del discorso talumdico stesso. I [[w:Tosafisti|Tosafisti]] , i commentari di Ra`abad, e le novelle di [[w:NachmanideNahmanide|Naẖmanide]] e della sua scuola rappresentano una espansione continua del commentario al Talmud, proprio come il Talmud stesso, fino al suo completamento, fu un'opera in perenne crescita. Coloro che incrementarono il discorso talmudico generalmente non si preoccupano della base teorica della ''halakhah'', che può essere caratterizzata contemplandola dall'esterno. Maimonide fu quindi il primo halakhista a formulare una filosofia sistematica della ''halakhah''.<ref name="Drazin"/>
 
Come per altre aree, Maimonide formulò una filosofia della ''halakhah'' indipendentemente ed in opposizione alla tradizione geonica convenzionale. È bene quindi articolare prima l'approccio prevalente tra i ''Geonim'' alle questioni fondamentali della filosofia halakhica. Nell'introduzione al ''Libro della Tradizione'' di Abraham Ibn Daud (XII secolo), l'autore riassume in termini semplici l'approccio di gran parte dei ''Geonim'':
{{q|Ho scritto questo ''Libro della Tradizione'' per informare gli studenti che tutte le parole dei nostri rabbini, saggi della Mishnah e del Talmud, furono tutte ricevute — da grande e giusto saggio a grande e giusto saggio; da capo di ''yeshivah'' e sua corte a capo di ''yeshivah'' e sua corte — da Uomini della Grande Assemblea, che le ricevettero dai profeti, di benedetta memoria. I saggi del Talmud e ''a fortiori'' i saggi della ''Mishnah'' non esternarono mai i propri pensieri, anche in piccole questioni, ad eccezione di regole istituite con consenso onde poter costruire un recinto intorno alla Torah. Se una persona ripiena di spirito d'eresia di sussurra che dubita le parole dei saggi perché dibattono in molti punti, spezzagli i denti e informalo che è un ribelle secondo il tribunale rabbinico; i nostri saggi non hanno mai dibattuto gli aspetti centrali di un comandamento, ma solo i suoi dettagli. Udirono degli aspetti centrali dai loro mentori ma non chiesero i dettagli poiché non furono apprendisti adeguati. Pertanto non argomentarono se uno debba accendere una candela alla vigilia dello Shabbat; dibatterono cosa uno possa accendere o meno. Similmente, se fossero o meno obbligati a recitare lo ''Shema'' mattina e sera — di che cosa discussero? Quando fosse necessario recitarlo la sera e quando la mattina. Lo stesso fecero con tutte le altre affermazioni.|''Libro della Tradizione'', Introduzione<ref>Abraham Ibn Daud, ''The Book of Tradition (Libro della Tradizione)'', trad. ingl. Gershon Cohen (cur.), Jewish Publication Society, 1967.</ref>}}
 
Secondo questo approccio, che potremmo chiamare col termine "impostazione corroborante",<ref>M. Halbertal, ''op. cit.'', p. 101.</ref> la rivelazione del Sinai conteneva tutta la conoscenza halakhica necessaria. I saggi non inventarono nulla per conto loro, e l'autorità della Torah Orale viene ancorata in una tradizione che trasmise il contenuto specifico della rivelazione a generazioni successive. Secondo questo concetto, il proposito del ''Libro della Tradizione'', o di qualsiasi altra opera sulla storia della ''halakhah'', è quello di tracciare una catena ininterrotta e attendibile di trasmettitori, che assicurino la continuità dalla ''halakhah'' come fu data sul Sinai attraverso la ''halakhah'' della ''Mishnah'' e del Talmud fino al momento in cui l'opera fu scritta.
 
Tale approccio che, tra l'altro, si formò come reazione alle polemiche coi [[w:Caraiti|Caraiti]], che mettevano in questione l'autorità della Torah Orale, doveva confrontarsi col fenomeno della '''''controversia'''''. Se l'intero corpo della ''halakhah'' era stato dato, nel suo completo, sul Monte Sinai, perché allora i saggi dibattevano ciò che dovevano conoscere in virtù della tradizione? La risposta data è che tale controversia si generò come risultato di una interruzione nella trasmissione delle informazioni halakhiche.<ref name="Blid">Jacob Blidstein, "Tradition and Institutional Authority: On the Idea of the Oral Law in Maimonides` Teaching", ''Da`at'' 16, 1976, pp. 11-27 (in ebr.)</ref> Per esempio, la risposta alla domanda su quando lo ''Shema'' debba essere recitato alla sera fu data al Sinai, ma a causa della negligenza di studenti che non appresero sufficientemente presso i loro maestri, la risposta fu dimenticata e perduta. Come risultato di tale interruzione e perdita, i saggi dovettero ripristinare la conoscenza perduta usando i propri intelletti. Ecco perché dibattono sul senso dell'espressione "quando giaci" che dovrebbe essere l'indicazione della Torah Scritta in merito al tempo opportuno per lo ''Shema'' serale.<ref name="Blid"/>
 
L'approccio di Ibn Daud e della maggioranza dei ''Geonim'' basa l'autorità della ''halakhah'' nella sua interezza sulla rivelazione al Sinai, ma sottosquadra la credibilità della tradizione onde poter spiegare la proliferazione della controversia. Per questa ragione, Abraham Ibn Daud tenta di marginalizzare le controversie halakhiche per poter salvaguardare la tradizione dall'essere completamente compromessa e minata: i saggi non furono in disaccordo sull'obbligo di recitare lo ''Shema'' di sera, ma solo sui momenti in cui si poteva fare. Similmente, non furono mai in disaccordo sul dovere di accendere le candele per accogliere lo Shabbat, ma solo sui tipo di combustibile che poteva essere usato, "cosa uno possa accendere o meno". Tuttavia, il nucleo della tradizione era conservato, anche se la controversia attesta i difetti della catena di trasmissione. In questo concetto, il processo di trasmissione corrotta che porta alla controversia incide solo sui margini della conoscenza halakhica.<ref name="Blid"/>
 
==Note==
<references/>
 
 
{{Avanzamento|25%|14 ottobre 2014}}