La religione romana/Premessa: differenze tra le versioni

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{{nota|larghezza = 300px|contenuto=<center>[[File:Lapis niger stele (modificato).JPG|center|200px]]'''La nozione di "sacro" (''sakros'') nella cultura romana'''<center><br> Qui sopra il cippo del Lapis Niger risalente al VI secolo a.C. che riporta una iscrizione bustrofedica. In questo reperto archeologico compare per la prima volta il termine ''sakros'' ([[File:Forum inscription (dettaglio).jpg|90px]]: ''sakros es'')<ref>Cfr. Julien Ries in ''Saggio di definizione del sacro''. ''Opera Omnia''. Vol. II. Milano, Jaca Book, 2007, pag.3: «Sul ''Lapis Niger'', scoperto a Roma nel 1899 vicino al Comitium, 20 metri prima dell'Arco di Trionfo di Settimio Severo, nel luogo che si dice sia la tomba di Romolo, risalente all'epoca dei re, figura la parola ''sakros'': da questa parola deriverà tutta la terminologia relativa alla sfera del sacro.»</ref>. Dal termine latino arcaico ''sakros'' originano due successivi termini latini: ''sacer'' e ''sanctus''. Lo sviluppo del termine ''sakros'', nel suo variegarsi di significati procede, per quanto inerisce al ''sanctus'' per via del suo participio ''sancio'' che è collegato a ''sakros'' per mezzo di un infisso nasale <ref>Cfr. Émile Benveniste: «Questo presente in latino in ''-io'' con infisso nasale sta a *sak come ''jungiu'' 'unire' sta a ''jug'' in lituano; il procedimento è ben noto.», in le ''Vocabulaire des institutions indo-européennes'' (2 voll., 1969), Paris, Minuit. Ed. italiana (a cura di Mariantonia Liborio) ''Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee'', Torino, Einaudi, 1981, pag. 426-7. </ref>. Ma ''sacer'' e ''sanctus'', pur provenendo dalla stessa radice ''sak'', possiedono dei significati originari molto diversi. Il primo, ''sacer'', è ben descritto da Sesto Pompeo Festo (II secolo d.C.) nel suo ''De verborum significatu'' dove precisa che: «Homo sacer is est, quem populus iudicavit ob maleficium; neque fas est eum immolari, sed, qui occidit, parricidii non damnatur.». Quindi, e in questo caso, l'uomo sacro è colui che portando una colpa infamante che lo espelle dalla comunità umana deve essere allontanato. Non lo si può perseguire, ma non si può perseguire nemmeno colui che lo uccide. L'''homo sacer'' non appartiene, non è perseguito, né è tutelato dalla comunità umana. ''Sacer'' è quindi ciò che appartiene ad 'altro' rispetto agli uomini, appartiene agli Dei, come gli animali del ''sacrificium'' (rendere ''sacer''). Nel caso di ''sacer'' la sua radice ''sak'' inerisce a ciò che viene stabilito (quindi ciò che è ''sak'') come non attinente agli uomini. ''Sanctus'' invece, come spiega il ''Digesto'', è tutto ciò che deve essere protetto dalle offese degli uomini. È ''sancta'' quell'insieme di cose che sono sottomesse ad una sanzione. Esse non sono né sacre, né profane. Esse non sono comunque consacrate agli Dèi, non appartengono a loro. Ma ''sanctus'' non è nemmeno profano, deve essere protetto dal profano e rappresenta il limite che circonda il ''sacer'' anche se non lo riguarda. ''Sacer'' è tutto ciò che appartiene quindi ad un mondo fuori dall'umano: ''dies sacra'', ''mons sacer''. Mentre ''sanctus'' non appartiene al divino: ''lex sancta'', ''murus sanctus''. ''Sanctus'' è tutto ciò che è proibito, stabilito, sanzionato dagli uomini e, con questo, anche ''sanctus'' si relaziona al radicale indoeuropeo ''sak''. Ma col tempo, ''sacer'' e ''sanctus'' si sovrappongono. ''Sanctus'' non è più solo il "muro" che delimita il ''sacer'' ma entra esso stesso in contatto col divino: dall'eroe morto ''sanctus'', all'oracolo ''sanctus'', ma anche ''Deus sanctus''. Su questi due termini, ''sacer'' e ''sanctus'', si fonda un ulteriore termine, questo dall'etimologia incerta, ''religio'', ovvero quell'insieme di riti, simboli e significati che consentono all'uomo romano di comprendere il "cosmo", di stabilirne i contenuti e di mettersi in relazione con esso e con gli Dei. Così la città di Roma diviene essa stessa ''sacra'' in quanto avvolta dalla ''majestas'' che il dio ''Iupiter'' ha consegnato al suo fondatore, Romolo. Attraverso le sue conquiste, la città di Roma offre una collocazione agli uomini nello spazio "sacro" da essa rappresentato. La sfera del ''sacer''-''sanctus'' romano appartiene al ''sacerdos'' che, nel mondo romano unitamente all' ''imperator'' <ref>Qui inteso come ricolmo di ''augus'', o ''ojas'', dopo l' ''inauguratio'', ovvero pieno della forza che gli consente di avere relazioni con il ''sakros'', quindi non nell'accezione molto più tarda riferita prima al ruolo militare e poi politico di alcune personalità della Storia romana.</ref> si occupa delle ''res sacrae'' che consentono di rispettare gli impegni verso gli Dei. Così ''sacer'' divengono le vittime dei "sacrifici", gli altari e le loro fiamme, l'acqua purificatrice, gli incensi e le stesse vesti dei "''sacer''doti". Mentre ''sanctus'' è riferito alle persone: i re, i magistrati, i senatori (''pater sancti'') e da questi alle stesse divinità. La radice di ''sakros'', è il radicale indoeuropeo ''*sak'' il quale indica qualcosa a cui è stata conferita validità ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al cosmo.<ref>Julien Ries, ''Saggio di definizione del sacro'', in ''Grande dizionario delle Religioni'' (a cura di Paul Poupard). Assisi, Cittadella-Piemme, 1990 pagg. 1847-1856</ref> Da qui anche il termine, sempre latino, di ''sancire'' evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di significati, il ''sakros'' sancisce una alterità, un essere "altro" e "diverso" rispetto all'ordinario, al comune, al profano<ref>Julien Ries, ''Saggio di definizione del sacro'', ''Op.cit.''.</ref> Il termine latino arcaico ''sakros'' corrisponde all'ittita ''saklai'', al greco ''hagois'', al gotico ''sakan''<ref>Julien Ries, ''Saggio di definizione del sacro'', ''Op.cit.''</ref>.}}
 
Con l'espressione "religione romana" si intende indicare quell'insieme di fenomeni religiosi propri dell'antica Roma considerati nel loro evolvere come varietà di culti, questi correlati allo sviluppo politico e sociale della città<ref>{{q|“Roman religion” is an analytical concept that is used to describe religious phenomena in the ancient city of Rome and to relate the growing variety of cults to the political and social structure of the city.|Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke (2005), ''Roman religion'', in ''Encyclopedia of Religion'', vol.12. New York, Macmillan, 2005, p. 7895}}</ref><ref>Sul considerare la "religione romana" strettamente collegata alla città di Roma: {{q|Although Rome gradually became the dominant power in Italy during the third century BCE, as well as the capital of an empire during the second century BCE, its religious institutions and their administrative scope only occasionally extended beyond the city and its nearby surroundings (ager Romanus).|Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke (2005), ''Roman religion'', in ''Encyclopedia of Religion'', vol.12. New York, Macmillan, 2005, p. 7895}} Ma anche: {{q|La religione romana esiste solo a Roma o là dove stanno i Romani|John Scheid, ''La religione a Roma''. Bari, Laterza, 1983, pp. 13-4}}</ref>.
 
Le origini della città, e quindi della storia e della religione di Roma, sono controverse. Recentemente l'archeologo italiano Andrea Carandini<ref>Cfr. Andrea Carandini, ''La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà''. Torino, Einuadi, 2003; Milano, Mondadori, 2010.</ref> sembrerebbe aver quantomeno dimostrato di poter datare l'origine di Roma all'VIII secolo a.C., saldando quindi le sue conclusioni, queste basate sugli scavi da lui condotti nella zona del Palatino, all'età di fondazione stabilita dal racconto tradizionale<ref>La datazione al 753 a.C. risale all'erudito romano Marco Terenzio Varrone (I secolo a.C.).</ref><ref>Per una sintesi, cfr. Cristiano Viglietti, ''L'eta dei re'' in ''La grande storia dell'antichità -Roma'' (a cura di Umberto Eco), vol. 9, pp.43 e sgg.</ref>.
 
Le origini della "religione romana" vanno individuate nei culti dei popoli pre-indoeuropei stanziati in Italia<ref>Così Mircea Eliade in '' Storia delle idee e delle credenze religiose'', vol. II, p. 111: «orbene, l'etnia latina da cui è nato il popolo romano, è il risultato di una mescolanza fra le popolazioni neolitiche autoctone e gli invasori indoeuropei scesi dai paesi transalpini»; diversamente George Dumézil, in ''La religione romana arcaica'', p. 69-70: «A differenza dei greci che invasero il mondo minoico, le diverse bande di indoeuropei che discesero in Italia non dovettero certamente affrontare grandi civiltà. Coloro che occuparono il sito di Roma probabilmente non erano neppure stati preceduti da un popolamento denso e instabile; tradizioni come il racconto su Caco inducono a pensare che i pochi indigeni accampati sulle rive del Tevere siano stati semplicemente e sommariamente eliminati come lo sarebbero stato, agli antipodi, i tasmaniani dai mercanti venuti dall'Europa.»</ref>, nelle tradizioni religiose dei popoli indoeuropei <ref>Per una introduzione alle religione degli Indoeuropei cfr. Jean Loicq, ''Religione degli Indoeuropei'' in ''Dizionario delle religioni'' (a cura di Paul Poupard). Milano, Mondadori, 2007, pp. 891-908; Renato Gendre, ''Indoeuropei'' in ''Dizonario delle religioni'' (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993 pp.371 e sgg.; Regis Boyer, ''Il mondo indoeuropeo'' in ''L'uomo indoeuropeo e il sacro'', in ''Trattato di antropologia del sacro'' (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991, pp. 7 e sgg.</ref>che, probabilmente a partire dal XV secolo a.C.<ref>André Martinet, ''L'indoeuropeo. Lingue, popoli culture'', Bari, Laterza, 1989, pp.78-9; Francisco Villar, ''Gli Indoeuropei'', Bologna, il Mulino, 1997 p.480.</ref>, migrarono nella penisola, nelle civiltà etrusca<ref>Per le decisive influenze della cultura religiosa etrusca su quella romana cfr. Marta Sordi, ''L'homo romanus: religione, diritto, e sacro'', in ''Le civiltà del Mediterraneo e il sacro.'', in ''Trattato di antropologia del sacro'' (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991, pp. 7 e sgg.</ref> e della Grecia<ref>Per quanto attiene alla decisiva influenza della mitologia greca sulla religione romana si rimanda alle conclusioni di Georges Dumézil in ''La religione romana arcaica'', Milano, Rizzoli, 2001, pp. 63 e sgg.</ref> e nelle influenze delle civiltà del Vicino Oriente occorse lungo i secoli.
 
La "religione romana" cessò di essere con gli editti promulgati a partire dal 380 dall'imperatore romano di fede cristiana Teodosio I il quale proibì e perseguitò tutti i culti non cristiani professati nell'Impero<ref>Cfr. al riguardo Salvatore Pricoco, in ''Storia del cristianesimo'' (a cura di Giovanni Filoramo) vol.1, Bari, Laterza, 2008, pp. 321 e sgg.</ref>.
 
L'espressione "religione romana" è di conio moderno. Il termine italiano "religione" possiede tuttavia la sua chiara etimologia nel termine latino ''religio'' ma, nel caso termine latino, esso esprime una nozione circoscritta alla cura nei confronti dell'esecuzione del rito a favore degli dèi, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non risulti correttamente eseguito<ref>{{q|Per i Romani ''religio'' stava a indicare una serie di precetti e di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine, venerazione e timore degli dèi.|Mircea Eliade, ''Religione'' in ''Enciclopedia del novecento''. Istituto enciclopedico italiano, 1982, pag.121}}</ref>, e in questo senso i Romani collegavano al termine ''religio'' il vissuto di timore nei confronti della sfera del sacro, sfera propria del rito e quindi della religione stessa<ref>Enrico Montanari, ''Dizionario delle religioni'' (a cura di Giovanni Filoramo, Torino, Einaudi, 1993, pag. 642-4</ref>:
{{q|''Religio'' è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolti ad un essere superiore la cui natura definiamo divina|Cicerone, ''De inventione''. II,161|Religio est, quae superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque effert|lingua=la}}
La nozione moderna di "religione" è invece più complessa e problematica <ref>{{q|Ogni tentativo di definire il concetto di "religione", circoscrivendo l'area semantica che esso comprende, non può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri concetti fondamentali e generali della storia delle religioni e della scienza della religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che ne condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...] Considerata questa prospettiva, la definizione della "religione" è per sua natura operativa e non reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la "realtà" della religione, ma di definire in modo provvisorio, come ''work in progress'', che cosa sia "religione" in quelle società e in quelle tradizioni oggetto di indagine e che si differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni dai modi a noi abituali.|Giovanni Filoramo, ''Religione'' in ''Dizionario delle religioni'' (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.620}}</ref> andando a coprire un più ampio spettro di significati:
{{q|Le concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di orientamento del pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di modelli di riferimento|Enrico Comba, ''Antropologia delle religioni. Un'introduzione''. Bari, Laterza, 2008, p. 3}}
 
Precisare la differenza di "contenuto" tra il termine latino ''religio'' e quello di uso comune e moderno di "religione", rende conto della caratteristica unica dei contenuti religiosi del vivere romano:
{{q|La religione romana (o più in generale greco-romana) può essere caratterizzata da due elementi: è una religione sociale ed è una religione fatta di atti di culto. Religione sociale, essa è praticata dall'uomo in quanto membro di una comunità e non in quanto singolo individuo, persona; è squisitamente una religione di partecipazione e nient'altro che questo. Il luogo dove si esercita la vita religiosa del romano è la famiglia, l'associazione professionale o di culto, e soprattutto, la comunità politica. |John Scheid, ''La religione a Roma''. Bari, Laterza, 1983, p. 8}}
 
Ne consegue che per i Romani, la ''religio'' non aveva molto a che fare con quello che noi indichiamo come credenza religiosa individuale in quanto è lo Stato ad essere il tramite tra l'individuo e la divinità<ref>In tal senso Pierre Boyance, ''Etudes sur la religion romaine'', Roma, École française de Rome, 1972, p.28.</ref>:
 
{{q|L'atteggiamento religioso del romano va [...] distinto dal sistema della fede. ''Religio'' non equivale a ''credo''.| Robert Schilling, ''Rites, Cultes, Dieux de Rome''. Parigi, Klinck, 1979, p.74; cit. in John Scheid, ''Op.cit.'', p. 8 }}
 
Il sentimento religioso romano (''pietas'') verte dunque nella forte volontà di garantire il successo alla ''respublica'' mediante la scrupolosa osservanza della ''religio'', dei suoi culti, dei suoi riti, della sua tradizione, osservanza che consente di ottenere il favore degli dèi e garantire la ''pax deum'' (''pax deorum'')<ref>''Deum'' al posto di ''deorum'' per l'arcaicità del genitivo.</ref>. Tale concordia con gli dèi determinata dalla scrupolosa osservanza della ''religio'' e dei suoi riti è testimoniata, per i Romani, dal successo di Roma nei confronti delle altre città e nel Mondo
{{q|... ma è nel sentimento religioso e nell'osservanza del culto e pure in questa saggezza eccezionale che ci ha fatto intendere appieno che tutto è retto e governato dalla volontà divina, che noi abbiamo superato tutti i popoli e tutte le nazioni.|Cicerone, ''De haruspicum responso'', 9; traduzione di Giovanni Bellardi, in Cicerone, ''Le orazioni'' vol. III, Torino, UTET, 1975, pp. 302-305 |...sed pietate ac religione atque una sapientia,<br /> quod deorum numine omnia regi gubernarique perspeximus,<br />omnes gentes nationesque superavimus.|lingua=la}}
 
Il che fa concludere a Cicerone:
 
{{q|E se vogliamo confrontare la nostra cultura con quella delle popolazioni straniere, risulterà che siamo uguali o anche inferiori sotto ogni altro aspetto, ma che siamo molto superiori per quello che concerne la religione, cioè il culto degli dèi.|Cicerone, ''De natura deorum''. II, 8; traduzione di Cesare Marco Calcante. Milano, Rizzoli, 2007, pp. 156-7| Et si conferre volumus nostra cum externis, ceteris rebus aut pares aut etiam inferiores reperiemur, religione, id est cultu deorum, multo superiores.|lingua=la}}
 
==Note==
<references/>
 
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