Guida maimonidea/Medicina e composizione: differenze tra le versioni

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L'arrivo della ''Mishneh Torah'' in Provenza suscitò un notevole trambusto, e l'opera fu ricevuta entusiasticamente nel circolo di studiosi associati con la sala di studio di R. Jonathan Hakohen di Lunel. Questi dotti intellettuali, che avevano corrisposto con Maimonide a riguardo di materie connesse alla ''Mishneh Torah'', e le famiglie andaluse che erano immigrate in Provenza ed erano legate alla cultura natia di Maimonide, erano i suoi principali sostenitori tra gli ebrei che vivevano sotto il dominio cristiano. Ma c'erano coloro in Provenza che vedevano le cose in maniera differente. Mentre i suoi sostenitori consideravano Maimonide come alta autorità, altri rabbini e studiosi provenzali avevano grandi riserve circa la ''Mishneh Torah'', le sue pretese di autorevolezza, e le sue prospettive religiose. A loro capo stava R. Abraham ben David (Ra`abad), un eruditissimo halakhista che era ben dotato ad affrontare la ''Mishneh Torah'' in tutta la sua profondità ed estensione, e che l'aveva annotata criticamente mentre Maimonide era in vita. Questi studiosi ed i loro successori si trovarono al centro della controversia che si sviluppò sul ''Libro della Conoscenza'' (la prima e più filosofica delle quattoridici unità della ''Mishneh Torah''), e sulla ''Guida''.<ref name="Hart">David Hartman, ''Crisis and Leadership: The Epistles of Maimonides'', Jewish Publication Society, 1985, pp. 122-140 & ''passim''.</ref><ref name="Strauss">Leo Strauss, "Notes on Maimonides` Book of Knowledge", ''Studies in Mysticism and Religion Presented to Gershom G. Scholem'', Magnes Press, 1967, pp. 269-283.</ref>
 
Non fu Maimonide ad avviare la spedizione della ''Guida'' in Provenza. Piuttosto, egli rispose alla richiesta di R. Jonathan Hakohen, che ebbe sentore del trattato dopo che insieme ai colleghi aveva già ottenuto copie della ''Mishneh Torah'': "[Ti chiediamo]] di farci il favore di inviarci anche il libro ''Moreh Nevukhim [la Guida]'', della cui reputazione abbiamo sentito e che è rinomata in terra d'Egitto." E ancora: "Ti veniamo a chiedere di favorirci in merito anche ai tuoi altri libri, com'è vero che il nostro popolo vive ed i nostri defunti risorgeranno, e ci prostriamo in ammirazione davanti a tali opere. Quando le avremo, avremo tutto" (''Iggerot'', p.492).
 
Verso il 1197 Maimonide, che ormai non era più padrone del proprio tempo, inviò le prime due parti della ''Guida'' a Lunel, nella versione originale araba. I saggi di Lunel non conscevano l'arabo e diedero il testo a Samuel Ibn Tibbon affinché lo traducesse. L'alta reputazione di Samuel quale discendente di una rinomata famiglia andalusa di traduttori è citata in una lettera di ringraziamento che R. Jonathan Hakohen mandò a Maimonide dopo aver ricevuto le due parti della ''Guida''. La lettera, di pugno dello scrivente, è conservata nella Geniza ed include il seguente brano:
{{q|Hai aumentato la nostra saggezza e benessere, poiché ci hai inviato il libro ''Moreh Nevukhim''... ma sarebbe per noi stato come una pietra nel mortaio, una rosa tra le spine, un libro dato ad analfabeti, se il nostro Creatore non avesse causato che ci fosse tra noi un saggio, dotto in tutta la saggezza, erudito da suo padre nella letteratura e lingua di Arabia, il figlio del glorioso saggio e famoso medico, il rabbino R. Judah Ibn Tibbon, lo Spagnolo.|''Iggerot'', p. 493}}
 
Samuel Ibn Tibbon tradusse le prime due parti della ''Guida'' appena ricevute e fece alcune domande a Maimonide in merito alla traduzione. Maimonide aveva sentito buone cose sul conto di Judah Ibn Tibbon, padre di Samuel, dagli andalusi che erano giunti in Egitto, e capì dalle domande di samuel che il figlio, come il padre, era un traduttore eccellente come anche un buon filosofo, che era riuscito a comprendere la profondità del trattato. La forte impressione positiva che il traduttore scelto a Lunel fece su Maimonide risulta evidente dalla sua risposta alle domande postegli:
{{q|Quando le tue lettere in arabo ed in ebraico mi pervennero, mi fecero capire la tua vasta gamma di interessi e raffinatezza di stile. Quando poi ho appreso i tuoi dubbi in merito ad alcuni passi della mia estesa esposizione, ''La Guida dei perplessi'', e gli errori dello scriba che tu vi hai individuato, io ripetei le parole dell'antico poeta: "se solo sapessero la sua discendenza, direbbero che il merito del padre è passato al figlio."</br>
Benedetto il Signore che ha elargito una ricompensa al tuo erudito padre, e gli ha concesso tale figlio... Le questioni che mi poni sono tutte valide, e le omissioni che hai notato di una o più parole in molti punti sono corrette... Tu sei sicuramente ben dotato e qualificato a svolgere il lavoro di traduttore, poiché l'Onnipotente ti ha concesso un cuore atto a comprendere similitudini e parabole, gli epigrammi dei saggi e i loro indovinelli. Ho riconsciuto dalla tua corrispondenza che hai la capacità di scavare nelle profondità di una materia e rivelarne i significati nascosti.|''Lettere di Maimonide'', pp. 131132}}
 
Questa lettera fu spedita il 30 settembre 1199; subito dopo Maimonide inviò a Lunel la terza parte della ''Guida''. Samuel Ibn Tibbon tradusse anche quella, completando l'intero progetto il 7 [[w:Tevet|Tevet]] (30 novembre) del 1204, appena pochi giorni prima della morte di Maimonide. Il libro, inteso come lettera personale a destinatari scelti, venne aperta a tutti, inclusi quei lettori che non conoscevano l'arabo ed erano estranei alle questioni che avevano preoccupato coloro ai quali il libro era diretto. Non ci volle molto tempo prima che il libro diventasse simultaneamente l'opera più importante e stimata di filosofia ebraica medievale e un'opera che sollevò controversie e dure critiche al punto che i suoi lettori vennero banditi e copie del libro furono distrutte.<ref name="Sees"/>
 
Samuel Ibn Tibbon non si accontentò semplicemente di inviare domande a Maimonide. È chiaro dalla lettera di Maimonide che rispondeva alle sue domande, che Samuel voleva incontrare Maimonide faccia a faccia ed era pronto a viaggiare dalla Provenza a Fustat per farlo. Tale incontro presumibilmente era per lui importante non solo per risolvere questioni di traduzione, ma anche — in verità, primariamente — per discutere il significato ed i segreti della ''Guida''. Maimonide rispose che un viaggio così lungo non sarebbe stato utile, poiché gli mancava il tempo di intrattenersi in tali conversazioni. Al massimo, Samuel sarebbe riuscito solo a fargli una breve visita di cortesia, del tutto inutile. Potrebbe essere, come alcuni hanno proposto,<ref name="HalbertalM"/> che Maimonide rifiutasse la richiesta di Ibn Tibbon per non dovergli spiegare il modo in cui doveva intendere i misteri della ''Guida''. Samuel, come si vedrà, era il primo interprete della ''Guida'' come trattato in cui il significato nascosto contende con quelle convinzioni abitualmente ritenute fondamentali nella tradizione ebraica. Le domande poste da Ibn Tibbon aveva permesso a Maimonide di capire in che direzione stesse andando la sua interpretazione, e Maimonide preferì lasciare la materia nell'oscurità. Qualsiasi assenso sull'interpretazione di Ibn Tibbon, anche se dato oralmente e privatamente, sarebbe stato immediatamente pubblicizzato, e ci sono buone ragioni per credere che Maimonide avesse delle apprensioni a permetterlo.<ref name="HalbertalM"/><ref name="Sees"/> È ovvio pensare che, senza tali apprensioni, Maimonide avrebbe trovato il tempo di incontrare il traduttore e discutere le sue questioni nonostante le proprie restrizioni di tempo libero. Ma Maimonide preferì addurre tali restrizioni di tempo come ragione del rifiuto di incontrarlo e, facendolo, fornisce uno scorcio interessante dei suoi ultimi anni di vita:
{{q|Risiedo a Misr (Fustat) ed il Sultano risiede ad al-Qahira (Cairo); questi due luoghi distano due giorni di Shabbat [oltre due chilometri] tra di loro. I miei doveri verso il Sultano sono alquanto pesanti. Sono obbligato a visitarlo ogni giorno, al mattino presto; e quando egli o uno dei sui figli, o le persone del suo harem, sono indisposti, non oso lasciare il Cairo, ma devo stare al palazzo per la maggior parte della giornata. Accade anche frequentemente che uno o due dei funzionari reali si ammalino, ed io devo pensare a curarli. Di regola vado al Cairo molto presto al mattino, ed anche se non accade nulla di particolare, non ritorno a Fustat fino al pomeriggio. E allora son quasi morto di fame. Trovo le mie sale d'aspetto piene di gente, sia ebrei che gentili, nobili e comuni, giudici e amministratori, amici e nemici — una moltiudine mista, che aspetta il mio rientro.</br>
Scendo dalla mia cavalcatura, mi lavo le mani, vado dai miei pazienti e chiedo loro di sopportarmi mentre mangio qualcosa, unico pasto che consumo in ventiquattro ore. Poi mi dedico ai miei pazienti., che vanno e vengono fino a notte, e a volte, ti assicuro solennemente, fino alle due di notte e oltre. Discuto e prescrivo mentre sto sdraiato dalla fatica, e quando cade la notte sono così esausto che non riesco nemmeno a parlare.|''Lettere di Maimonide'', p. 134}}
 
Il medico di corte che esercita presso il più alto potere deve essere pronto a prendersi subito cura di qualsiasi dolore, infermità, o ansia del sovrano e del suo ''entourage''.
 
==Note==