Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Primavera breve: in Germania tra le due guerre: differenze tra le versioni

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[[File:Kafka Der Prozess 1925.jpg|thumb|left|150px|''Der Prozess'' di Kafka, edizione postuma originale in tedesco (1925)]]
Il critico Heller quindi caratterizza il mondo kafkiano come una totalità di perfezione e unità, in cui l'uomo ha peccato distaccandosi nel formare una vita individuale. L'illuminazione, cioè la conoscenza della fonte della Legge, può essere ottenuta, ma solo (come nrlla succitata storia) al momento della morte. Brod cerca di rendere Kafka più realistico, di situarlo nel mondo della realtà politica, e argomenta che l'autore "non lotta con Dio, ma con se stesso."<ref name="Brod"/> Per Brod, Kafka scrive con ansia per il mondo contemporaneo e, specificamente, per gli ebrei. "Kafka scrive, oltre che della tragedia del genere umano, in particolare delle sofferenze del proprio popolo infelice, dell'ebraismo senza casa, perseguitato, la massa senza forma, senza corpo, e lo fa come nessuno l'ha mai fatto. Lo scrive senza che la parola ebreo appaia mai in nessuno dei suoi libri." Brod vede Kafka come un autore di parabole politiche con risonanza contemporanea, che parla con la cognizione di un'esperienza ebraica locale, cioè degli ebrei senza patria. Vede Kafka persino come sionista o sionista potenziale, che vorrebbe correggere questa anomalia mediante una riconcentrazione territoriale del popolo ebraico in una patria ricostruita.<ref name="Brod"/> Ma le parole stesse di Kafka, per lo meno in una reazione specifica, mettono in dubbio tale interpretazione — dopo un incontro con Brod e le sue nozioni sioniste, scrive: "Cosa ho in comune con gli ebrei? Non ho quasi nulla in comune con me stesso, e dovrei nascondermi silenziosamente in un angolo, contento del fatto che rioescoriesco a respirare" (''Diari'', nota dell'8 gennaio 1914). Queste non sono le parole di un attivista politico, ancor di meno di un simpatizzante sionista. È l'espressione di qualcuno che cerca di dare un senso a se stesso, di ottenere una pace interiore e fors'anche un'armonia col mondo, piuttosto che credere in soluzioni pubbliche o politiche come terapia della condizione umana. Kafka svolge un viaggio interiore tramite il personaggio di K o i suoi altri eroi, dove l'"eroe" vien posto dentro i confini di un mondo confuso (un labirinto), dove il giudizio viene dato e deve essere eseguito secondo una legge misteriosa, arbitraria e del tutto impenetrabile. È pur vero che la figura di Kafka debba combattere situazione e giudizio e venirne inevitabilmente sconfitto. Tuttavia lo svolgersi della lotta non avviene nell'arena politica entro i reami del sistema politico pubblico. I canali di comunicazione sono già prestabiliti e le regole del gioco sono accettate e adottate. K ne ''Il Processo'' deve accettare l'Avvocato assegnatogli, oppure rimpiazzarlo con un altro simile. La Legge è sempre lì.<ref>''Il processo (Der Prozess)'' è un romanzo incompiuto di Franz Kafka, pubblicato per la prima volta nel 1925. È una storia surreale di un impiegato di nome Josef K che viene accusato, arrestato e processato per motivi misteriosi.</ref>
 
E anche nel racconto "Il verdetto" (''Das Urteil'', 1912),<ref name="Urteil">''La condanna (Das Urteil)'', conosciuto in italiano anche come ''Il verdetto'' o ''La sentenza'', è un racconto di Franz Kafka, scritto nella notte tra il 22 e il 23 settembre 1912, dalle 22 alle 6 di mattina (come dice Kafka stesso nel ''Diario''). In esso è particolarmente evidente il tema del conflitto tra padre e figlio. Il racconto è stato pubblicato la prima volta con la dedica alla signorina Felice B. (Felice Bauer) su ''Arkadia'', rivista a cura di Max Brod, presso l'editore Kurt Wolff di Lipsia nel 1913 e in volumetto presso lo stesso nel 1916 (con qualche variante).<sup>''[https://it.wikipedia.org/wiki/La_condanna_(racconto) Cfr. Wikipedia]''</sup> Stralci del testo sono presi dall'edizione ''I racconti di Kafka'', trad. Henry Furst, Longanesi, 1965.</ref> tale "verdetto" (qui pronunciato dal padre) deve essere accettato. Come ne ''Il Processo'', la sentenza (per che cosa?) è la morte. Brecht infine dichiarò Kafka un fallito come romanziere, perché la domanda "dove va a finire la colpa?" non trova mai risposta.<ref name="Heller"/> Quindi la sua opera è destinata a rimanere frammentaria. Nulla arriva mai a destinazione, poiché tutte le scale sono perennemente a spirale. Ne "Il verdetto", la morte è liberazione e forse (ma solo forse, perché non si può precedere oltre quel punto) la soluzione. La storia si conclude al momento del suicidio per affogamento. "In quell'istante passava sul ponte un traffico addirittura interminabile."<ref>''I racconti di Kafka, cit.'', trad. Henry Furst, p. 37.</ref> Il flusso di traffico (in tedesco ''verkehr'') è anche la parola usata per il "rapporto sessuale" che permette lo sfogo, l'eiaculazione. Qui abbiamo una storia dell'assurdo che l'autore stesso non può dipanare, procedendo da una narrazione a diversi livelli fino ad una autocontraddizione. L'eroe del racconto, Georg Bendemann, viene visto mentre scrive ad un amico che si trova in Russia, informandolo del suo fidanzamento. Tuttavia Bendemann, prima di spedirla, deve mostrare la lettera al padre, che si arrabbia negando ogni conoscenza dell'amico e poi ammettendo di conoscerlo così bene da augurarsi di averlo come figlio — una prospettiva che l'amico avrebbe molto gradito. Poi il padre riempie di accuse d'immoralità il proprio vero figlio, rinfacciandogli anche di volerlo "mettere sotto" (soffocare, ammazzare, rimpiazzare):
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{{quote|...Ma fortunatamente non occorre che nessuno insegni al padre a penetare il figlio. Quando ha creduto di averlo messo sotto, messo sotto in modo da potercisi sedere sopra, e che lui non si muova più, allora il mio signor figlio ha deciso immediatamente di sposarsi!|''I racconti di Kafka, cit.'', p. 33.}}
È il padre che non permetterà al figlio di sposarsi. E in un momento profondamente irrazionale ma ostinatamente determinato di opposizione isterica, il padre condanna il figlio al suo fato.
 
"Il verdetto" è un "racconto", ma è simile come trama e tono alla cosiddetta "Lettera al padre" (''Brief an den Vater'', 1919),<ref name="Padre">''Lettera al padre (Brief an den Vater)'' è una lettera di Franz Kafka al padre, scritta nel 1919 e pubblicata postuma nel 1952. In questa lettera, come nei ''Quaderni in ottavo'', lo scrittore rende con chiarezza quei presupposti filosofici e psicologici che nei suoi romanzi tanto sono nascosti dallo stile e dai temi volutamente surreali e oscuri. Per le relative edizioni in italiano, si veda [https://it.wikipedia.org/wiki/Lettera_al_padre Wikipedia, ''s.v.'' "''Lettera al padre''".] Per il testo, si veda anche [http://www.violettanet.it/poesiealtro_autori/KAKFA_2.htm ''Lettera al padre''], su ''violettanet.it'' per le ''edizioni newton compton''.</ref> una vera lettera che non fu mai spedita (e che fu, naturalmente, come tanti degli scritti kafkiani, pubblicata soltanto postuma). Come la narrativa con Kafka si sfuma in autobiografia, così l'autobiografia diventa narrativa. Infatti, Heller scrive: "La vicinanza tra letteratura e autobiografia mai è stata così aderente come in Kafka, anzi ammonta quasi ad identità. Sebbene in tale forma sia a lui peculiare, sembra allo stesso tempo il culmine di un capitolo di storia della letteratura, la storia della letteratura tedesca fatta principalmente da scrittori ebrei della generazione di Kafka."<ref name="Heller"/> La lettera mai spedita di Kafka allude a molte delle ossessioni dell'autore. Il padre viene presentato come colui che emette un "giudizio" sul figlio. Viene visto come "troppo forte" rispetto alla tyenue forma del figlio, che è più un Löwy (cognome da nubile della madre) di carattere, dolce e sensibile. Il padre è ambizioso, di successo, e soprattutto "con voglia di vivere" — totalmente dominante, arbitrario. La metafora del ''verdetto'' continua a riproporsi. Il figlio è uno schiavo che opera "secondo leggi che erano state escogitate soltanto per me". Il "tuo" mondo (cioè, quello dei capi) è remoto, inaccessibile, irraggiungibile. Anche i due poli dell'"attività" di Kafka sono dominati dal padre: la scrittura ed il matrimonio, la prima coinvolta nervosamente col padre e il secondo da questi ostacolato.
{{quote|Scrivevo di te, scrivendo lamentavo quello che non potevo lamentare sul tuo petto. Era un addio da te, intenzionalmente tirato per le lunghe, soltanto che, per quanto imposto da te, andava nella direzione da me determinata. Ma quanto era poco, tutto ciò!|Franz Kafka, ''Lettera al padre''.<ref name="Padre"/>}}
Lo scrivere era il ''medium'' di Kafka per esprimersi e l'unica fonte di indipendenza. Il matrimonio gli era comunque impossibile:
{{quote|Il matrimonio mi è precluso proprio dal fatto che è il terreno che più ti è proprio. Talvolta immagino di oter aprire davanti a me la carta terrestre e di stendertici sopra; mi pare allora che per la mia vita si possano prendere in considerazione solo quei territori che né copri col tuo corpo né sono comunque alla tua portata. E data l'idea che mi son fatto della tua grandezza, questi territori non sono molti né molto confortanti, e il matrimonio in particolare non ne fa parte.|''Lettera al padre, cit.''.<ref name="Padre"/>}}
Il padre è un giudice onnipotente — imperativo, minaccioso, dominante. Il figlio si dibatte e si contorce inutilmente nella sua ombra.
 
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<gallery><!--- da inserire gradualmente nel testo --->
Kafka5jahre.jpg|Kafka all'età di circa cinque anni