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« Se le fortezze, e molte altre cose che spesse volte i Principi fanno, sono utili o dannose.

Alcuni Principi, per tenere sicuramente lo Stato, hanno disarmato i loro sudditi; alcuni altri hanno tenuto divise in parti le terre suggette; alcuni altri hanno nutrito nimicizie contro a sè medesimi; alcuni altri si sono volti a guadagnarsi quelli che gli erano sospetti nel principio del suo Stato; alcuni hanno edificato fortezze; alcuni le hanno rovinate e distrutte. E benchè di tutte queste cose non si possa dare determinata sentenzia, se non si viene su’ particulari di questi Stati, dove si avesse da pigliare alcuna simile deliberazione; nondimeno io parlerò in quel modo largo che la materia per sè medesima sopporta. Non fu mai adunque che un Principe nuovo disarmasse i suoi sudditi; anzi, quando gli ha trovati disarmati, gli ha sempre armati; perchè armandosi, quelle arme diventano tue; diventano fedeli quelli che ti sono sospetti; e quelli che erano fedeli, si mantengono; e gli sudditi tuoi si fanno tuoi partigiani. E perchè tutti i sudditi non si possono armare, quando si benefichino quelli che tu armi, con gli altri si può fare più sicurtà; e quella diversità del procedere che conoscono in loro, gli fa tuoi obbligati; quelli altri ti scusano, giudicando esser necessario quelli aver più merito che hanno più pericolo e più obbligo. Ma quando tu gli disarmi, tu incominci ad offendergli, e mostrare che tu abbi in loro diffidenza o per viltà, o per poca fede; e l’una e l’altra di queste opinioni concipe odio contro di te. E perchè tu non puoi stare disarmato, conviene che ti volti alla milizia mercenaria, della quale di sopra abbiam detto quale sia; e quando essa fusse buona, non può esser tanta, che ti difenda da’ nimici potenti, e da’ sudditi sospetti. Però, come io ho detto, un Principe nuovo in un nuovo Principato sempre vi ha ordinato l’arme. Di questi esempi son piene le istorie. Ma quando un Principe acquista uno Stato nuovo, che come membro si aggiunga al suo vecchio, allora è necessario disarmare quello Stato, eccetto quelli che nello acquistarlo si sono per te scoperti; e questi ancora con il tempo ed occasioni è necessario fargli molli ed effeminati, e ordinarsi in modo, che tutte l’arme del tuo Stato sieno in quelli soldati tuoi propri, che nello Stato tuo antico vivono appresso di te.

Solevano li antichi nostri, e quelli che erano stimati savi, dire, come era necessario tenere Pistoia con le parti, e Pisa con le fortezze; e per questo nutrivano in qualche terra lor suddita le differenze per possederla più facilmente. Questo, in quelli tempi che Italia era in un certo modo bilanciata, doveva essere ben fatto; ma non mi pare si possa dare oggi per precetto; perchè io non credo che le divisioni fatte faccino mai bene alcuno; anzi è necessario, quando il nimico si accosta, che le città divise si perdino subito; perchè sempre la parte più debole si accosterà alle forze esterne, e l’altra non potrà reggere. I Viniziani mossi, come io credo, dalle ragioni sopraddette, nutrivano le sette Guelfe e Ghibelline nelle città loro suddite; e benchè non gli lasciassino mai venire al sangue, pure nutrivano fra loro questi dispareri acciocchè, occupati quelli cittadini in quelle loro differenze, non si muovessero contro di loro. Il che, come si vide, non tornò poi loro a proposito; perchè, essendo rotti a Vailà,[1] subito una parte di quelle prese ardire, e tolsono loro tutto lo Stato. Arguiscano pertanto simili modi debolezza del Principe; perchè in un Principato gagliardo mai si permetteranno tali divisioni; perchè le fanno solo profitto a tempo di pace, potendosi, mediante quelle, più facilmente maneggiare i sudditi; ma, venendo la guerra, mostra simile ordine la fallacia sua.

Sanza dubbio li Principi diventano grandi ​ quando superano le difficultà e le opposizioni che son fatte loro; e però la fortuna, massime quando vuole far grande un Principe nuovo, il quale ha maggiore necessità di acquistare riputazione, che uno ereditario, gli fa nascere de’ nimici, e gli fa fare delle imprese contro, acciocchè quello abbia cagione di superarle, e su per quella scala, che gli hanno portata i nimici suoi, salir più alto. E però molti giudicano che un Principe savio, quando ne abbia l'occasione, deve nutrirsi con astuzia qualche inimicizia, acciocchè, oppressa quella, ne seguiti maggiore sua grandezza. Hanno i Principi, e specialmente quelli che son nuovi, trovato più fede e più utilità in quelli uomini, che nel principio del loro Stato son tenuti sospetti, che in quelli che nel principio erano confidenti. Pandolfo Petrucci Principe di Siena reggeva lo Stato suo più con quelli che furono sospetti, che con gli altri. Ma di questa cosa non si può parlare largamente, perchè ella varia secondo il subietto; solo dirò questo, che quelli uomini che nel principio di un Principato erano stati nimici, che sono di qualità che a mantenersi abbino bisogno di appoggio, sempre il Principe con facilità grandissima se li potrà guadagnare; e loro maggiormente son forzati a servirlo con fede, quanto cognoscono essere loro più necessario cancellare con l'opere quella opinione sinistra che si aveva di loro; e così il Principe ne trae sempre più utilità, che di coloro, i quali, servendolo con troppa sicurtà, trascurano le cose sue. E poichè la materia lo ricerca, non voglio lasciare indietro il ricordare a un Principe che ha preso uno Stato di nuovo, mediante i favori intrinsechi di quello, che consideri bene qual cagione abbi mosso quelli che l'hanno favorito, a favorirlo; e se ella non è affezione naturale verso di quello, ma fusse solo perchè quelli non si contentavano di quello Stato, con fatica e difficultà grande se gli potrà mantenere amici; perchè e’ fia impossibile che lui possa contentargli. E discorrendo bene con quelli esempi che dalle cose antiche e moderne si traggono la cagione di questo, vedrà esser molto più facile il guadagnarsi amici quelli uomini che dello Stato innanzi si contentavono, e però erano suoi nimici, che quelli, i quali, per non se ne contentare, gli diventarono amici, e favorironlo ad occuparlo.

È stata consuetudine de’ Principi, per poter tenere più sicuramente lo Stato loro, edificare fortezze che sieno briglia e freno di quelli che disegnassino far loro contro, ed avere un rifugio sicuro da un primo impeto. Io lodo questo modo, perchè gli è usitato anticamente. Nondimeno Messer Niccolò Vitelli ne’ tempi nostri si è visto disfare due fortezze in Città di Castello, per tener quello Stato. Guid'Ubaldo Duca di Urbino, ritornato nel suo Stato, donde da Cesare Borgia era stato cacciato, rovinò da fondamenti tutte le fortezze di quella provincia; e giudicò senza quelle più difficilmente riperdere quello Stato. I Bentivogli, ritornati in Bologna, usarono simil termine. Sono adunque le fortezze utili o no, secondo li tempi; e se ti fanno bene in una parte, ti offendono in una altra. E puossi discorrere questa parte così. Quel Principe che ha più paura de’ popoli, che de’ forestieri, deve fare le fortezze; ma quello che ha più paura de’ forestieri, che de’ popoli, deve lasciarle indietro. Alla Casa Sforzesca ha fatto e farà più guerra il castello di Milano che vi edificò Francesco Sforza, che alcun altro ​ disordine di quello Stato. Però la migliore fortezza che sia, è non essere odiato da' popoli; perchè ancora che tu abbi le fortezze, ed il popolo ti abbi in odio, le non ti salvano; perchè non mancano mai a’ popoli, preso che egli hanno l’armi, forestieri che gli soccorrino. Ne’ tempi nostri non si vede che quelle abbin fatto profitto ad alcun Principe, se non alla Contessa di Furlì quando fu morto il Conte Girolamo suo consorte; perchè, mediante quella, potè fuggire l’impeto popolare, ed aspettare il soccorso di Milano, e ricuperare lo Stato; e li tempi stavano allora in modo, che il forestiero non poteva soccorrere il popolo. Ma dipoi valsono ancor poco a lei, quando Cesare Borgia l’assaltò, e che il popolo nimico suo si congiunse col forestiero. Pertanto ed allora, e prima, saria stato più sicuro a lei non essere odiata dal popolo, che avere le fortezze. Considerate adunque queste cose, io loderò chi farà fortezze, e chi non le farà; e biasimerò qualunque, fidandosi delle fortezze, stimerà poco l'essere odiato da’ popoli.

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  1. Si riferisce alla Battaglia di Agnadello.