Guida maimonidea/La forza di Maimonide: differenze tra le versioni

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Dopo aver risposto esaurientemente alla domande di Joseph, una ad una, Maimonide affronta un problema particolarmente delicato. Aveva sentito che Joseph aveva difeso il suo (di Maimonide) onore a Baghdad e affrontato il rivale in suo nome. Nonostante tutto l'affetto e supporto che Maimonide sentiva per Ibn Jabir, non aveva certamente interesse che questi gli servisse da ambasciatore a Baghdad; ma come poteva dire a Joseph di astenersi dal combattere le sue battaglie senza insultarlo o sembrare di rigettare la sua lealtà? Maimonide risolse la faccenda con delicatezza e umorismo:
{{q|Ho sentito — sebbene io non sappia se sia vero o no — che c'è qualcuno che parla male di me e cerca di acquisire onore calunniandomi o falsando i miei insegnamenti. Ho inoltre sentito che tu hai protestato contro ciò e sgridato il calunniatore. Non agire così! Io perdono chiunque mi opponga a causa di ignoranza, specialmente se da tale opposizione gliene deriva un vantaggio senza che mi danneggi. Poiché non siamo forse obbligati ad astenerci dall'adottare i tratti di Sodoma nei casi in cui uno derivi un beneficio e l'altro non ne accusi danno?|''Ibid.'', p. 94}}
 
I critici di Maimonide derivano benefici dagli attacchi contro di lui, il che li fa sembrare saggi a coloro che li circondano. Ma poiché Maimonide non dà importanza ai loro attacchi e ne è totalmente indifferente, la situazione invoca il detto talmudico che se '''A''' riceve beneficio da una qualche azione che in nessun modo svantaggia '''B''', sarebbe erroneo — "il tratto di Sodoma" — per '''B''' deprivare '''A''' di tale beneficio. Se Joseph continuasse a dar battaglia a nome dell'onore di Maimonide quando i capi della yeshivah di Baghdad derivano beneficio dal calunniare, egli agisce alla maniera del popolo di Sodoma. Dato che Maimonide stesso aveva scritto alquanto duramente in altri contesti dei rivali di Baghdad, l'eleganza arguta della sua risposta qui è ancor più sorprendente.<ref name="Geniza"/>
 
La corrispondenza di Maimonide con Ovadyah il proselita mostra un trattamento delicato e sensibile di una materia personale che aveva anche implicazioni più ampie. Ovadyah si era rivolto a Maimonide dopo essere stato offeso dal suo rabbino, che non viene nominato nella missiva. L'incidente tra Ovadyah ed il suo rabbino si centrava su due questioni: la prima era se Ovadyah potesse reciater le formula della preghiera convenzionale che si riferiscono agli antenati, come "nostro Dio e Dio dei nostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, e Dio di Giacobbe." Dato che Abramo, Isacco e Giacobbe non erano gli avi biologici del proselita, il rabbino sentenziò che a Ovadyah era proibito recitare tali passi. La seconda questione verteva sull'opinione ebraica dell'Islam — era monoteistico o idolatro?<ref name="Geniza"/>
 
La prima questione era già stata affrontata nella ''Mishnah'' e nel Talmud,<ref>Cfr. ''Mishnah Bikurim'' 1, 4; ''Talmud Yerushalmi Bikurim'' 1, 4 64a.</ref> e Maimonide giudicò secondo l'opinione che permetteva ad un convertito di riferirsi ai patriarchi come suoi "padri". Il giudizio si basava sull'intyerpretazione da parte di Maimonide dell'importanza dell'elezione di Israele, materia che verrà esaminata estensivamente più avanti. Ciò che è interessante nel caso presente non è tanto il modo in cui Maimonide trattò la questione come un problema halakhico ed ideologico generale, quanto piuttosto la maniera in cui egli gestì l'angoscia di Ovadyah al sentirsi come un membro di seconda classe della comunità ebraica. Nel suo impegno ad affrontare i sentimenti di inferiorità di Ovadyah, Maimonide gli scrisse come segue: "Non considerare la tua discendenza come inferiore. Se noi facciamo risalire la nostra discendenza ad Abramo, Isacco e Giacobbe, tu fai risalire la tua discendenza a Uno che parlò ed il mondo fu creato. Come dice Isaia esplicitamente: ''L`uno dirà: Io sono dell'Eterno; l'altro si chiamerà col nome di Giacobbe'' ([[w:Libro di Isaia|Isaia]] 44:5)" (''Iggerot'', p. 235).
 
La dimensione personale dello scambio viene accentuata dalla risposta di Maimonide alla seconda domanda di Ovadyah, riguardo alla sua disputa col rabbino in merito alla stato dell'Islam. Evidentemente Ovadyah era stato precedentemente un mussulmano, e sosteneva che l'Islam rifiutava l'idolatria; il suo rabbino asseriva il contrario. Durante la loro discussione, il rabbino aveva chiamato Ovadyah uno stolto,e Ovadyah, sentendosi ferito, aveva chiesto a Maimonide di chiarire il problema. Come già notato, Maimonide era dell'opinione che l'Islam fosse una religione monotesitica in tutti i rispetti, rifiutando l'idolatria, e spiega la materia a lungo nella sua risposta ad Ovadyah. Alla fine del responso, si rivolge direttamente ad Ovadyah e, cercando di alleviare i suoi sentimenti di vergogna, sfida l'autorevolezza del rabbino che lo aveva insultato:
{{q|Quanto al tuo rabbino che ti ha risposto inappropriatamente, rattristandoti e chiamandoti uno stolto — ciò fu una grave trsgressione da parte sua, ed ha commesso grande peccato. Ma mi sembra probabile che lo abbia fatto con sbadataggine, e che dovrebbe chiederti scusa (sebbene tu sia il suo studente) e poi digiuni, si penta e preghi, e forse Dio gli concederà espiazione. Ma era forse ubriaco e inconsapevole che la Torah ammonisce trentasei volte in merito [all'essere gentili con i] proseliti?... E prima di preoccuparsi se gli Ismaeliti [cioè, i mussulmani] siano idolatri o meno, farebbe meglio a preoccuparsi dell'ira che ha provato, al punto di umiliare impropriamente un giusto convertito; e i nostri saggi di benedetta memoria hanno già detto "Colui che si adira dovrebbe essere ai tuoi occhi come un idolatra."|''Ibid.'', pp. 239-240}}
 
Ciò che Maimonide cercò di fare in questo caso, fu di invertire il vettore d'autorità tra Ovadyah ed il suo rabbino. Era il rabbino che doveva essere obbligato a cercare il perdono di Ovadyah per aver insultato un proselita, e se il rabbino intendeva avvilire Ovadyah quale discendente di idolatri, avrebbe invece fatto meglio ad esaminarsi interiormente, rendendosi conto di essere egli stesso afflitto da idolatria.<ref name="Geniza"/><ref name="Halbertal2"/>
 
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