Guida maimonidea/Meditazione logica: differenze tra le versioni

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Nella sua meditazione su Dio, Maimonide prende come punto di partenza che, a parte le cose percepibili e concepibili, un essere necessariamente esistente sia presente. Di tale essere afferma che il suo non-Essere è impensabile. Poi riconosce che questo essere non esiste nello stesso modo come, per esempio, i quattro elementi, che sono corpi senza vita, e conclude: la modalità di Essere di Dio non è simile alla modalità di Essere di corpi senza vita. Poi capisce che tale essere non esiste nella stessa maniera del Cielo, che è un corpo vivente. E considera: Dio non è un corpo. Inoltre, comprende che questo essere non esiste nello stesso modo di uno degli esseri della ragione, che sono incorporei e non morti, ma sono causati. Quindi dice a se stesso: Non esiste causa che abbia prodotto Dio. Allora si rende conto che per questo essere non è abbastanza esistere per se stesso da solo ma piuttosto che da esso emanino le innumerevoli cose esistenti di questo mondo, non nel modo che il calore emana dal fuoco o la lucve dal sole, ma in modo tale che la sua agenzia dia permanenza, continuità e ordine alle cose esistenti. Capisce an che che questo essere non è impotente, ignorante, irresponsabile, e non è negligente. Inoltre, non assomiglia a nulla; e quindi conclude: È impossibile che abbia pluralità, è Uno.<ref name="Aheschel"/>
 
La negazione delle imperfezioni è l'unico mezzo intellettuale che Maimonide si permette di applicare all'atto di imparare a conoscere Dio. Egli comprende pertanto che Dio non ha qualità, che Dio non è un essere soggetto ad impressione. Dio non può subire alcuna influenza né può avere alcun effetto. Non possiede facoltà, e quindi non ha alcuna forza inerente. Né possiede un'anima, cosicché il pudore e simili, la salute e la malattia, sono a Lui alieni. Non esiste relazione tra Dio ed il tempo, tra Dio e lo spazio, tra Dio ed una cosa da Lui creata, "dato che nessun uomo dubiterà che non ci sia relazione tra cento cubiti e l'acredine del pepe, tra la saggezza e la dolcezza, o tra la modestia e l'amarezza. Come può esserci perciò alcuna relazione tra Dio ed una cosa che Egli ha creato, data l'enorme distanza tra le loro modalità d'essere?" (''Ibid.'' I, 57).
 
Maimonide ha la sensazione che queste cose "quasi eludono il pensiero". Percepisce l'inadeguatezza delle "parole abituali, che sono la fonte principale dei nostri errori." Per esempio, si lamenta dell'attribuzione della pariola "eterno" a Dio: "Poiché si può chiamare ''eterna'' una cosa solo se è soggetta al tempo. Ma ciò a cui la determinazione del tempo non è attribuibile non può invero essere chiamata ''eterna'' o ''venuta ad essere'', proprio come non si può chiamare una cosa dolce storta o dritta, un suono salato o sciapo" (''Ibid.'' I, 57).
 
Questa tecnica di meditazione diede a Maimonide la possibilità di analizzare attentamente migliaia di occasioni quotidiane, in innumerevoli incontri col proprio ambiente, ed estrarre dalla conoscenza negativa il segreto che è la conoscenza stessa. Nella sua meditazione, Maimonide usò un pensiero metodico quale mezzo per ottenere una conoscenza di Dio. La sua passione di conoscere qualcosa di Dio si realizzò — non in maniera intossicante, in esuberanza emotiva, bensì in disciplinata prudenza.<ref name="Aheschel"/> Un suo commento suona come una vera e propria dichiarazione votiva: "Ecco perché un tal uomo si sforza per molti anni a capire la scienza e la metafisica... ma tutto è vano se il risultato di tutta questa scienza consiste nel negare una qualche nozione di Dio..." (''Moreh Nevukhim'' I, 59). la sua gioia interiore e la sua gratitudine quando tale conoscenza si realizza viene espressa come in un inno: "Sia lodato Iddio, la cui essenza è tale che il nostro pensare è incomprensione quando riflettiamo su di Lui, la nostra sapienza è follia quando contempla come le Sue opere necessariamente procedano dalla Sua volontà, e il nostro eccedere di parole è balbettio e impotenza quando tutte le lingue desiderano glorificare gli attributi di Dio!" (''Ibid.'' I, 58).
 
Maimonide, sebbene altrimenti neghi qualsiasi dichiarazione positiva su Dio, Gli attribuisce però il pensiero. Questa nozione teoricamente inconsistente, simile ad un errore di logica, è giustificata dalla sua esperienza. Sente che anche se si conclude che uno non possa parlare di pensiero riguardo a Dio, questa conclusione deriva da Dio, la fonte di ogni pensiero.<ref name="Aheschel"/>
 
La tecnica meditativa della negazione è un metodo logico. Maimonide, che sin dalla giovinezza aspirava alla conoscenza profetica come a quella filosofica, costruisce la sua meditazione con gli elementi della profezia. L'esistenza propria dell'individuo, la sua propria realtà, sono punti di partenza dai quali Maimonide desidera arrivare ad una conoscenza e comprensione di Dio. Quando i profeti parlano di Dio e gli attribuiscono ira, amore, e misericordia, si riferiscono, dice Maimonide, all'effetto di Dio nel mondo: "Per esempio, uno comprende la cura estremamente meticolosa delle sue opere nella genesi di un embrione dentro l'utero di una creatura vivente, il modo in cui Egli produce facoltà in questa creatura vivente ed in coloro che dovranno far crescere il bambino dopo la sua nascita, facoltà intese a proteggerli contro la morte e la distruzione, di salvaguardarli dal pericolo e assisterli in tutto ciò che necessita [allo sviluppo]. Poiché tale azione accade tra di noi a causa del sentimento intenso ed emotivo della misericordia, Dio è pertanto chiamato ''misericordioso''... Similmente, nelle opere di Dio che influenzano gli uomini, vediamo che grandi e potenti calamità accadono a certe persone e le uccidono, o disastri generali distruggono intere nazioni o regioni e annientano padri, figli e nipoti senza lasciare possibilità di discendenti, e anche l'inabissarsi di territori, terremoti, ondate mortali di calore, o aggressioni di nazioni contro nazioni per sterminarsi a vicenda e devastare proprietà. Ci sono molte azioni simili che un essere umano infligge al suo prossimo, soltanto a causa di ira violenta, gelosia enorme, o appassionata vendetta di sangue; come conseguenza di tali azioni, Dio viene chiamato ''geloso'', ''vendicativo'', ''iroso e furioso''" (''Moreh Nevukhim'' I, 54).
 
Maimonide infine insegna "che le cose sono tutte connesse l'una con l'altra, che non c'è nulla eccetto Dio e le Sue opere — cioè, tutto quello che esiste, eccetto Lui. Non c'è quindi alcun modo di conoscere Dio, se non attraverso le Sue opere, e queste provano il Suo Essere o Esistere" (''Moreh Nevukhim'' I, 34).<ref>Si veda anche ''Mishneh Torah'', "Yesodeh Hatorah" II, 2; IV, 12.</ref>
 
==Note==
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