Guida maimonidea/La forza di Maimonide: differenze tra le versioni

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conclusione del capitolo
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Spostare le colpe non è un modo efficace per trattare l'abbandono. Japhet aveva certamente avuto notizie dei guai che Maimonide aveva subito, e Maimonide aveva ricevuto le condoglianze per la morte del padre da tutto il mondo, inclusi luoghi ben più remoti della Terra d'Israele. Japhet tuttavia non vide necessità di mettersi in contatto con Maimonide in tali sue difficili occasioni, e scrive solo ora, quando necessita di assistenza. Maimonide interpreta le parole di Japhet con l'osservazione che "Apparentemente, questo è il caso di uno che viene ad ammonire gli altri ma dovrebbe egli stesso essere ammonito". Nulla di ciò, comunque, esenta Maimonide dal dovere di aiutare questa sua passata conoscenza, che aveva ospitato la sua famiglia in Terra Santa. Alla fine della Lettera, ritorna sul tema: "Sarei certamente stato giustificato a non rispondere alla tua lettera appena arrivata. Ma il mio amore per te, che mi è rimasto costante nel cuore, non può essere reciso e non mi dimenticherò mai di quando camminammo insieme tra deserti e foreste cercando Dio. Non ti porterò quindi rancore poiché l'amore oblitera ogni iniquità" (''Ibid.'', p. 73).
 
==Tensione interiore e integrità==
Grazie alle sue abilità personali e politiche, l'émigré dell'Andalusia aveva raggiunto il pinnacolo della comunità ebraica egiziana. Aveva combattuto con famiglie rinomate e di lunga tradizione per ottenere la posizione di ''ra`is al-yahud'' e, praticando come medico, era sopravvissuto agli intrighi di corte del Sultano. Il suo coinvolgimento con l'ambiente sociale è un elemento centrale non solo della sua ascesa a grandezza istituzionale ma anche e soprattutto della sua ''oeuvre'' intellettuale. Tale produzione, come già notato, doveva creare un cambiamento profondo nella vita ebraica.<ref name="Hartman"/>
 
La spinta ad esercitare leadership comunale e a produrre una serie di opere trasformatrici indica un altro aspetto della personalità di Maimonide, uno che ricorre nei propri commenti su se stesso. Riguarda la lotta interiore causata dalla tensione tra influenza e integrità personale. L'impegno di raggiungere una posizione di vasta influenza politica ed intellettuale può rendere una persona troppo preoccupata di come gli altri la considerino. Tale sorta di dipendenza non si sarebbe prodotta se Maimonide si fosse limitato ai "quattro cubiti di ''halakhah''" e alla filosofia, o anche se si fosse intromesso solo occasionalmente nelle problematiche del giorno. Maimonide cercava di sfuggire questa situazione e raggiungere un'indipendenza interiore, ma non abbandonò mail il suo desiderio di esercitare influenza. Una chiara prova di questa sua convinzione la si può riscontrare nelle lettere al suo studente Joseph, che contengono riflessioni acute e malinconiche sul rischio di perdere indipendenza quale prezzo di influenza e stato:
{{q|Il mio onorato figlio ben sa che gli alti uffici governativi che certi ebrei occupano oggi non sono cosa che considero un segno di successo... piuttosto, alla fine sono un gran peso, una fonte di problemi ed esaurimento. L'uomo perfetto che ottiene vero successo è colui che si concentra sul successo religioso, facendo ciò che è obbligato a fare e prendendo le distanze dalle opinioni di tutta la gente e dalle vie sbagliate e da caratteristiche offensive. Poiché colui che detiene una posizione importante soffre molti dispiaceri e preoccupazioni, ad evitare che i gentili lo deridano e lo svergognino o che cada in disgrazia del governo e lo tormentino e gli spezzino le ossa. E se sta attento alle persone e cerca di compiacerle, egli trasgredisce la Legge di Dio, che Egli sia glorificato, esercitando adulazione e dimostrando favoritismo.|''Iggerot'', pp. 262-263}}
Maimonide quindi reputava le posizioni importanti un onere che si è obbligati a sopportare. Tuttavia, un altro osservatore, un mussulmano che ammirava l'eminenza medica e filosofica di Maimonide, gli attribuiva un vera ambizione politica: "Egli [Maimonide] sentiva grande amore per il comando e il servizio presso i sovrani del mondo" (Ibn Abi Uşaybi`a, p. 117).<ref>Ibn Abi Uşaybi`a, "Uyun al-anba` fi taqabat al-atibba", Nizar Rida (cur.), Beirut:Mataba`at al-hayat, s.d. - cfr. M. Halbertal, ''op. cit.'', p. 88.</ref> Ad ogni modo, il tono della lettera di Maimonide a Joseph mostra che il primo riconosceva la necessità di accontentare la gente onde proteggere la fragile misura di potere che uno era riuscito ad ottenere.<ref name="Halbertal2"/>
 
La dedica del suo libro sui veleni fornisce una rapida visione delle dipendenza e della necessità di adulare che furono parte della vita politica di Maimonide. Il libro era dedicato al suo patrono, il visir al-Faḍil, la cui grandezza viene descritta in termini abbondantemente esagerati nell'introduzione. Maimonide cita, tra le altre cose, i trionfi militari del visir contro i crociati, accreditandogli la loro espulsione dalle città sante e il trionfo del monoteismo. L'anelare di Maimonide verso la persona perfetta, incurante dell'opinione pubblica, comunica il suo sforzo di conservare una sua integrità interiore nell'ambito delle circostanze in cui lavorava.<ref name="Halbertal2"/> Tale tensione interiore è palese non solo nel concetto che Maimonide ha della sua statura morale, ma anche nel suo atteggiamento riguardo alla ricezione della ''Mishneh Torah''. L'accettazione pubblica del suo ambizioso e profondo trattato era importante per il proprio successo e, come si vedrà, confermò la sua autorevolezza. Maimonide fece di tutto per diffondere il trattato e si compiacque delle notizie che ricevette circa la ricezione della sua opera. Ma la sua aspirazione a vedere l'opera largamente distribuita fu accompagnata da uno sforzo considerevole a sentirsi interiormente libero da qualsiasi preoccupazione riguardante critiche del libro e a prepararsi in anticipo nel caso avesse ricevuto delle delusioni. Tale sforzo psicologico risuona nei commenti che Maimonide scrive a Joseph reagendo al resoconto di quest'ultimo in merito ad attacchi contro la ''Mishneh Torah'' a Baghdad:
{{q|Sappi che non scrissi questo trattato per poterne ricavare gloria a Israele o acquisire rinamanza per me stesso... Piuttosto, lo scrissi — come Dio sa — in primo luogo per me stesso, onde rendere più facile trovare ciò che potrebbe servirmi; e, nella mia vecchiaia, per amore di Dio, che sempre sia glorificato; poiché, com'è vero che Dio vive, sono stato zelante a nome del Signore Iddio di Israele, vedendo che una nazione mancava di un libro vero e onnicomprensivo delle sue leggi e carente di opinioni veritiere e chiare; così feci quello che feci solo per amor di Dio.|''Iggerot'', pp. 300-301}}
 
Nella sua lotta per una libertà interiore e un'indipendenza dal suo ambiente, Maimonide usò due strategie: una fu il suo ritirarsi in se stesso, dentro l'"Io", una posizione trasmessa dalla sua affermazione di aver scritto il trattato in primo luogo e soprattutto per se stesso. L'altra fu il suo impegno ad andare oltre il suo ambiente e porsi davanti a Dio, per il Cui amore aveva scritto il trattato.<ref>[http://books.google.co.uk/books/about/Introduction_to_the_Code_of_Maimonides_M.html?id=GR2tIAAACAAJ&redir_esc=y Isadore Twersky, ''Introduction to the Code of Maimonides (Mishneh Torah)''], Yale University Press, 1980.</ref> Queste due strategie — una personale, l'altra esaltata; una che implicava il ritiro dal suo contesto sociale e l'altra un'ascesa a superarlo — erano intese a forgiare quell'indipendenza descritta da Maimonide più avanti nella lettera:
{{q|E se succede che la gente metterà in dubbio il mio timore di Dio o quello che ho operato, pazienza. E tutto ciò, figlio mio, come è vero Iddio, non mi angoscia, anche se ne sono testimone mentre me lo fanno davanti. Invece, la mia parola sarà calma, e resterò in silenzio o risponderò in tema. Poiché la loro noncuranza della verità è molto peggiore di ciò. Non mi difenderò, dato che il rispetto di me stesso ed i miei attributi richiedono che io rimanga in silenzio con gli stolti, senza combattere con loro.|''Iggerot'', p. 304}}
 
Esiste anche un altro argomento che ricorre nella posizione di Maimonide riguardo al suo ambiente. La tentazione di impegnarsi in discussioni, nelle quali uno possa perdere la propria dignità ed indipendenza, è sostituita da una dura critica dei suoi antagonisti che Maimonide si permette di esprimere solo a se stesso ed ai suoi intimi. Questo duro giudizio consente a maimonide di espellerli dalla sua sfera d'interesse, come si può constatare dalle sue mordenti osservazioni, trasmesse a Joseph, in merito a Zechariah ben Berakhel, genero di Samuel Ben Eli: "Ma questo mastro Zechariah — è un uomo molto ingenuo, che si istruisce e si sforza in quelle aree di discussione e commentario, e si reputa unico della sua generazione ad aver ottenuto grandezza... come posso prestargli attenzione, pover'uomo stolto in tutte le materie, che per me è solo come fosse un neonato; tuttavia bisogna concedergli il beneficio del dubbio a causa della sua follia" (''Iggerot'', pp. 304-305).
 
La sincerità di Maimonide con Joseph riguardo al suo stato interiore, ci permette di raggiungere una comprensione più profonda del suo pensiero durante una delle più difficili confrontazioni della sua vita. Rivela ciò che succedeva al di là della corrispondenza ufficiale tra gli halakhisti che si confrontavano, almeno putativamente, in una disputa sulla Torah. Al centro del dramma interiore di Maimonide si trova la tensione tra il suo impulso ad ottenere influenza ed il suo desiderio di conservare libertà ed indipendenza. Il faticoso programma giornaliero alla fine della sua vita fu l'alto prezzo che Maimonide pagò per la fama che raggiunse, ma si battè strenuamente affinché tale prezzo non penetrasse il suo essere più profondo.<ref name="Halbertal2"/><ref name="Davidson"/>
 
L'ascesa di Maimonide come forza di cambiamento, come figura con le qualità di un fondatore di religione, avvenne nel contesto di due grandi perdite. Una fu la distruzione dell'Andalusia, la sua gloriosa terra natia, e la susseguente fuga nel Maghreb, con le rispettiva persecuzione religiosa, e poi in Egitto, una regione relativamente più povera. Tutti questi fattori inculcarono nella conscienza di Maimonide l'impressione di una crisi halakhica e filosofica. Tale impressione, congiunta ai rari talenti intellettuali di Maimonide, le sue origini andaluse, le sue abilità personali e politiche, ed il suo potente senso di missione, lo trasformarono in uno che si percepì — e fu percepito da quelli intorno a lui — come il "Mosè della sua generazione".<ref name="Davidson"/><ref name="Kraemer1"/>
 
L'altra perdita, la morte di suo fratello, lo colpì ad un livello più intimo. La tragedia fece quasi morire Maimonide di crepacuore e lo lasciò distrutto per lungo tempo, deprivandolo anche dei mezzi economici e psicologici per sopravvivere da immigrato in terra straniera. Per necessità pratiche, la perdita gli fece ottenere enormi successi medici e istituzionali presso la corte del Sultano — cosa che però gli consumò drammaticamente tempo e salute. Le lettere che sono sopravvissute rivelano che, dietro la figura distante e estremamente sicura di sé, si celava un uomo sofferente, di personalità sensibile e delicata, che combatteva, tra le altre cose, con la difficoltà di mantenere un equilibrio, la perdita di libertà e la dipendenza da altri che vengono col potere e l'influenza.<ref name="Davidson">[http://books.google.co.uk/books?id=ehlbFPJPPgQC&dq=Davidson,+Herbert+A.,+%27%27Moses+Maimonides+the+Man+and+His+Works%27%27&source=gbs_navlinks_s Herbert A. Davidson, ''Moses Maimonides the Man and His Works''], Oxford University Press, 2005, pp. 545-556 e Cap. 10 ''passim''.</ref>
 
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{{Avanzamento|75100%|1617 ottobre 2014}}
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