Filosofia dell'informatica/Teorie filosofiche del digitale

Indice del libro

Nicholas Negroponte: essere digitali

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Nicholas Negroponte

"Essere digitali" è un libro del professor Negroponte riguardante il confronto generazionale e l'abisso che separa generazioni apparentemente conseguenziali ma totalmente differenti tra di loro a causa dell'avvento del digitale che, nel corso di venti anni circa, ha totalmente modificato gli stili di vita dell'umanità allontanando i punti di vista tra genitori e figli. Il libro è nato, perciò, con lo scopo di rendere noto ciò che è considerato ignoto alle generazioni nate e cresciute senza la presenza di Internet; generazioni che finiranno per imparare da quelle successive. Per esplicare in maniera semplice questo cambiamento, in una delle interviste sostenute, Negroponte parla di bit ed atomi per descrivere la rivoluzione digitale della nostra epoca. Un bit in ambito digitale ha la stessa valenza di un atomo con la differenza che, se un atomo "sottratto" crea un vuoto, per ogni bit "sottratto" ve ne è sempre uno che rimane.

L'avvento del computer si sviluppa verso la fine del 1994, quando i primi mezzi della tecnologia sono finiti nelle case private. La vera svolta, però, è delineata dall'uso e dalla diffusione di Internet nel quotidiano che ha creato un punto di riferimento così grande da poter far crollare ogni altra forma di comunicazione. La velocità con la quale ha sovvertito sia gli scopi per i quali fu creato (Negroponte ci ricorda quelli militari) che il mondo lavorativo e quello sociale, ci mostra la grandezza e l'incontrollabilità della rete. Molti credono che l'avvento di internet e della tecnologia sia un deficit per l'umanità, il professor Negroponte ci fa notare, invece, che oltre ad essere un mondo che può arricchire notevolmente le persone, è anche una prova virtuale del mondo reale che permette anche una corretta educazione attraverso esperienze che, proprio perché virtuali, non nuocciono all'infante. Inoltre, gli approcci e le comunicazioni virtuali portano ad avere nel mondo reale, più fiducia nelle persone e più abilità a socializzare. Insomma, la visione della rete da parte di Negroponte, è del tutto positiva, basti pensare alle parole finali rilasciate nell'intervista: "Vedo la rete come uno strumento di potenziamento e armonizzazione [...] credo che Internet sia cresciuto meglio di qualsiasi altro organismo che io conosca nella storia."

Dall'atomo al bit

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Alla domanda su cosa significhi "essere digitali" il professor Negroponte risponde che è semplicemente un modo di vivere chiaro a tutti i bambini del mondo ma ignaro agli adulti. Questi ultimi, infatti, dovrebbero imparare dai bambini e comprendere il passaggio dall'atomo al bit, ossia dal mondo materiale al mondo senza confini e globale. Questa differenza generazionale divide il mondo tra i giovani, al corrente del mondo informatico, e gli anziani convinti che, se per tutta la vita hanno potuto fare a meno di questo tipo di conoscenza, non è necessario imparare ora. Questo errore di pensiero porterà le due generazioni ad allontanarsi ma se gli anziani iniziassero ad imparare dai giovani, il divario di conoscenze, potrà essere colmato in circa 4 anni. Il professor Negroponte, quando fondò il MediaLab, fu spinto dall'interesse al modo in cui le persone comunicano con le macchine e al modo in cui il contenuto dell'informazione può influenzare la tecnologia ed il canale informativo. Per quanto riguarda l'ipotesi di burocratizzazione di internet, il suo pensiero è che sia totalmente impossibile; sia per le sue radici, sia per il suo modo di diffusione, sia per l'assenza di un controllo centrale, internet non potrà mai essere fermato o affidato a delle aziende. Se in televisione si vuole interrompere un programma basta rimuovere il presidente e smettere con la trasmissione; per Internet non è così perché è sia trasmittente che ricevente, non ha controlli e supera tutte le frontiere.

Tra i progetti di MediaLab c'è anche quello di dare spazio alle reti televisive che ci forniranno la giusta informazione in quel momento, degli agenti (ossia programmi informatici che vivono nella rete) sceglieranno per noi tra le moltitudini di programmi ciò che stiamo cercando;saranno una sorta di guide. Inoltre, Internet è un grande mezzo di comunicazione e anche di socializzazione, dà la capacità, tramite anche l'anonimato, di spingersi oltre ciò che nella vita reale, per timore, non chiediamo. È anche un ottimo mezzo per trasformare le piccole imprese in aziende multinazionali con un mercato mondiale, anche se contano due o tre addetti. L'unico lato oscuro di Internet, sul quale il professor Negroponte sostiene di dover ancora lavorare molto, nell'ambito della sicurezza e della privacy, bisogna aumentate la protezione della sfera privata. Per quanto riguarda la sua lentezza, essa è dovuta al fatto che è capace di crescere del 10% ogni mese, in alcuni paesi del 10% in una settimana. Il tasso di crescita è fenomenale ed implica una lentezza. Alla domanda se vivere in modo digitale sia un'idea troppo "americana", Negroponte risponde che, ha viaggiato per tutto il mondo, ha messo in funzione computer in zone più remote e ha notato la destrezza con la quale i più giovani ne fanno uso. Il computer, Internet e vivere digitale è qualcosa appartenente alle nuove generazioni ed è talmente fondamentale da poterlo e volerlo esigere come l'aria.

Jaron Lanier: la realtà virtuale e le distorsioni del web

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Jaron Lanier

Nato a New York il 3 maggio 1960, è un informatico, compositore e saggista statunitense, noto per aver reso popolare l'espressione virtual reality. Scrive per Edge e Discover, e insegna alla UC Berkeley. In una celebre intervista espone la sua concezione di realtà virtuale intesa come strumento di condivisione di nuovi mondi, spiegando che il computer vive nella misura in cui è l'uomo ad attribuirgli delle qualità. Interessante è anche il rapporto tra mondo virtuale e disabili, ma questo resta un argomento abbastanza difficile da trattare in quanto esistono diversi approcci a seconda dei vari tipi di handicap. All'età di soli 20 anni crea la prima società di realtà virtuali, dal nome VPL Research, successivamente acquistata dalla SUN Computer, vendendo in tutto il mondo i primi guanti (data gloves) e apparecchi da mettere in testa (eyephones). Abbandonò poi il progetto a causa di alcuni investitori francesi.

Tu non sei un gadget

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Uno dei suoi saggi più importanti, Tu non sei un gadget, si propone come un'autocritica sui cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie. Lanier analizza tutti gli aspetti di un universo digitale contraddittorio mettendoci in guardia dai mercati finanziari e da siti che troppo spesso privilegiano "l'intelligenza collettiva", mettendo in crisi l'idea di sapere. Per questi motivi definisce Wikipedia come un "maoismo digitale". Le tecnologie sono estensioni del nostro io e il minimo dettaglio di un gadget può alterare la nostra identità. Perciò non dovremmo cercare di rendere il più efficiente possibile la mentalità di branco quanto cercare di introdurre il fenomeno dell'intelligenza individuale, seppure resta difficile esprimere attraverso una formula qualunque cosa sia una persona. Per Lanier essere una persona rimane una ricerca, un mistero, un atto di fede.

Egli afferma che la tecnologia sta trasformando l'uomo in esseri standardizzati, privi di individualità e di coscienza e profetizza che se le persone continueranno a essere schiave della tecnologia e a non considerare il proprio valore, esaltando invece le cloud di persone online, si finirà per creare "un esercito di zombie".[1]". Opera una critica al web 2.0 e alle nuove tecnologie ,che stanno causando un impoverimento della cultura, e ai social networks. Siti come Facebook attuano una specie di formattazione dell'identità riducendo l'amicizia ad una accumulazione di contatti personali. Essi sono anche colpevoli di ridurre i singoli a " gadget", manipolabili dal soffocante totalitarismo cibernetico. Il suo obiettivo, è appunto "evitare di ridurre le persone a meri dispositivi... ".[2]". Lanier propone come soluzione l'arricchimento della profondità della comunicazione.Si tratta di un'idea di progresso basata sulla comunicazione post–simbiotica, ovvero la possibilità di trasformare la propria forma mentre si parla, creando un'esperienza diretta.

La dignità ai tempi di internet

Jaron Lanier pubblica il 7 marzo 2013 l'opera Who owns the future? tradotta in italiano da Alessandro Delfanti con il titolo " La dignità ai tempi di internet".É un saggio che ha come obiettivo quello di esporre una risoluzione al gravoso problema dell' iperdisoccupazione che l'avvento e il progresso continuo e costante delle macchine digitali ha apportato. I server Sirena sono ditte in cui si accumulano informazioni personali e non, che la classe media dispensa in cambio di servizi gratuiti. Questi server non pagano chi contribuisce con i propri dati, accrescono le loro ricchezze celando questo passaggio agli uomini. La proposta di Lanier è un 'alternativa ripresa da un 'idea di Ted Nelson,proponendo un sistema di collegamento a due vie che punta alla fonte di qualsiasi informazione, sviluppando un' economia di micropagamenti che retribuisce la creatività e l'originalità del materiale che pubblicano sul web.

Jean Baudrillard: la scomparsa della realtà

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Jean Baudrillard

Il pensatore francese Jean Baudrillard è una delle principali figure intellettuali dell'epoca contemporanea; il suo lavoro combina la filosofia, la teoria sociale e una metafisica culturale che riflette sugli avvenimenti chiave dell'era presente,critico tagliente della società, della cultura e del pensiero contemporaneo. Ha tracciato in maniera originale la vita dei segni e l'impatto della tecnologia sulla vita sociale e ha criticato sistematicamente le correnti principali del pensiero moderno, sviluppando nello stesso tempo le proprie prospettive filosofiche.

La realtà per Baudrillard è già scomparsa in un certo modo, sgretolata sotto la spinta delle tecnologie moderne, inizialmente da una parte c'era il mondo reale, e dall'altra l'irrealtà, l'immaginario, il sogno, nella dimensione virtuale tutto questo viene assorbito in egual misura, e le care vecchie contraddizioni fra realtà e immaginazione, vero e falso, e via dicendo, vengono in certo modo sublimate dentro uno spazio di iper-realtà che ingloba tutto compreso il rapporto fra soggetto e oggetto. Entrambi, in via di principio, sono elementi interattivi, ma il soggetto in questo caso non ha più una sua posizione,una condizione vera,la sua posizione è pericolosamente minacciata se non eliminata dal mondo del virtuale.

Lo stesso Baudrillard cerca di chiarire tale situazione riprendendo il mito della caverna di Platone utilizzato come chiave di interpretazione del conflitto fra reale e virtuale. Nel mondo reale noi non siamo che il riflesso di un'altra sorgente, che esiste altrove, una fonte luminosa dinanzi alla quale però si interpone un corpo, che genera delle ombre. Nel mondo virtuale, invece,non ci sono né apparenze né essere, non esistono ombre giacché l'essere è trasparente, in un certo senso può essere inteso come il dominio della trasparenza totale,non abbiamo più ombra ,l abbiamo persa,abbiamo perso in realtà l essere stesso,la sua opacità,il suo spessore e profondità.

Nel suo libro Il delitto perfetto troviamo la ricostruzione di un delitto, ovvero la morte della realtà e lo sterminio delle illusioni ad opera dei media e delle nuove tecnologie. Il testo tratta in effetti dell'uccisione della realtà e più ancora delle illusioni,intese come una parte diversa del nostro rapporto con l'esistente che è stata completamente compromessa da questa operazione del virtuale che può essere definita appunto come una sorta di "delitto" ma che in fondo non è che una metafora un poco esagerata,in quanto il tutto è molto più vicino alla eliminazione. Questo universo reale infatti, imperfetto e contraddittorio, pieno di negatività, di morte, viene depurato, lo si rende pulito; lo si riproduce ,in maniera identica ma dentro a una formula perfetta.

L'atteggiamento di critica riprendendo il pensiero critico tradizionale non può inoltre che essere considerato anti-mediatico, muovendo obiezioni ai media. I media fanno un lavoro considerato essenziale nella strategia del delitto perfetto,l'obiettivo dei media è stato quello di eliminare effettivamente il principio morale e filosofico della verità, per installare al suo posto una realtà completamente ingiudicabile, una situazione di incertezza. Si sono dedicati a smontare questo principio di verità, autorità e certezza che rappresenta del resto, il fondamento di tutta una civiltà. Allo stesso modo tutta la tecnica in generale, non solo i media, ma gli strumenti tecnici, le macchine, eccetera, sono in un certo senso anch'essi dei mezzi per togliere realtà al mondo, e per instaurare una sorta di incertezza e finalmente di amoralità delle cose. Ogni tentativo di opporsi a questo processo basato nel ricreare, ritrovare un senso etico è destinato a fallire. In quanto la morale presuppone nell'uomo ,un principio di libertà e responsabilità,elementi che sono stati largamente marginalizzati durante questo processo.

Baudrillard afferma che bisogna credere nella realtà affinché il rapporto con essa possa cambiare, si è creato infatti con le nuove tecnologie un rapporto da credente/incredulo che ci ha resi via via più scettici e che condurrà la gente al non credere più a nulla. Il vero problema sarà capire dove o a cosa questo rapidissimo sviluppo tecnologico porterà, viene presa in considerazione la possibilità di incidenti collettivi come la probabile catastrofe che si aspettava in occasione dell'anno 2000 con il Bug dei computer,evento paradossale dove la nostra catastrofe viene prevista come una catastrofe virtuale messa in atto da noi stessi.

Bug aspettato con timore, ma al contempo come una fascinazione. La scadenza simbolica del millennio serve precisamente a cristallizzare questa ricerca dell'immaginario, si ha quindi una specie di speranza nell'anno 2000 l'idea che si riazzereranno tutti i computer, che si lavi via il ventesimo secolo così pieno di violenza e guerre, e che si ricomincerà da capo con una forma di innocenza collettiva. Questa speranza esiste, ma al contempo si affianca a una speranza inversa, ossia non proprio che tutto sprofondi ma che si verifichi un vero disastro, un incidente di ignara natura, il quale dia vita a un evento davvero determinante e decisivo.

Il filosofo francese inoltre ci spiega come la tecnologia si spinge ancora oltre,cercando di sopprimere l'idea stessa di morte attraverso la clonazione. La morte individuale verrà sostituita da un'impresa tecnica che porterà ad un forma di immortalità,verrà espulsa ed eliminata dall'ambito della vita,per mantenere di quest'ultima nient'altro che i lati positivi, cancellando tutti quelli negativi. Di conseguenza la stessa industrializzazione avvenuta in passato in termini piuttosto di forza produttiva e in relazione al lavoro,ora sfrutterà qualcosa di molto più profondo ossia dell'idea di non morire, di perpetuarsi, insomma dell'idea dell'eternità arrivando ad acquisire una valenza del tutto economica.

Pierre Lévy: l'intelligenza collettiva

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L'intelligenza collettiva è un tipo di intelligenza distribuita ovunque c'è umanità. Quindi se due persone sono lontane, tramite le nuove tecnologie, possono entrare in comunicazione l'una con l'altra e scambiarsi il loro sapere. Ciò, però comporta nuovi problemi etici ma l'intelligenza collettiva ha un'etica che consiste nel riconoscere alle persone le proprie qualità e di metterle a disposizione di tutta la comunità per poterne beneficiare. Per fare ciò, inoltre, bisogna che ogni individuo possa esprimersi liberamente ed è questa la prospettiva dell'intelligenza collettiva, quella di opporsi ad ogni tipologia di oppressione e di lottare per l'emancipazione. L'intelligenza collettiva è quindi, interattività, ad esempio con il cyber spazio, i forum di discussione elettronici, con Internet c'è la possibilità che tutti possano comunicare con tutti ma all'interno di ciò nessuno è obbligato a condividere le idee degli altri e ognuno può prendere la propria posizione. Questo, comporta dei pericoli, come la perdita del vero motivo per cui è stato creato, quello di creare un movimento sociale in grado di arricchire la civiltà e l'essere umano. Infatti, i governi stanno usando questo spazio per tentare di costruire un apparato collettivo, una sorta di "grande televisione", oppure i commercianti che vedono questo spazio come un luogo dove vendere i propri prodotti o recuperare attività commerciali.

In rete, comunque, si trova una massa enorme di informazioni, una totalità di informazioni a cui noi no possiamo accedere nella totalità e quindi, dobbiamo necessariamente fare appello ad altri, alle conoscenza altrui. Ad esempio, se mettiamo sul World Wide Web un documento, ma anche il nostro punto di vista. Il world wide web non è solo una massa di informazioni ma anche un insieme di punti di vista.

L'intelligenza collettiva ha all'interno una forma di organizzazione chiamata "intelligenza connettiva", ovvero una connessione da persona a persona all'interno di una rete specifica.

Tomás Maldonado: la critica del paradigma digitale

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Reale e virtuale (1992)

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Critica della ragione informatica (1997)

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Tomás Maldonado

"Sono profondamente convinto che le tecnologie, se si vuole tutelare la loro carica innovativa, devono restare sempre aperte al dibattito delle idee"". In questi termini Maldonado conclude la prefazione di Critica della ragione informatica, un saggio pensato per approfondire, in primo luogo, il rapporto tra le tecnologie telematiche e le dinamiche imprevedibili della società. E seppure il titolo lascia pensare tutt'altro, il filosofo e designer argentino non vuole affatto contestare le nuove tecnologie informatiche, né gli effetti del loro impatto sulla società, bensì prendere le distanze dal conformismo e dal trionfalismo dilagante nei confronti di tali tecnologie.

Il termine "critica", infatti, afferma Maldonado in un'intervista del '97, deve essere inteso in senso kantiano e cioè non come giudizio ma come analisi, per arrivare a determinate conclusioni attraverso l'esplorazione di pro e contro. Pertanto con "ragione informatica" si fa riferimento a tutte le argomentazioni che vengono utilizzate per fornire una giustificazione storica delle nuove tecnologie informatiche e in particolare di Internet. Ovviamente, trattandosi di realtà emergenti su scala mondiale, le opinioni a riguardo non possono che essere varie e controverse. L'infinita potenzialità delle nuove tecnologie telematiche, infatti, non può che suscitare dubbi e perplessità. Ma la loro efficienza nella vita quotidiana ha contribuito ad un radicale mutamento della società e, di conseguenza, i sospetti tanto acclamati dagli studiosi, hanno lasciato spazio ad una prepotente enfatizzazione. Proprio in essa Maldonado ha scorto il male più deleterio, poiché ci ha fatto dimenticare di questioni aperte su cui è necessario riflettere; infatti "niente può essere più pericoloso, in questo momento, che mandare in congedo l'intelligenza critica".

Le questioni da prendere in considerazione sono molte, tuttavia è certo che i pro, nel mondo virtuale delle informazioni, sono nettamente maggiori dei rischi in cui ci si può imbattere. La rete infatti è nata per ampliare la conoscenza umana riprendendo la tradizione socratica della ricerca, pertanto la sua esponenziale crescita e diffusione, derivata anche da una circolazione economica maggiore, ha procurato effetti imprevedibili, quali: eccesso di informazione, disinformazione, impoverimento del patrimonio linguistico, trasformazioni di identità.

L'aspetto accidentale più inquietante è senz'altro la nascita di una scrittura fortemente stereotipata proveniente non dalla nascita di internet ma dall'invenzione di software per la comunicazione virtuale, come e-mail e chat. Quest'ultimo in particolare, ha aperto la strada ad un cyber-gergo basato su espressioni tecniche che omettono gli aggettivi. Inoltre questo nuovo linguaggio non è dannoso esclusivamente al patrimonio linguistico ma soprattutto influenza negativamente il nostro modo di pensare e di essere. Con le "chiacchiere" attraverso Internet, infatti, è possibile divenire l'oggetto di desiderio della persona dall'altro lato dello schermo, presentandosi con una personalità virtuale identica a quella reale dell'interlocutore. Attraverso la rete quindi, un individuo può attribuirsi le sembianze che desidera adattandosi alle occasioni assumendo così diversi tipi di individualismi.

Tali rapporti, stabiliti attraverso la rete, creano, inoltre, delle comunità virtuali, le quali nascono, infatti, per un processo simpatetico ovvero di similitudine e interesse che la gente ha nei confronti di particolari argomenti. Ma questa assimilazione di interessi rappresenta anche un limite. Se infatti, da una parte, queste comunità esprimono un potenziale solidaristico, per esempio, in funzione dei malati, dall'altra rappresentano un problema circa la democratizzazione. Infatti, un processo democratico reale non può avvenire nel caso in cui gli individui di una comunità si confrontano con identità finte, né tanto meno se i membri di questa comunità possiedono gli stessi interessi. Una democrazia ricca non si basa su comunità di gente che si assomiglia o che ha gli stessi interessi, piuttosto su una varietà di individui che comunichino idee, preferenze e valori differenti. D'altronde una democrazia frantumata in una serie di comunità di simili non può rappresentare l'ideale di vita democratica.

Il cyberspazio, comunque, è considerato dai suoi promotori e interpreti un contributo fondamentale per agevolare una democrazia diretta e accrescere così tra i cittadini una consapevolezza politica. L'informazione, infatti, predispone gli individui ad una presa di coscienza del funzionamento politico e burocratico con cui sono a contatto. Inoltre, la creazione delle cosiddette reti civiche, attraverso le quali i cittadini vengono in possesso di tali informazioni, ha permesso di rinforzare l'operatività democratica offrendo, inizialmente l'avanzamento di proposte, e poi altri elementi importanti all'esercizio della cittadinanza. Un altro vantaggio della rete, oltre all'informazione, è senz'altro la possibilità di lavorare a distanza evitando di recarsi necessariamente alla sede della propria occupazione. In questo modo, nell'immaginario collettivo, il lavoratore, tramite il computer, avrà più libertà e potrà gestire più facilmente il suo tempo. Ma questo processo costituisce solo in parte la realtà quotidiana. Infatti, quando si parla di telelavoro, non si deve immaginare un lavoratore casalingo "in pantofole", piuttosto un impiegato che esegue mansioni specifiche, come commessi viaggiatori che contraggono contratti in tutto il mondo, giornalisti, i quali possono effettivamente scrivere articoli entro gli spazi domestici, fotografi o chi si occupa di ricerche di marketing. Pertanto il telelavoro non si può estendere anche in quei settori ancora troppo tradizionali ove la presenza reale è indispensabile, o forse è ancora troppo presto adattare le risorse tecnologiche in nostro possesso a tutti gli ambiti lavorativi. Ma probabilmente la questione non è il progresso tecnologico quanto l'alienazione degli individui dal loro ruolo familiare, i quali, entrando nel mondo della produzione, dovrebbero pagare il prezzo altissimo della desocializzazione.

È evidente però che le nuove tecnologie e in particolare il fenomeno di internet, hanno favorito eccessivamente il mercato del lavoro e, insieme ad esso, una globalizzazione economica che ha consentito l'accesso a tutti i mercati possibili compreso quello della tecnologia che, di conseguenza, ha fornito la base tecnica e strumentale per un ulteriore ed esponenziale incremento della globalizzazione. Mentre però la globalizzazione economica e quella tecnologica sono oggetto di discussioni sia a favore che contro la loro utilità, per quanto riguarda quella culturale vi è un diniego generale poiché più che essere considerata un'enfatizzazione del sapere significa egemonizzare una sola e determinata cultura che come sappiamo è quella americana. Pertanto è necessario sollevare una seria riflessione ed essere vigili su tale processo per evitare l'annichilimento di usi, costumi e consuetudini caratteristici dei popoli. Inoltre non bisogna confondere la capacità di internet di divulgare l'informazione con la sua abilità di generare omologazione. Ma questo problema, se da una parte è deleterio per il modo di pensare, dall'altra costituisce il sistema più veloce e completo per comunicare ed aggiornarsi, aspetti importanti nel XX secolo e ancor più nel XXI. Pertanto, esercitare nella rete forme di controllo, costituisce il metodo più comprensibile per ovviare questioni rischiose di carattere economico e socioculturale.

Maldonado però solleva giustamente dubbi sulla questione della censura perché ritiene necessario valutare il prezzo che si paga per essa e per la libertà di espressione. Tra l'altro, anche se non fossimo soggetti a nessuna forma di controllo, non saremmo altrettanto autonomi in quanto attori sociali che partecipano inconsciamente a tale processo. Infatti, noi entriamo in rete con determinate istanze e quindi con un nostro bagaglio di autocontrollo e autocensura. Pertanto seppure ci fosse concessa la piena libertà nel cyberspazio, noi con la nostra cultura porteremmo in esso una forma di controllo astratta. La globalizzazione, comunque, seppure ha travolto miliardi di persone, non è riuscita, nel suo profilo tecnologico, a condizionare più di un terzo dell'umanità. Se da un lato si pensava che Internet avrebbe armonizzato i rapporti tra gli individui e attuato un processo di uguaglianza, dall'altro non si prevedeva un'ulteriore emancipazione dei soggetti economicamente limitati. Infatti, si è venuta a creare, oltre al già presente divario tra l'emisfero nord e sud del pianeta, un'altra cernita di soggetti denominati info-poveri e info-ricchi. È probabile però, afferma Maldonado alla fine del secolo scorso, che in un futuro prossimo ciascun individuo potrà avere accesso a Internet anche se, questa prospettiva deve tener conto di indeterminati fattori di democratizzazione tecnologica e verificare condizioni ancora oggi incalcolabili, quali lo sviluppo economico, sociale e culturale che non lasciano presagire la direzione che potranno avere gli eventi socioculturali: "con le crisi sociali, etniche, di religione che caratterizzano i nostri tempi e fanno di quest'epoca, un'epoca di convulsioni è difficile immaginare in tempi brevi una regolamentazione globale dello strumento Internet".

Memoria e conoscenza (2005)

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Memoria e conoscenza – Sulle sorti del sapere nella prospettiva digitale è un saggio scritto da Tomás Maldonado nel 2005. In questo saggio, il designer e filosofo argentino ripercorre un excursus storico-genetico della cultura e del sapere umano, concentrando il tema sul rapporto fra identità personale e memoria, sulla prassi e la poiesi fra tradizione ed innovazione, sul riconoscimento del proprio bagaglio mnesico negli spazi vissuti, sulle ricadute educative nelle nuove generazioni, alle prese con un forte richiamo alla creatività computazionale, sulla complementarità fra tecnica e società. L'attenzione inizialmente ricade sulla memoria localizzata, che per l'autore è impossibile da definire attraverso un procedimento olistico. La memoria umana non è soltanto cervello, ma pluralità di memorie parziali, a partire anche dal nostro modo di comunicare. Il parlare, lo scrivere, il leggere hanno dato la possibilità all'uomo di progredire e di crescere insieme a ciò che ha creato. Da qui, la nuova tecnica di lettura-scrittura elettronica, il romanzo ipertestuale, che possiede caratteristiche molto diverse dal tradizionale modo di narrare.

Maldonado differenzia la memoria ad occhio nudo, intesa come osservazione introspettiva, come tradizione d'indagine sulla memoria (dalla mnemotecnica lulliana fino ai moderni calcolatori elettronici), dalla memoria in laboratorio, che concerne lo studio scientifico della memoria (dagli esperimenti mentali al rapporto mente/corpo). La memoria autobiografica è strettamente legata all'ambiente domestico, denso di richiami ad oggetti materiali e non. L'autore tocca diversi autori, dal Medioevo al XVI e XVIII secolo, per descrivere l'uomo che richiama il proprio vissuto nella familiarità degli ambienti, dove il susseguirsi dello spazio e del tempo scandiscono un'abitudine simbiotica con la casa, o prendendo una piega cosmopolita senza fili conduttori, senza radici. La memoria e la sua perdita di riferimenti, dalla comunicazione ai luoghi dell'abitare, ricade inevitabilmente sulle nuove generazioni, che crescono con metodi educativi nuovi ma non sempre positivi. Lo sviluppo psico-motorio, dai videogiochi d'azione competitiva al semplice iper-utilizzo dei PC e dei telefoni cellulari, viene a rallentarsi, bloccando la possibilità di confronto diretto con il mondo esterno. L'oggetto tecnico ha assunto un carattere qualitativo, autonomo nell'ultimo secolo. Maldonado si concentra sulla complementarità fra oggetto tecnico ed istanza sociale, dando alla tecnica un particolare statuto ontologico, non concependola però come fattore preponderante sulla società. Da qui, nell'appendice si aprono due ulteriori capitoli, dove vengono richiamati gli occhiali da vista come oggetto tecnico/istanza sociale, e la scrittura stereotipica/antistereotipica: il cyber-gergo e l'ambito metaforico-privato di definizione terminologica, che si esplica in infinite soluzioni differenti, portando il nostro modo di scrivere, di leggere, di parlare, di pensare e di ricordare ad un cambiamento radicale nel tempo.

Howard Rheingold: le comunità virtuali

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Howard Rheingold

Howard Rheingold, nato a Phoenix il 7 luglio 1947, è un critico letterario, sociologo e saggista statunitense. Si è specializzato sulle implicazioni culturali, sociali e politiche dei nuovi media. Nel 1987 ha pubblicato "Le Comunità Virtuali". Rheingold sostiene che una comunità virtuale è un gruppo in cui i componenti pur non incontrandosi di persona, scambiano parole e idee attraverso la mediazione delle reti. Esse iniziarono a diffondersi nella metà degli anni '80 grazie allo sviluppo delle BBS cioè computer abilitati a ricevere chiamate simultanee. Una delle comunità virtuali fu The Well. Le comunità virtuali oltre ad essere luoghi di discussione, sono anche strumenti utili per la ricerca delle informazioni. Pertanto, si partecipa ad una comunità online non solo per la costruzione di relazioni interpersonali, ma anche per un bisogno formativo. Essa è elettiva, ovvero frutto di una scelta personale, motivo per il quale si contraddistingue dalle comunità locali.

Nel 2013, egli ha pubblicato il suo ultimo saggio Perché la rete ci rende intelligenti. Il testo si propone di essere una sorta di guida, un manuale di educazione alla cybercultura. All'interno del libro, l'autore mette in luce tutte le problematiche concernenti la nostra attività sul Web, ma sottolinea anche come riuscire a migliorarla tramite cinque competenze fondamentali, i "cinque alfabeti": attenzione, rilevazione delle bufale (crap detection), partecipazione, collaborazione e intelligenza a misura di rete (network smart). Infine, nell'ultimo capitolo, vengono tratta tematiche quali la privacy, le dispute riguardo all'utilizzo del copyright e alla cultura del remix, accompagnate da alcuni consigli per i genitori alle prese col Web.

Perché la rete ci rende intelligenti?

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L'attenzione è una facoltà essenziale per un uso consapevole delle nuove tecnologie digitali le quali, secondo Rheingold, hanno cambiato il modo in cui utilizziamo le nostre risorse attentive. Cambiamento che si manifesta in attività come il multitasking che rende più difficile eseguire in modo efficace ogni singolo compito perché non è, come alcuni sostengono, un lavorare parallelamente a cose diverse ma è un passaggio rapido da un'attività all'altra che implica un costo in termini di dispendio di energie mentali. Secondo Rheingold attraverso un costante esercizio possiamo migliorare il nostro autocontrollo dell'attenzione. Rheingold riporta l'opinione di Steve Jobs secondo il quale dobbiamo imparare a dire no, perché è impossibile approfittare di tutte le opportunità offerte dal Web. Secondo l'autore dobbiamo imparare a controllare il respiro, il quale unisce mente, cervello e corpo e migliora la consapevolezza.

Tra le componenti del pensiero Rheingold assegna un ruolo primario alla funzione esecutiva che coordina attenzione e memoria e rende possibile quella che gli psicologi definiscono metacognizione, cioè l'atto di riflettere sul proprio pensiero che svolge un ruolo centrale per assumere il controllo della nostra vita online. Guadagnare l'autocontrollo dell'attenzione richiede in primo luogo intenzionalità: quando ci poniamo un obiettivo dobbiamo avere la reale intenzione di raggiungerlo. L'intenzione ci consente di concentrarci sul nostro obiettivo trascurando gli elementi meno importanti. Dobbiamo sempre tenere presente il nostro obiettivo prioritario, chiedendoci a intervalli regolari se l'attività online a cui ci stiamo dedicando è utile ai nostri scopi. La distrazione dei genitori dovuta all'uso eccessivo dei social media ha un impatto negativo sull'educazione dei figli, per questo motivo bisogna mettere da parte lo smartphone e non trascurare i propri figli.

Rheingold riporta l'opinione di Nicholas Carr, autore dell'articolo Google ci rende stupidi? secondo il quale le reti digitali danneggerebbero il nostro cervello e la nostra cultura, compromettendo la nostra capacità di pensare in modo approfondito e generando modifiche neuroplastiche indesiderate. Rheingold non è d'accordo sul processo indicato da Carr, perché una cultura può migliorare anche in presenza di un'abbondante informazione e di molti modi di comunicare. Secondo R. la posizione di Carr(determinismo tecnologico) può essere altrettanto pericolosa che un atteggiamento acritico verso le insidie nascoste nell'uso delle tecnologie digitali. Gli esseri umani hanno margine d'azione. Il Web non si sarebbe mai sviluppato senza questo margine. Secondo Rheingold l'influsso dello schema mentale promosso da Internet dipende da noi, proprio come è accaduto per lo schema mentale alfabetico e quello della stampa di Gutenberg. Secondo Rheingold possiamo imparare a trasformare i nuovi modi di pensare in qualcosa di positivo, come abbiamo fatto con la cultura alfabetica- criticata da Socrate e Platone- grazie a regole e istruzione. La ricerca di informazioni online dovrebbe delinearsi come un processo di costruzione della conoscenza, favorito da strumenti come i link. Bisogna educare le persone ad uso cosciente dei media fin da piccoli. Rheingold infine consiglia tecniche meditative come la mindfullnes e di adottare un nuovo tipo di comportamenti che mettano in relazione i nostri obiettivi con la nostra attenzione.

Nel secondo capitolo Rheingold ci fornisce alcuni preziosi consigli per la rilevazione delle bufale online(crap detection). Anzitutto consiglia di abbracciare a priori un atteggiamento scettico: bisogna rifiutare di iniziare a credere in qualcosa, continuare nelle nostre ricerche anche dopo che abbiamo trovato una risposta e indagare su quella risposta anziché accontentarci di una verifica superficiale. Dobbiamo consultare anche le pagine successive dei risultati di una ricerca e fare ulteriori ricerche sulla base delle parole che troviamo negli snippet. Nel mondo delle informazioni online spetta a chi usufruisce delle informazioni controllarle e verificarle. Quando facciamo una ricerca possiamo utilizzare parole che potrebbero esserci nella pagina che ci interessa: nel porre la domanda dobbiamo immaginare le possibili risposte. Possiamo aggiungere termini come tutorial o introduzione se vogliamo trovare delle istruzioni pratiche per fare qualcosa, oppure termini come saggio critico o giudizio negativo se cerchiamo delle opinioni contrarie.

Per valutare l'affidabilità e la credibilità di un sito online dobbiamo scoprire chi ne è l'autore e vedere quello che gli altri dicono a proposito di quello autore( Rheingold ci consiglia di utilizzare il sito Whois che ci consente di scoprire il titolare di molti siti web), indagare sulle fonti e vedere le opinioni relative a tali fonti. Se l'autore del sito ci consente di comunicare con lui, aumenta il livello di credibilità del sito ;se il sito ha un dominio .gov o .edu la credibilità aumenta. Dobbiamo controllare i link collegati al sito e chi li ha messi. La qualità e l'usabilità del design, la freschezza degli aggiornamenti, la presenza di errori tecnici come link non attivi, sono tutti elementi da prendere in considerazione per valutare le informazioni online. Una tecnica efficace per individuare le bufale è la cosiddetta triangolazione, cioè la ricerca di tre fonti diverse che confermino la medesima notizia.

A volte la capacità di individuare le bufale è una questione di vita o di morte quando si tratta di informazioni di carattere medico. La rete è piena di persone ben intenzionate ma pericolosamente malinformate e di veri e propri ciarlatani che speculano sui problemi delle persone. Ragion per cui Rheingold consiglia di prestare la massima attenzione e di affidarsi soltanto a siti autorizzati e sicuri come Science Direct o alla Fondazione Health on The Net ,che consente di controllare informazioni mediche su qualsiasi sito. Dobbiamo stare attenti alle bolla-filtro creata dalle nostre ricerche. Oltre al problema delle informazioni false Rheingold evidenzia quello delle troppe informazioni che arrivano troppo rapidamente, che può essere contrastato attraverso la tecnica dell' infotention. Un termine che descrive una sintesi di competenze mentali sull'attenzione e di filtri tecnologici per l'informazione e che possiamo attuare attraverso l'uso di filtri, radar e soprattutto disponendo le nostre dashboards in modo tale da riflettere le nostre priorità.

Nel terzo capitolo l'autore analizza le forme di partecipazione online e sottolinea come siano diventate autentiche forme di potere. Usare al meglio blogs, tweets, wikis, saper produrre e organizzare online ha assunto un significato di carattere politico, culturale ed economico. Il know-how digitale offre un potere senza precedenti. I pc e gli smartphone possono trasformarsi in strumenti di varia natura che consentono le attività sociali più disparate, anche l'organizzazione politica. Tutti i vantaggi che derivano dall'attività online sono propri di chi sa partecipare e non di chi si limita ad usufruire dei prodotti culturali degli altri. In passato la comunicazione delle informazioni era riservata a pochi, oggi invece i consumatori hanno un ruolo attivo e non sono più semplici lettori ma prosumer, cioè produttori e creatori di contenuti culturali. La partecipazione può essere agevolata dall'amicizia o da un interesse comune e può cominciare con attività banali come metter un tag.un like, o inserire un sito web tra i preferiti, o modificare una pagina di wikipedia, fino a passare ad attività più impegnative come la cura dei contenuti, la creazione di un blog o di una community. Aprire un blog è un modo per trovare la nostra voce e il nostro pubblico, metterci in collegamento con comunità che la pensano come noi, migliorare il nostro profilo digitale, influenzare gli altri e contribuire al bene comune.

Da sempre facciamo delle scelte per decidere a cosa prestare attenzione, nel mondo online tali scelte influenzano anche quello cui altri prestano attenzione. Questo è ciò che si intende con cura in riferimento ad alcune pratiche online. Il termine descrive il modo in cui tutti coloro che utilizzano il web attivamente possono assumere la funzione di selezionatori di informazioni gli uni per gli altri, creando con le loro scelte delle raccolte di link riutilizzabili. Ogni volta che una persona recensisce un link, contribuisce al lavoro di cura editoriale del web. Rheingold fornisce dei consigli per la cura dei contenuti, come collegare, riordinare, distribuire, aggiornare, verificare le bufale, esprimere un opinione, aggiornare, monitorare il proprio pubblico. rispondere ai commenti ecc. Dobbiamo cercare di capire ci potrebbe sfruttare il nostro playbor, cioè chi può usufruire del nostro lavoro e chi potrebbe approfittarne. secondo Rheinghold bisogna essere coscienti delle conseguenze che può avere tutto quello che facciamo online. Dobbiamo riflettere bene prima di scrivere un post, perché le nostre azioni compiute nel mondo digitale si possono rintracciare e possono essere utilizzate da tutti, anche da persone che non conosciamo. Rheingold  sottolinea i pregi e le possibilità, le affordance che ci offre Twitter. Tra le qualità di twitter ci sono l 'apertura, l' immediatezza, la varietà di argomenti, la reciprocità, è un modo per conoscere gente nuova, una finestra su ciò che sta accadendo in numerosi mondi diversi, uno strumento per costruire comunità ,una piattaforma per la collaborazione di massa ecc.

Nel quarto capitolo Rheingold analizza l'alfabeto della collaborazione online. Il Web è l'esempio principale di una forma di collaborazione fino a poco tempo fa inimmaginabile. La collaborazione di massa ha trasformato il modo in cui si trova l'informazione, si costruisce la conoscenza (Wikipedia), si studia la scienza e vengono ideati e sperimentati prodotti commerciali (crowdsourcing). Indubbiamente l'agire umano è stato influenzato dalle forme di collaborazione di massa. Quando mettiamo un tag, inviamo commenti, modifichiamo una pagina Wikipedia ecc, stiamo partecipando all' intelligenza collettiva del web. Una delle principali caratteristiche degli esseri umani è la tendenza ad utilizzare la comunicazione per organizzare azioni sociali. In questo senso i social media possono senz'altro agevolare l'azione collettiva. Anche se le principali teorie scientifiche evidenziano l'importanza della competizione e del conflitto, scoperte recenti dimostrano che la cooperazione ha un ruolo ancora più significativo.

Quattro punti fondamentali vanno ricordati per riuscire ad utilizzare al meglio la collaborazione che il Web consente: l'attenzione è il presupposto della cooperazione sociale, il che implica il fatto di prestare attenzione gli uni agli altri; gli umani sono straordinari cooperatori perché hanno imparato ad elaborare metodi per dirimere i conflitti sociali; le istituzioni sociali innovative si evolvono insieme di continuo grazie ai media; ricambiare la cooperazione, punire chi non collabora e manifestare la propria volontà di collaborare sono pratiche utili. La storia dell'uomo è caratterizzata da una crescente tendenza alla collaborazione e alla cooperazione che ha portato a migliorare  le condizioni di vita del genere umano e che oggi si esemplifica nei social media e in generale nelle comunità virtuali. Tutti sono in grado di  badare ai propri interessi personali ma per condividere degli obiettivi è necessario comunicare e negoziare.

Rheingold fornisce alcuni consigli per migliorare il nostro utilizzo delle forme di collaborazione e cooperazione online. Quando facciamo crowdsourcing( = un termine che si riferisce alla procedura di dividere problemi o compiti da svolgere in piccole parti, mettendoli poi pubblicamente a disposizione e richiedendo una partecipazione volontaria ), oppure cerchiamo volontari per un'attività collaborativa dobbiamo essere umili, proporre modi diversi per contribuire, incoraggiare l'autocandidatura, ricambiare coloro che collaborano e offrire loro gli strumenti per comunicare tra di loro. Se invece vogliamo creare una comunità virtuale Rheingold ci consiglia di stabilire le regole dall'inizio, di cercare di favorire la voglia di stare insieme e di comportarci come si comporterebbe un bravo padrone di casa che organizza una festa, cercando di far sentire a casa propria gli ospiti e incentivando la socializzazione. Le reti e i media digitali hanno anche una funzione economica, come il mercato e l'azienda, e consentono la produzione sociale.

I volontari oggi hanno un ruolo attivo perché possono creare strumenti culturali che possono essere utilizzati da tutti: software, enciclopedie, scienza creata dai cittadini stessi, risorse educative aperte ecc. Le persone partecipano alla produzione sociale ,che non ha a che fare con logiche di mercato, per imparare, socializzare o migliorare la propria reputazione. I social media vengono utilizzati anche per consumare generando un'esplosione delle pratiche tradizionali di condivisione,di baratti, prestiti, transazioni, affitti, scambi, regali, in modi e dimensioni che non erano mai stati possibili prima. L'intelligenza collettiva fa riferimento a una situazione in cui ognuno mette a disposizione degli altri le proprie conoscenze: Wikipedia è un esempio di intelligenza collettiva. Per favorire l'intelligenza collettiva dobbiamo incoraggiare conversazioni casuali, diversificare il nostro gruppo ,praticare la collaborazione e facilitare la collaborazione per aumentare di conoscenze. L'intelligenza collettiva di un gruppo non dipende dal quoziente intellettivo dei suoi membri, ma dalla varietà dei membri stessi e dalla loro capacità di alternarsi nella conversazione. La conversazione casuale è importante perché contribuisce a creare fiducia e favorisce forme di collaborazione orientate al raggiungimento di uno scopo.

Le reti influenzano il modo in cui si comportano gli individui e le comunità. Le reti sociali umane fondate sul linguaggio verbale risalgono alle origini della specie umana. Le tecnologie per la comunicazione aumentano la portata delle reti sociali tradizionali e consentono nuove forme di socializzazione. Le reti online su cui si basano i social hanno alcuni caratteri generali delle strutture di rete e alcune caratteri specifici delle reti umane. Le reti a piccolo mondo permettono all'informazione di viaggiare velocemente anche tra gruppi numerosi di persone. È sufficiente un piccolo numero di connessioni casuali e distanti. Le reti a piccolo mondo sono diffuse in tutto il mondo e sono caratterizzate dalla presenza di pochi hubs che hanno un numero più elevato di connessioni. Nella coda lunga ,invece, le connessioni sono più scarse. Le reti che consentono la comunicazione tra molti persone e la creazione di gruppi crescono di valore più velocemente rispetto alle reti broadcast. Grazie ai social media le persone possono cercare sostegno, informazioni, sia in reti estemporanee, dai legami deboli, che in gruppi tradizionali, dai legami più forti.

In un mondo interconnesso è importante avere sia legami deboli sia legami forti. I social media consentono di gestire reti ampie di legami deboli, ma è possibile mantenere soltanto un numero limitato di relazioni forti, a prescindere dai media. Con i social media abbiamo la possibilità di tenere in vita relazioni con persone da cui, per motivi di lavoro o altro, ci siamo allontanati. La posizione che si ha in una rete sociale è fondamentale. La centralità, cioè quante persone e reti devono passare da noi per connettersi con altri, è molto rilevante. I rapporti di fiducia tra le persone e le norme che favoriscono la collaborazione online favoriscono lo sviluppo del capitale sociale. I legami che creano un capitale sociale possono essere di vari tipi. Rheingold distingue il capitale sociale vincolante e il capitale sociale ponte. Il capitale sociale vincolante fa riferimento a legami fra persone che hanno interessi in comune e investono molto nella relazione, come per esempio le amicizie molto strette, la famiglia ,i vicini, i colleghi di lavoro ecc. Il capitale sociale vincolante aumenta la solidarietà,la fiducia e la reciprocità verso persone conosciute. Il capitale sociale ponte aiuta i piccoli gruppi ad uscire dalle loro visioni limitate, facendo affluire informazioni dall'esterno, e favorendone la diffusione in una moltitudine di reti. Bisogna fare attenzione alle impostazioni della privacy di Facebook :dobbiamo verificare ciò che condividiamo e con chi. Facebook e gli altri social networks condividono quattro caratteristiche fondamentali che provocano tre cambiamenti nelle relazioni sociali:

  1. Persistenza: ciò che diciamo resta
  2. Replicabilità : si può fare copia-incolla
  3. Scalabilità
  4. Ricercabilità: possiamo rintracciare facilmente le persone

Queste proprietà hanno come effetto il consentire un incontro fra contesti diversi, la presenza di un pubblico invisibile e la convergenza fra pubblico e privato.

David Weinberger: la stanza intelligente

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Arcipelago web (2002)

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David Weinberger

David Weinberger (New York, 1950) filosofo e saggista statunitense è l'autore del saggio Arcipelago Web (Small Pieces Loosely Joined: A Unified Theory of the Web). L'obiettivo è quello di mostrare gli effetti che il terremoto della Rete ha provocato sull'umanità stravolgendone i modi di pensare. Caratteristica principale del web è quella di unire gli esseri umani, da lui paragonati a degli "isolotti dell'arcipelago web", in infiniti modi sebbene molto fragili.

Il web, costituito di bit, è un mondo innaturale creato dagli uomini per loro stessi. Si presenta come un'esperienza di grande impatto: è uno spazio privo di vincoli geografici che ha incrementato l'integrazione sociale, insegnando che a rendere sociali gli uomini è la comunanza di interessi, non del medesimo spazio fisico. È una dimostrazione onesta di ciò che sono gli uomini quando interagiscono senza limiti imposti dal mondo reale. Ciò che attrae maggiormente i suoi utenti è la possibilità di potersi esprimere liberamente. Sul web si ha pieno controllo del tempo che dipende dagli interessi dell'utente, per questo risulta essere costituito di stringhe, sequenze di caratteri che assumono l'aspetto di messaggi relativi ad un determinato argomento.

Il web è un mondo parallelo molto disordinato ed imperfetto, non essendo gestito da un'unità centrale. Sono queste caratteristiche che lo rendono specchio del mondo reale e parte integrante dell'umanità. Arcipelago web è un interessante spunto che apre ad una visione totale su quanto il mondo tecnologico abbia assunto una connotazione metafisica e mutato la vita umana. David Weinberger si mostra come forte propugnatore della Rete, fiducioso in un consolidamento dei suoi sviluppi futuri.

La stanza intelligente (2011)

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Il lavoro di Weinberger è incentrato sul modo in cui Internet sta cambiando le relazioni umane, la comunicazione e la società. Autore di numerosi saggi, nel 2011 ha pubblicato La stanza intelligente: la conoscenza come proprietà della rete (Too Big to Know. Rethinking Knowledge Now That the Facts Aren't the Facts, Experts Are Everywhere, and the Smartest Person in the Room), un libro destinato a lasciare il segno ridefinendo il concetto classico di intelligenza e il suo ruolo all'interno di un mondo sempre online. «Quando la conoscenza entra a far parte di una rete, la persona più intelligente della stanza è la stanza stessa: la rete che unisce persone e idee presenti e le collega con quelle all'esterno». Con queste parole nel prologo del suo libro l'autore sintetizza la sua visione della conoscenza ai tempi del web.

Il sapere, fino a pochi anni fa trasmesso su un supporto rigido e dai confini ben definiti come la carta stampata, per la prima volta nell'epoca di Internet è alla nostra portata in modo pressoché illimitato. Nella stanza in cui siamo riuniti (Internet), dove le fonti non sono certe e nessuno è mai d'accordo su nulla, circola molta più conoscenza di sempre, gestita con capacità superiori a quelle delle nostre singole menti e istituzioni, eppure Internet non ci rende più stupidi; al contrario, questa conoscenza sempre a disposizione, ci consente di prendere decisioni migliori di quelle di un qualunque esperto. L'importante è sapere come muoversi al suo interno.

Nel Marzo del 2010 Weinberger, pubblica su "Il sole 24 ore" un articolo, "La Rete è un bene di tutti", in cui sostiene che la "libertà di Internet riguarda la libertà, non solo Internet" e " che noi continuiamo a discutere su come limitare l'uso della Rete, invece di valutare come renderla più libera e più aperta". Nel suo articolo l'autore sostiene che ognuno di noi ha la possibilità di attingere ad informazioni in maniera uguale, indipendentemente dal ceto politico o sociale. Tutto ciò è reso possibile dalla struttura stessa della Rete, che ha abbassato le barriere alla partecipazione civile, esprimendo così gli antichi valori della democrazia: l'uguaglianza e le pari opportunità.

Il problema è capire se noi contrasteremo questi sogni o se combatteremo per esaudirli. In ogni caso abbiamo un confronto davanti a noi. Per Weinberger i poteri attuali sono preoccupati dall'uso della Rete perché questa può rendere pubblico del materiale che influenzi la cultura nazionale e le nuove generazioni. Questo è vero, poiché Internet rende disponibile ogni cosa. Ma ogni governo si è già dotato di leggi che proibiscono contenuti del genere. Così le aziende che ospitano contenuti caricati dagli utenti non sono ritenute responsabili. Nessuna azienda sana permetterebbe agli utenti di dialogare se fosse responsabile per ciò che gli utenti dicono. È per questo che tutto il mondo guarda alla sentenza italiana contro Google che ha rappresentato una doccia fredda per Internet, una minaccia alla libertà del web e una rivincita per gli avversari.

In secondo luogo vi è un'ulteriore preoccupazione per alcuni governi, sorta soprattutto negli ultimi anni, i quali temono che la Rete sia utilizzata dai terroristi e quindi ostacolano l'anonimato delle conversazioni. Ma i terroristi usano anche i telefoni e le radio. Bastano dieci minuti su Google per trovare i modi per comunicare sul web in maniera anonima. Le leggi contro l'anonimato in Rete privano quindi i cittadini rispettosi della legge di una rilevante fetta della loro libertà, senza peraltro ostacolare terroristi o altri criminali. L'anonimato non è solo per i colpevoli. È anche per le persone libere.

Dunque c'è ancora molto lavoro da fare. Internet potrebbe essere il mezzo perfetto per la democrazia, ma non c'è automaticità. Un governo potrebbe, per esempio, costringere gli Internet Cafè a registrare i passaporti dei propri clienti. Un giudice potrebbe minacciare di arresto i responsabili di aziende che pubblicano contenuti controversi, o le nazioni potrebbero lavorare insieme per imporre rigidi controlli sul copyright, distruggendo così il giovane ecosistema dell'informazione dal basso.

Gli ostacoli non mancano. Tutti possono fare il loro sito web, ma un colosso media raggiungerà molte più persone. Abbiamo bisogno di soluzioni per questo problema eterno perché abbiamo bisogno della democrazia. E per realizzare i sogni della democrazia dobbiamo andare contro la stessa natura umana. Se abbiamo paura che idee rozze si propaghino tra i popoli, dobbiamo fare in modo di educarli, non di proibire la diffusione di tali idee. Se abbiamo paura che idee false siano facili da raggiungere, dobbiamo fare in modo che le idee false siano contraddette e le buone idee approfondite. "Davanti a noi ci sono quindi due sfide. Una è una battaglia contro internet, ma nei fatti è la vecchia battaglia contro il consolidamento della democrazia. L'altra è la sfida per garantire che un medium adatto in maniera unica alla democrazia nei fatti realizzi il suo sogno. Perché quel sogno è il sogno della democrazia stessa".

Il networking sta cambiando le nostre fondamenta più antiche e consolidate del sapere: la conoscenza sta prendendo la forma della rete, la natura fisica dei libri è sempre meno soddisfacente, è limitata, finita nell’esatto istante in cui il libro viene chiuso e l’autore ne mette l’ultimo punto. Internet, invece, tende all’infinito. Infinito però significa non avere bordi, e senza bordi la conoscenza non ha una base. Cosa circola dunque? Quali i veri vantaggi che la realtà networked può darci? Indubbiamente conoscenza. Ma di che tipo? Sappiamo che ci sono troppe cose da sapere, ma anche che spesso circolano idee stupide e i nostri filtri su cosa prendere e cosa lasciare non sempre riescono a funzionare. Il nostro antidoto è, pertanto, una filtrazione intelligente che guardi in avanti: costruire una nuova strategia di punti fermi della conoscenza, punti che noi moderni, solitamente, poniamo nei fatti e non nelle analogie. Nella rete però i fatti sono tali solo se resi pubblici al mondo, ma una volta che essi vengono pubblicati in realtà già hanno smentito la loro natura incrollabile, non essendo infatti verificati. Hanno pertanto cambiato il loro ruolo, la forma.

Mentre in età antica i fatti erano scarsi e usati per dimostrare teorie (età dei fatti classici) e negli anni '50 (età dei fatti raccolti in banche dati) erano una montagna di informazioni da sistemare in Mainframe, oggi sono networked, in circolo, fanno parte di una rete (età di internet). Se fatti classici e fatti raccolti in banche dati erano visti come informazioni fondamentalmente isolate, ora è attraverso i Linked Data che la loro fruizione, utilità e comprensibilità è garantita, poiché la loro forma è standardizzata. Da qui il passo decisivo: la condivisione. Grazie ad essa sappiamo ora da dove provengono i fatti e, talora, anche dove possono condurre chiedendo alla specifica risorsa un link per recuperare più informazioni sul contesto di quel fatto.

Vinton Cerf: la conservazione digitale

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Vinton Cerf

Vinton Cerf, nato nel 1943, è considerato uno dei padri di Internet. Egli mette in guardia contro il rischio dell'impossibilità di usare i dati digitali di oggi. Per impedire ciò, secondo Cerf, non sono sufficienti solo le tecnologie, ma vanno cambiate anche le regole del copyright. Sostiene Cerf che il problema inizi negli anni Settanta, quando si è cominciato a sostituire il supporto cartaceo con quello digitale. Alcuni dei primi protocolli di Internet furono stampati su carta, e ancora oggi possono essere letti. Ma lo scambio dei messaggi elettronici in cui furono discussi tali protocolli non è più accessibile, perché non esiste più il programma necessario per leggerli. Alcune informazioni rischiano di andare perdute, come quelle che non possono essere salvate su carta e non hanno senso fuori dall'ambiente che permette di leggerli.

Si possono, però, registrare misurazioni come una semplice sequenza di numeri. Ma è probabile che in futuro qualcuno potrebbe trovare quel file e usarli e interpretarli a proprio piacimento anche non sapendo il significato di quei numeri. Secondo Cerf non è conveniente rassegnarci e adattarci a questo potenziale avvento, ma è necessario emendare il copyright in nome della conservazione digitale. Bisognerebbe arrivare a un accordo che permetta a una qualche autorità di avere accesso a programmi, codici sorgente e sistemi operativi, con la missione di conservarne copie.

"Internet è ormai fondamentale ma non può diventare l'unica fonte di conoscenza". La rete internet è un'invenzione in un certo senso ‘neutra' ma ci sono persone che ne fanno un ottimo utilizzo e persone che ne abusano. Anche se non si tratta di una risorsa primaria per la sopravvivenza come l'acqua e il cibo, Internet è ormai fondamentale per garantire un accesso all'informazione, e questa è da sempre la chiave per il progresso di ogni società: quella di poter accedere alle informazioni nel modo più veloce possibile. Nonostante questo, è preferibile, dice Cerf, che oltre a questo strumento, che a volte offre informazioni non del tutto vere, usufruire anche dei libri delle biblioteche, nei quali l'informazione cercata è senza alcun dubbio molto più attendibile.

"Siamo noi i nodi della grande Rete". In un'intervista, Cerf sottolinea che Internet è in continuo cambiamento. Tale cambiamento è costituito dall'uso del wi-fi, della fibra ottica, degli smartphone. Tutto è in costante evolversi, ma l'architettura di base è la stessa da 40 anni e continua ad adattarsi bene alle novità. Anche grazie all'invenzione della posta elettronica, Internet è passato dal diventare una rete di computer a una rete di persone favorita dall'interazione degli uni con gli altri anche se in modo non istantaneo. Inoltre, per merito di Internet, è possibile realizzare i propri obiettivi.

Evgenij Morozov: il lato oscuro della rete

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Evgeny Morozov

Evgenij Morozov è un sociologo della Bielorussa. La sua notorietà è dovuta principalmente alla sua posizione critica nei confronti del comune entusiasmo e ottimismo che caratterizza il dibattito sulle virtù potenziali "democratiche e anti-totalitaristiche" di Internet. Morozov, oltre a esprimere la sua visione critica attraverso la proficua attività giornalistica, che si compone di un notevole bagaglio di articoli e conferenze stampa, ha pubblicato 3 libri in cui, attraverso uno stile brillante, satirico, divertente, ma non privo di sensatezza, espone le sue tesi in maniera radicale e irriverente, scavando nelle conseguenze sociali, politiche ed economiche e mettendo in luce il modo in cui le nuove tecnologie stanno cambiando il panorama del quotidiano.

Nel settembre 2017, in occasione del Festival della Comunicazione di Camogli, il sociologo bielorusso ha esposto le sue incertezze verso l'ottimismo della Silicon Valley. [3] . Morozov parla di un gap digitale fra ricchi e poveri, che impedirebbe ai secondi di godere di quello che viene da lui definito il vero lusso: il distacco dal web. Il web, infatti, è considerato da Morozov alla stregua di uno strumento per i pubblicitari i quali, anche tramite Social Network come Facebook o tramite Google, riescono ad avere accesso ad una molteplicità di dati che servono a tradurre le preferenze di chi naviga in termini di target. Il politologo si schiera a favore della tecnologia, ma contro questa ingenua dipendenza dall'Internet, attestando la necessità di disintossicarsi da un mondo che alimenterebbe il business di imprese private a discapito della privacy dei cittadini.

In una celebre intervista[4], Morozov identifica una minaccia nell'attuale sogno di perfezione della Silicon Valley e nel modo di affrontare problemi sociali quali educazione, sanità e crimine. Un esempio è dato dal modus operandi della cosiddetta polizia predittiva, non più una semplice utopia cinematografica (Minority Report), bensì una realtà da conoscere. Con l'utilizzo dei Big Data, infatti, al mondo odierno si ha libero accesso a una raccolta di dati molto estesa che contiene informazioni aggiuntive di tutto ciò che viaggia attraverso internet, garantendo la possibilità di monitorare e tracciare digitalmente le azioni compiute dei singoli individui. Ed è proprio ciò che è successo a El Chapo, il quale, nonostante le precauzioni prese per sfuggire alla sorveglianza elettronica, fu arrestato non appena uscito dal territorio di cui aveva il controllo politico-militare assoluto.

Il vantaggio ottenibile da un sistema del genere deve fare i conti con le conseguenze sociali che portano cambiamenti nelle relazioni tra cittadino e stato: si passa da una situazione in cui è possibile far affidamento sull'istituzione pubblica a un modello dove è proibito 'sbagliare'. Se la polizia predittiva rende impossibile l'accadere di azioni "sbagliate" cosa rimane alla soggettività di un individuo? Morozov risponde alla domanda approfondendo acutamente il legame tra democrazia e disobbedienza civile: l'atto volontario di infrangere la legge e subirne le conseguenze rende possibile un'affermazione politica, ma in un sistema dove vige l'assenza di scelta fra bene e male, è impossibile che ciò accada, poiché il sistema della polizia predittiva blocca in anticipo il compiersi di un reato. Se un tale sistema politico non ha modo di introdurre nuovi fatti e si identifica come il sistema perfetto, si corre il rischio di una cristallizzazione sociale che non permette di scoprire che ciò che viene considerato illegale oggi potrebbe non esserlo in futuro. Il prezzo da pagare diventa evidente quando Morozov trasporta il medesimo problema nel contesto storico statunitense di alcuni decenni fa, anni in cui era illegale per una persona di colore entrare in un ristorante. "Se avessero costruito dei sistemi predittivi attorno a quella legge", sostiene Morozov "oggi probabilmente sarebbe rimasta immutata, senza avere la possibilità di essere revisionata attraverso comportamenti devianti".

Il sociologo punta dunque il dito contro la Silicon Valley, evidenziando che le grandi aziende non solo non si curano affatto delle conseguenze politiche, etiche, culturali e sociali, ma non sono chiamati a rispondere per qualsiasi danno collaterale: nonostante la scoperta, ad esempio, che Google rubava le password dei Wi-Fi, la compagnia ha dovuto pagare una piccola multa senza altre ripercussioni. Se Google si presenta come la rete che garantisce la promessa di meritocrazia intellettuale, dove le voci e opinioni più interessanti ricevono maggiori attenzioni, diventa necessario sfatarne il mito e considerarne la manipolazione informativa attuata dalle grandi aziende che ingaggiano altre aziende di Pr per diffondere e rendere virali i propri prodotti. Il primo passo verso una possibile soluzione, suggerisce Morozov, è prendere coscienza del problema e cercare di spodestare le multinazionali dal controllo di Internet, attraverso tecnologie che "possano creare spazio nuovo fra i contendenti, qualcosa di estraneo sia agli Stati che alle corporation", sviluppando canali discorsivi che siano efficienti, ma non vulnerabili. L'obiettivo deve essere quello di sensibilizzare sulla vera faccia del mondo cibernetico, riappropriandoci di un'etica del discorso.

L'ingenuità della rete

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L'ingenuità della rete è il primo libro, divenuto best-seller, scritto da Morozov, nel quale, con un linguaggio misto tra sarcasmo e preoccupazione e tuttavia mai privo di una notevole capacità analitica, critica fortemente il fenomeno Internet, partendo da una 'demitificazione' del sogno americano della Silicon Valley, fino a demolire il cieco ottimismo di uno dei più grandi sostenitori del progresso tecnologico dell'ultimo secolo: Steve Jobs.

The Net Delusion: The Dark Side of Internet Freedom

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The Net Delusion: The Dark Side of Internet Freedom è il titolo di un saggio di Evgenij Morozov pubblicato nel 2011 e tradotto in italiano nello stesso anno con il titolo L'ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet. Una delle tesi di fondo del testo è che Internet non abbia indebolito la forza della censura da parte dei governi di tipo autoritario. Al contrario, questi ultimi hanno imparato velocemente a sfruttare gli strumenti forniti dalla Rete per rintracciare e minare l'anonimato di attivisti e oppositori politici.

Internet non salverà il mondo

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To save everything, click here: technology, solutionism and the urge to fix problems that don't exist è il titolo di un saggio di Evgenij Morozov pubblicato nel 2014 e tradotto l'anno successivo in italiano con il titolo Internet non salverà il mondo. Perché non dobbiamo credere a chi pensa che la Rete possa risolvere ogni problema.

Silicon Valley

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Morozov ha continuato a provocare un ampio dibattito sugli effetti sociali e politici dello sviluppo della tecnologia, pubblicando nel 2016 un saggio intitolato Silicon Valley: i signori del silicio. Il suo obiettivo è farci aprire gli occhi sulla rivoluzione tecnologica promossa dalla Silicon Valley, il distretto industriale leader al mondo nelle tecnologie avanzate . Essa, presentandosi come colei che avrebbe posto fine al capitalismo, ci ha convinti che tutto oggi debba essere digitale e connesso e che opporsi all'innovazione tecnologica equivarrebbe a far fallire gli ideali dell'Illuminismo con Larry Page e Mark Zuckemberg nei panni di novelli Diderot e Voltaire in versione nerd. Ma se prestassimo attenzione ai risvolti geopolitici ed economici ci renderemmo subito conto che l'evasione fiscale di società tecnologiche impedisce alle alternative pubbliche di emergere ma soprattutto ci accorgeremmo che, usando app tutto il giorno, lasciamo che esse non solo ci sorveglino ma che registrino tutti i nostri dati diventando utili archivi imperdibili per ogni pianificatore urbano cosicché competenze che dovrebbero essere soggette al pubblico scrutinio e dati che dovrebbero appartenerci in qualità di cittadini vengono ceduti ad aziende private e la politica è costretta ad abdicare al suo ruolo in favore dell’ottimismo tecnologico diffuso. La Sylicon Valley è riuscita a controllare ogni aspetto della nostra vita, eludendo vicoli sociali, economici e politici: stiamo andando incontro ad un regime commerciale di completa deregulation in cui i nostri dati saranno uno dei pilastri. Morozov invita i cittadini a riconquistare la sovranità sulla tecnologia e sull'economia possibile solamente grazie ad una presa di coscienza del ruolo e dell’importanza della politica come gestione condivisa della cosa pubblica.

Nicholas Carr. La gabbia di vetro: le conseguenze dell'automazione sull'uomo

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Nicholas Carr

Internet ci rende stupidi? (2010)

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La gabbia di vetro (2014)

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Il punto di partenza delle riflessioni di Nicholas Carr è di natura metodologica: l'automazione è indagata dal punto di vista delle sue conseguenze sull'umanità.

Il progresso della macchina e dell'automazione ha ingenuamente considerato la "tecnologia come panacea dell'economia" e si è costruita sull'utopico sogno di liberare l'uomo dal lavoro mediante "la schiavitù della macchina". Tuttavia tra le attività più appaganti dell'uomo, sebbene egli lo neghi continuamente, c'è il lavoro. Nell'attività lavorativa è più facile trovare la soddisfazione perché ci troviamo ad affrontare sfide che ci spingono all'impegno e alla concentrazione. L'automazione si caratterizza, dunque, come il mal riposto desiderio di liberarci dall'impegno e dalla fatica. Le scelte che facciamo nel tenere delle attività per noi e nel delegarle ad una macchina non sono di natura meramente economica o pratica ma riguardano l'essere umano e la sua destinazione nella società, "sono scelte etiche". Dall'analisi delle conseguenze dell'automazione sui piloti di aerei e sul sistema di trasporto aereo in genere Carr trae importanti considerazioni: l'automazione non cambia il modo di lavorare quanto il lavoratore stesso.

Compiacimento dell'automazione (automation complacency) e condizionamento da automazione (automation bias) sono i due atteggiamenti indotti che vengono presi in esame e che costringono l'operatore di fronte ad un sistema automatico a trasformarsi da attore in osservatore. Con il compiacimento dell'automazione, il soggetto si riposa su un infondato senso di sicurezza; nel momento in cui il computer sbaglia, si è disorientati e incapaci di agire. Dal compiacimento dell'automazione deriva quasi necessariamente il condizionamento: quando un sistema restituisce dei risultati in output, fossero pure sbagliati o fuorvianti, ci si crede. "Più è elaborato il sistema informatico, più inizi a pensare che corregga i tuoi errori [...]. "La fiducia nel software è così forte che si scartano tutte le altre possibili fonti informative, compresi i propri sensi". Il sistema automatico sembra frapporsi tra noi e il mondo, impedendo quel flusso continuo tra problema e soluzione, e relegandoci nella pigrizia e nell'inconsapevolezza. Dal sistema di trasporto aereo Carr passa alla sanità, alla finanza, al lavoro nell'industria, ai sistemi di navigazione satellitare, ai sistemi di progettazione per architetti trovando continue conferme: l'automazione, cercando di superare l'intrinseca difficoltà connaturata al rapporto che intercorre tra uomo e mondo e cercando di eliminare ogni nostro attrito con la vita crea strumenti degeneri, che strumentalizzano l'uomo, riducendolo al ruolo marginale di "sorvegliante", osservatore inerme di processi a lui totalmente estranei.

Non è un caso che uno dei principi guida di tutti i software odierni sia l' "usabilità" ossia quella capacità di compiere una data operazione senza "sforzare" l'utilizzatore. L'automazione ci restituisce, dunque, un'esistenza "priva di frizioni", sopprime il nostro rapporto con il mondo esterno, togliendo lo stimolo all'azione del pensiero. L'automazione, nata come strumento per un fine, ci fa raggiungere i fini escludendoci dai mezzi per il loro ottenimento. È necessario conservare i benefici dell'automazione riportando i sistemi automatici al rango di strumenti. L'obiettivo di Carr è un ripensamento radicale dell'automazione in chiave umanista. L'approccio fondamentale per una "human-centered automation" era stato individuato già da Norbert Wiener: "la macchina deve essere ergonomica, deve cioè adattarsi a colui che la utilizza".

L'automazione che Carr critica è quella centrata sulla tecnologia, animata da una sfiducia nelle capacità umane, che, desiderando di raggiungere i massimi livelli di efficienza, velocità e profitto, ha totalmente trascurato l'aspetto ergonomico e la fondamentale interazione uomo-macchina causando i più grandi fallimenti progettuali. L'automazione antropocentrica diventa, negli aspetti più pratici, un'automazione "adattiva" nella quale il sistema è programmato per rivolgere costantemente l'attenzione a chi lo utilizza. Il sistema svolge principalmente funzioni di analisi lasciando la decisione all'operatore; tuttavia, il rapporto tra sistema e operatore è profondamente collaborativo ed inclusivo: macchine ed utilizzatori si scambiano costantemente compiti avendo come fine un miglior risultato prestazionale.

Un'automazione di questo tipo non è più alienante ed escludente ma, essendo meno invadente, libera lo spazio della decisione, della creatività e dell'immaginazione. Questo è il senso profondo di un'automazione umana per gli uomini, che stia sotto la categoria di strumento, medium fondamentale del rapporto tra uomo e mondo, il cui fine è sempre la connessione relazionale nella quale si realizza la conoscenza umana. Questo modello di automazione adattiva e umanista richiede tuttavia la fatica dell'apprendistato, l'incertezza e le difficoltà dell'interazione, quel sacrificio di rendimento e velocità che mal si accorda con il paradigma della nostra società inevitabilmente orientato verso un'automazione tecnocentrica, i cui principi di efficienza, velocità e semplificazione dirigono le azioni di produttori e consumatori sempre verso i prodotti che diano risultati più facilmente, con il minimo sforzo e nel minor tempo possibile. Di fronte a questa radicalità, un'automazione antropocentrica diventa difficile se non utopica, tuttavia "per garantirci un futuro benessere sociale, potremmo dover mettere limiti all'automazione".

Manuel Castells: la società in rete

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Manuel Castells analizza con chiarezza il mondo che ha creato Internet, concentrando sulle trasformazioni avvenute nella società, nell'economia e nella politica. Secondo l'autore l'avvento di Internet ci ha condotti in una nuova era, ricca di cambiamenti. Castells afferma che Internet è stato salutato come uno strumento di libertà, e al tempo stesso è stato interpretato come uno strumento di controllo. In realtà Internet è neutro, sta a noi usarlo in maniera positiva o negativa. Per questo motivo egli non fa previsioni per il futuro, decidendo di analizzare semplicemente il passato e il presente di Internet. Internet ha modificato sia il nostro modo di vivere, di gestire le aziende e i profitti, sia ha creato un nuovo modello di socializzazione, che aiuta a mantenere vivi anche i rapporti meno stretti. Il cuore del libro sono indubbiamente i capitolo cinque e sei che analizzano il cambiamento che internet ha avuto nella politica. Infatti anche la politica è cambiata, ed si è sviluppata la "noopolitik", termine usato per indicare le nuove questioni politiche relative alla nascita di una noosfera (l'insieme di tutti gli ambienti dei media e del cyberspazio), e può essere contrastata con la "realpolitick" ossia la politica tradizionale che promuove il potere dello stato. Nella conclusione invece afferma che, anche coloro che non vorrebbero avere nulla a che fare con le nuove reti, la nuova tecnologia, non possono scappare dalla rivoluzione di Internet, in quanto se loro non vorranno avvicinarsi ai nuovi cambiamenti, saranno i nuovi cambiamenti ad avvicinarsi a loro. In conclusione egli afferma che non si può fuggire da Internet e dalle sue novità, poiché è in atto un processo di globalizzazione.

Steven Levy: l'etica hacker

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Steven Levy

Hacker: Gli eroi della rivoluzione informatica è un libro scritto da Steven Levy nel 1984, riguardante la cultura hacker e l'impatto di questi sull'evoluzione dell'informatica. Lo scopo dell’autore è rappresentare la differenza essenziale tra ciò che sono realmente e ciò che, invece, appaiono agli occhi del mondo. Steven li conobbe e ne rimase tanto affascinato quanto da scrivere su di loro. Essi sono considerati programmatori “scorretti”, ma, in realtà, sono avventurieri, artisti, gente disposta a rischiare per amore dell'hacking.

A tal proposito Steven Levy tratterà la storia degli hacker, che comprende un periodo che va dagli anni Cinquanta agli anni Novanta.Con gli hacker si sviluppò quel diverso rapporto tra uomo e macchina che determinò la nascita dell' etica hacker, creando così una vera e propria filosofia. Essa prevedeva:

  • L’imperativo di metterci le mani su: l’accesso ai computer deve essere illimitato e libero perché è possibile imparare smontando le cose, osservando come funzionano e usando questa conoscenza per creare cose nuove.
  • L’informazione deve essere libera.
  • Dubitare dell’autorità. Promuovere il decentramento: per gli hacker il modo migliore per promuovere il libero scambio di informazioni è avere sistemi aperti.
  • Gli hacker dovranno essere giudicati per il loro operato e non sulla base di falsi criteri (ceto, razza, età)
  • I computer possono cambiare la vita. Come ben sappiamo per gli hacker il computer era come la lampada di Aladino: poteva far realizzare i propri desideri.

Nel saggio Steve Levy spiega che gli hacker sono stati definiti "criminali informatici". L'accezione negativa al termine non è solo inesatta, ma anche inadeguata nei confronti di persone che hanno contribuito all’avanzamento dei computer e quindi dell’informatica. Sono stati accusati da Weinzebaum, professore di informatica al Mit, di disumanizzazione dalla società. La sua critica parte dal suo programma “terapeuta” chiamato Eliza, finalizzato all’ascolto delle persone. Difatti, anche se loro sapevano che Eliza fosse sole un programma, raccontavano le proprie problematiche. Per Weinzebaum questa era la dimostrazione di quanto il potere dei computer spingeva gli uomini ad adottare un comportamento irrazionale, di dipendenza e di disumanizzazione. Steven Levy conclude il saggio definendo con attenzione e precisione cosa si intende con il termine " hacker". Molto tempo fa l'hacker era visto come una forza del male, in quanto alcuni si erano fatti conoscere come coloro che violavano la proprietà per eseguire l’imperativo di metterci le mani su. Per l’autore, però, la deduzione che queste goliardate siano l’essenza dell’hacking non solo era sbagliata, ma anche offensiva nei confronti dei pionieri dell'informatica, il cui lavoro aveva cambiato il mondo.

Pekka Himanen: l'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione

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Pekka Himanen

L'etica hacker e lo spirito dell'informazione (The hacker ethic and the spirit of the information age) è un saggio del 2001 di Pekka Himanen. Punto di partenza necessario, per la comprensione del libro è la definizione importante che viene data, nella prefazione, del termine hacker, il cui significato è stato modificato nel corso del tempo dai mass media, indicando quelle figure che compiono atti criminali di tipo informatico. Il reale significato di Hacker è quella di persone che "programmano con entusiasmo" e si contraddistinguono da coloro che compiono atti illeciti in rete, definiti invece cracker.

Decisiva questa prima spiegazione in quanto tutto il libro si articolerà nell'analisi dei valori, e dei vari ruoli che possiede questa figura. Il testo viene scritto grazie alla collaborazione di Linus Torvald e Manuel Castells, i quali pongono due visioni a confronto, quella dell'informatico e quella del sociologo, regalando, così, un quadro d'insieme al lettore. Il testo analizza lo stile di vita degli hacker, e i valori morali a cui essi aderiscono, dimostrando una forte frattura con quello che è il modello di vita promosso dalle società contemporanee. Il rapporto con il lavoro, con il tempo, o il modo in cui concepiscono la rete, è basato su pochi, ma importanti concetti, come la condivisione totale delle informazioni, la capacità di sfruttare il tempo in modo creativo ed appassionato, l'emancipazione, e la realizzazione di se stessi. Pekka Himanen svolge una profonda e lucida analisi, non solo della figura dell'hacker, ma di tutto il contesto sociale, politico ed economico in cui questi emergono, evidenziando fatti di cronaca mondiale, all'interno dei quali gli Hacker risultano aver avuto un ruolo fondamentale. La rete, quindi, per gli Hacker, deve essere accessibile a tutti, ma, soprattutto, non deve essere sfruttata per i vantaggi dei "Pochi" (Industrie, Governi), ma per il benessere di tutta la collettività.

Il gruppo Ippolita: critica della rete e informatica del dominio

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Open non è free: comunità digitali tra etica hacker e mercato globale

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Il gruppo Ippolita in questa trattazione riflette sull'impatto del mondo digitale nella vita reale, affrontando tale cambiamento da vari punti di vista. Ciò che risulta, dalle numerose argomentazioni dell'autore, è che la storia dell'evoluzione dei sistemi operativi, la quale comprende numerose difficoltà in cui si incontrano ambiti delicati come l'etica e il diritto. Tematiche di primaria importanza come quella della licenza, ad esempio, la quale viene affrontata analizzando anche dal punto di vista storico, viene risolta contrapponendo i termini copyright e copyleft nelle loro differenze, in quanto entrambi i termini fanno riferimento ai diritti, sia dell'utente che del programmatore. Nel saggio viene esplicitato in diversi punti il profilo del fenomeno "hacker", la definizione, l'etica, le comunità hacker e le diverse tipologie, il continuo riferimento alla loro capacità di interagire con il programma, di creare nuovi ponti e nuovi linguaggi. Creare nuovi linguaggi nell'ambito digitale significa creare nuovi codici, la traduzione è sempre fonte di errore, ciò pone l'obbiettivo degli hacker in potenza : c'è sempre modo di migliorare. Una delle discussioni più chiarificatrici è quella che ha per oggetto l'Open Source e il Free Software, trattazione che viene affrontata in tutti i capitoli. Questo metodo rende giustizia al reale intreccio presente all'interno del mondo digitale, intreccio dovuto alla collisione di interessi economici da parte di aziende multinazionali, quindi all'adattamento di tali sistemi al mercato globale. Viene fatto riferimento a Philip K. Dick, quindi ai concetti di "protezione delle idee" e "proprietà intellettuale", tali tematiche inglobano l'argomentazione in merito ai diritti degli utenti, viene fatta chiarezza sul progresso del tema dei diritti.

Raffaele Simone: la mediasfera

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Il linguista italiano Raffaele Simone, nel suo libro Presi nella rete. La mente ai tempi del web (2012), sottolinea come la tecnologia ha trasformato il nostro modo di usare il corpo e la mente. A partire dal prologo, l'autore parla della Mediasfera, ossia un ambiente dove gli strumenti elettronici in rete (media) ricoprono un ruolo fondamentale, non come semplici cose, ma come presenze arroganti e invadenti. Questa fase storica, chiamata dall'autore "Terza fase", è caratterizzata da un'ubiquità dei media senza precedenti. Questi infatti sono ovunque, materiali o immateriali a seconda che si tratti di hardware oppure software. La mediasfera è arrivata ad urtare la noosfera, ossia ciò che risiede nella mente umana, dai pensieri alle opinioni su qualsiasi tema. All'interno dl libro, Raffaele Simone analizza in maniera minuziosa tutti i cambiamenti che la mediasfera ha causato nell'uomo. Oggi, ad esempio, possiamo leggere un libro su gadget elettronici e nello stesso momento pubblicare il passo che stiamo leggendo condividendolo con il mondo intero. La mediasfera, per Raffaele Simone, ha intaccato l'idea di narrazione della storia, ovvero quelle concezioni che si assorbono con la cultura, perché rende irreale e falsa la nostra esperienza che dunque si dissolve proprio come la nostra capacità di esporre fatti. Infine i media hanno anche il merito di dare voce a chi apparentemente non ne ha, ovvero tutti coloro che non appartengono ad un partito politico. Proprio con questo preciso scopo sono nate le democrazie digitali che sono uno dei più grandi prodotti della mediasfera. Grazie alla rete molte persone si riuniscono per organizzare manifestazioni per far sentire la propria voce, la propria idea in merito ad un certo tema. Le democrazie digitali non hanno tuttavia una struttura ben definita, deficit che le rende altamente volatili, il che vuol dire che possono smettere di esistere in qualsiasi momento.

Viktor Mayer-Schonberger: i Big Data

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Viktor Mayer-Schönberger

L'uomo nei suoi intenti conoscitivi e pratici è sempre stato costretto a lavorare con piccole quantità di informazioni. Ciò era dovuto alla tecnologia che costui aveva a disposizione per raccogliere e diffondere le informazioni. Basti pensare che i libri, da sempre considerati il principale mezzo di trasmissione della conoscenza, per secoli sono stati chiusi nelle biblioteche dei conventi e pochi potevano consultarli. Una rivoluzione in questo ambito avviene con l'invenzione della stampa, che permettendo una più vasta circolazione del sapere, incrementò le informazioni di cui un uomo poteva entrare in possesso. Questo fenomeno storico si ricollega alla rivoluzione scientifica nonché al compimento politico della modernità. Oggi, nel XXI sec., lo sviluppo dell'informatica ha portato verso una nuova dimensione di conoscenza possibile quella dei Big Data, suscettibile, come la stampa prima di essa, di influenzare profondamente il mondo in cui viviamo.

Un'analisi dettagliata e innovativa sul fenomeno viene da Viktor Mayer-Schonberger e Kenneth Cukier in un loro recente saggio: Big Data; una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere e già minaccia la nostra libertà. Quanto segue sotto è una sintesi delle loro osservazioni. Per Big Data s'intende l'attuale capacità tecnica di raccogliere enormi quantitativi di dati, e di elaborarli mediante algoritmi e modelli statistici per poi ricavare trend e previsioni sulla realtà. La relazione identitaria che esprime questa quantità è N = tutti. L'obiettivo è quello di estrapolare circa un fenomeno che si va analizzando un numero di informazioni tendente alla totalità. Un tale sistema va verso il superamento del metodo tradizionale del campionamento, il quale, nonostante la sua migliore accuratezza, trascura i dettagli. Non vi è un'informazione nel metodo dei Big Data che meriterebbe di essere sorvolata, tutto è in qualche modo rilevante. Solo attraverso una sguardo veramente ampio di quello che si osserva, si possono individuare quelle correlazioni generali tra gli eventi, che prima sfuggivano all'uomo.

Ma di quali informazioni i Big Data sono composti? Qualsiasi genere di informazioni. Non v'è un ambito di realtà che attualmente non possa essere sottoposto ad un processo di datizzazione. Le nostre preferenze di acquisto su Amazon. I nostri post su Facebook e Twitter. Le parole-chiave digitate sui motori di ricerca. Il nostro corpo, se collegato ad apparecchiature capaci di trasformare i nostri segni vitali in informazioni. Il mondo fisico attraverso le migliaia di tecnologie che lo monitorano, dall'atmosfera al mare fino ai movimenti delle placche tettoniche. Tutto oggi è può essere trasformato in dati, ovvero in informazioni denotate di significato per l'uomo e da cui questi può ricevere utilità pragmatica e conoscitiva. I dati hanno poi iniziato ad avere un loro valore economico autonomo. Le informazioni sono diventate l'oggetto delle transazioni e nuove categorie di professionisti, i Data Specialist, entrano in gioco, offrendo le loro competenze a chi vuole sfruttare pienamente il potenziale dei dati.

I Big Data si presentano come una grande opportunità per l'umanità. Nuovi traguardi conoscitivi verranno raggiunti, e, grazie al loro potere previsionale, l'uomo potrà adoperarsi per migliorare l'organizzazione del mondo sociale in cui vive. Tuttavia un uso poco saggio e perverso delle informazioni potrebbe risultare pericoloso. La privacy, il diritto alla riservatezza, è già oggi oggetto di pratiche lesive. Molti dei dati usati da imprese e governi riguardano i cittadini e spesso aspetti personali e confidenziali delle loro esistenze. Il consenso informato non sempre riesce a tutelare la riservatezza. Molti utilizzi dei dati sono infatti futuri ed è contraddittorio dare la propria approvazione verso usi di cui non si conosce il contenuto. Anche la libertà dell'uomo rischia di essere minata. Le previsioni statistiche tendono a divenire sempre più precise, e nulla impedisce che prima o poi vengano applicate in campo giudiziario. Si inizierebbero ad adottare misure preventive a sfavore di individui o gruppi, quando i dati li dipingano come probabili criminali. Ancora, si arriverebbe ad arrestare un individuo prima della commissione del fatto, solo perché secondo il risultato di un algoritmo costui avrebbe a breve compiuto un delitto, venendo così attaccati i diritti fondamentali della persona previsti dalle costituzioni moderne e la fiducia dell'uomo come essere dotato di libero arbitrio. Gli autori paventano quindi la necessità che lo sviluppo tecnologico dell'uomo subisca sempre l'influsso di una sua "direzione etica".

Manfred Spitzer: la demenza digitale

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Manfred Spitzer

Demenza digitale: come la nuova tecnologia ci rende stupidi (Digitale Demenz: Wie wir uns und unsere Kinder um den Verstand bringen) è un saggio scritto dal neuropsichiatra tedesco Manfred Spitzer nel 2012.L'autore, dirigente della Clinica psichiatrica e del Centro per le Neuroscienze e l'Apprendimento dell'Università di Ulm, spiega l'influenza negativa dell'intensivo uso dei media digitali sullo sviluppo cerebrale degli esseri umani, soprattutto tra l'infanzia e l'adolescenza in quanto il cervello è in piena fase di sviluppo. Nello specifico, il neuropsichiatra ritrova una significativa relazione tra la corteccia prefrontale-orbitofrontale e l'ampiezza del gruppo e pensiero sociale. Da questo ne consegue che l'utilizzo di media digitali, che si basano su rapporti "virtuali", diminuisce la dimensione delle zone del cervello utilizzate nell'ambito della realtà sociale."Il nostro cervello è prima di tutto e soprattutto un cervello sociale"[1].

In merito l'autore dice che: "La demenza digitale si caratterizza sostanzialmente per la crescente incapacità di utilizzare e di controllare appieno le prestazioni mentali"[2], producendo effetti collaterali quali: stress, obesità, insonnia, depressione, dipendenza e perdita di controllo. Tutto questo rende il soggetto incapace di avere padronanza di se stesso e dell'ambiente che lo circonda. Tra le persone dipendenti, le più frequenti attività in rete sono: acquisto su Internet, chatroom e utilizzo eccessivo di video. Spitzer elenca una serie di caratteristiche dei videogiochi che possiedono un potenziale livello di dipendenza: coinvolgono più partecipanti, sono i più violenti e donano ricompense virtuali. L'autore riporta innumerevoli dati scientifici che descrivono la triste realtà del mondo digitale, identificando la Corea del Sud come il Paese con il più elevato grado di dipendenza; criticando pedagogisti, politici e industriali del mondo informatico interessati soltanto al marketing piuttosto che al futuro dei giovani. Ulteriore problematica giovanile riscontrata dall'autore è l'abbassamento del rendimento scolastico, in quanto apprendere esclusivamente attraverso il computer non è propedeutico, per tali ragione il cervello essendo come un "muscolo" deve essere allenato tramite l'attività di memorizzazione, riflessione e capacità critica. Ragion per cui Manfred Spitzer invita a prendere coscienza delle criticità e a non indebolire il corpo e la mente dei "nativi digitali" attraverso l'utilizzo di tecnologie informatiche.

Geert Lovink: ossessioni digitali

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Geert Lovink

Geert Lovink (Amsterdam,1959) è un saggista olandese ed un teorico della rete. Nel suo libro "L'abisso dei social media" (2016) egli riflette sulla degenerazione del digitale, il quale assume il comando di un'epoca caratterizzata da disuguaglianze sociali e una stagnazione culturale nella società. I "nuovi media" sono ormai divenuti parte del problema. L'autore, infatti, pone l'accento sul fallimento della tecnologia, che influisce sulla vita dell'uomo, in particolare quando la routine prende il sopravvento. Questa degenerazione ha portato ad una nuova serie di <<internet studies>>, basati in particolare sulle problematiche del sovraccarico di informazioni, il multitasking e la perdita di concentrazione. Tale approccio viene definito "moralista" e si distingue, invece, dall'approccio degli studiosi europei, che si focalizzano sul contesto culturale ed economico del capitalismo digitale e i suoi effetti. Le politiche di internet dovrebbero, infatti, scacciare via le tentazioni della tecnologia attraverso specifiche routine per cambiare vita.

A questo proposito l'autore cita l'esempio di Howard Rheingold, propugnatore della posizione secondo cui l'autocontrollo e l'alfabetizzazione sui social media non sono innate, ma vanno insegnate. Egli propone, infatti, dei trucchi per allenare il cervello, fino a trasformarli in abitudini. Un'altra posizione interessante che affronta, appunto, il problema dell'ossessione digitale è quella di Morozov (Soligorsk, 1984), sociologo e giornalista bielorusso, esperto di nuovi media. Egli afferma nel suo libro Internet non salverà il mondo (2013) che la tecnologia non riuscirà a risolvere i problemi sociali. L'era del dot.com si è trasformata in una "fibra morale indebolita": Silicon Valley rappresenta la degenerazione del conservatorismo libertario; gli ideali progressisti sono stati abbandonati in favore di concezioni reazionarie. Nonostante ciò, questo quadro è destinato a rimanere tale a causa della scarsità nella produzione di studi critici, spesso denunciata dall'autore.

Ossessioni collettive: critica dei social media

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Geert Lovink in quest’opera affronta in chiave critica le culture di rete. Focalizza l'attenzione sul Web 2.0 considerando le nuove modalità di accesso alla rete: mobile apps e walled gardens(“giardini recintati” che filtrano tutto ciò che è ritenuto inadatto). La posizione di Lovink è quella di un mediatore che non si schiera a favore di nessuno, ma osserva e riflette in base alle critiche e alle teorie vantaggiose del web. L'autore propone di iniziare a trattare le macchine in modo autonomo, svincolate dall'uomo. Dedica la sua attenzione ai blog, che hanno cercato di eliminare l'apparenza del web integrando elementi di vita privata, ma sono tanto innovativi quanto distruttivi: cade il concetto di identità, danno vita ad una comunità in cui tutti seguono, guardano e si adattano a ciò che fa la maggioranza. Questo è il limite di questi media: essere un ambiente chiuso. Lovink mostra grande avversità nei confronti di Google, che mira al guadagno attraverso il consenso e l'utilizzo degli utenti. Problema che segue da tutto ciò è l'ignoranza degli oggetti tecnologici che vengono utilizzati, delle conseguenze della diffusione di troppi dati personali, ogni qual volta ci si registra a qualche sito, e l'ignoranza delle strutture politiche e istituzionali che si trovano dietro tutto ciò. Lovink vuole quindi contrastare questa mancata conoscenza attraverso una teoria che mira a formare dei soggetti attivi, non passivi della tecnologia.

Luca De Biase: homo pluralis

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Nel libro Homo pluralis, Luca De Biase ha esposto la sua visione circa l'utilizzo e la diffusione delle tecnologie nella realtà che ci circonda: essere umani nell'era tecnologica significa vivere in un ambiente arricchito da dati e utilizzare protesi digitali come lo smartphone. La tecnologia, entrando in simbiosi con la società e la cultura, ha migliorato la consapevolezza delle dimensioni nelle quali si vive, dei diversi punti di vista delle persone, connettendoli in modo da favorire la diffusione di informazioni circa i valori del bene comune, la progettazione condivisa e la deliberazione civica. In questo modo le scelte sono più libere ed è salvaguardata la dimensione plurale dell'uomo, la cui identità altrimenti rischierebbe di essere omologata.

Francesco Varanini: Macchine per pensare

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Macchine per pensare è un saggio e allo stesso tempo un romanzo storico. Permette di ripercorrere parallelamente l’avvento e lo sviluppo del computing e il pensiero filosofico occidentale rivolto alle macchine. Accanto alle vicende di matematici, logicisti e inventori come Frege, Zuse, Turing, von Neumann, l'autore accosta la storia del pensiero che ha portato poi l'uomo a costruire macchine per pensare. La storia si sviluppa nel dramma delle due guerre mondiali tra la macchina di Hollerith, che tutto controlla, sorveglia e punisce, passando per il sogno di un giovane Zuse che progetta nel proprio appartamento il primo calcolatore basato su codice binario, fino ad arrivare alla fine della guerra e all'annessa migrazione delle grandi menti verso la Silicon Valley.

Varanini dipinge un quadro in cui le scelte tecniche sono frutto del pensiero e dove la macchina non può prescindere dal contesto filosofico, culturale e storico che l'ha generata. Occidente, grande guerra, nazismo, paura delle masse, sterminio, bisogno di controllo in opposizione al sogno americano, agli anni della ripresa economica, alla fine delle grandi guerre. Non può che derivarne una biforcazione. Due macchine. Da un lato l'idea della macchina come sostituto dell'uomo, la macchina perfetta che guida e governa e libera l'uomo dalla paura. Infine : un computer-Dio. Dall'altro lato la macchina come stampella del claudicante cammino umano, il computer che accompagna l'uomo. Su questa seconda ipotesi si ha, all'inizio degli anni ’90, un rovesciamento paradossale. Proprio tramite quello stesso codice digitale offerto dal computing, erede del logicismo; proprio tramite i computer, macchine figlie del progetto logicista abbiamo accesso allo sconfinante, sinistro, spaesante e ricchissimo World Wide Web

Nel web è impossibile separare nettamente le credenze dalle verità. Ci muoviamo nella sterminata rete mossi nella ricerca di conoscenze da oscure congetture. Il Web può essere paragonato a un accozzaglia di detriti. Detriti che ci appaiono sempre anche come nuovi materiali di costruzione. Freud ci mostra il percorso per muoversi in questo caos. Accettare tutti i materiali. Accettare l'ambiguità. Formulare senza timore oscure congetture, interpretare, costruire conoscenza. Linguaggi di programmazione e database non sono in alcun modo novità. Sono solo l’estrema conseguenza del logicismo, da Leibniz a Turing. Il Web è novità. Freud ci chiama ad affacciarci senza paura sul web.

Piero Dominici: la società interconnessa

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Nel libro Dentro la società interconnessa Pietro Dominici espone il concetto di comunicazione (definita come un processo sociale di condivisione della conoscenza) e come la sua evoluzione abbia modificato la società e l'individuo che, a detta stessa dell'autore, non può però essere considerato in maniera oggettiva, ma va analizzato attraverso l'analisi e l'interpretazione dei pensatori precedenti.

Punto fondamentale dal quale il discorso prende moto è quello che Dominici definisce un "assunto forte", ovvero la presa di coscienza sulla complessità della comunicazione. Quest'ultima viene definita come "un'interazione sociale caratterizzata da un sistema di relazioni nel quale azione e retroazione (feedback) presentano un carattere probabilistico" alla quale partecipano attori sociali (individui), gruppi, comunità situazioni e contesti differenti. Poiché la complessità di un sistema è data dall'alto numero di variabili che ne rendono difficile l'osservazione, la comunicazione risulta essere particolarmente complessa da analizzare, rendendo l'individuazione di "regolarità" e fare il "previsioni" l'unico percorso percorribile ai fini di una sua analisi. È poi posto all'attenzione del lettore come le nuove tecnologie stiano portando ad un processo di trasformazione antropologica in grado di mutare la natura dell'agire umano ed i suoi modi di conoscere ed approcciarsi alla realtà. Alla luce di ciò appare necessaria una riformulazione dell'etica, soprattutto in vista della nuova concezione di soggettività personale basata su una una maggiore autonomia individuale.

In un secondo momento, attraverso lo studio e l'analisi del pensiero di pensatori contemporanei, l'autore espone due differenti modalità di aggregazione degli individui, ovvero:la società di massa e la società dell'informazione verso la quale ci stiamo muovendo. La società di massa, omologante e conformista, basata su schemi di valori derivanti dal rapporto con la famiglia, il territorio, la comunità e nella quale l'individuo si ritrova ad essere solo un ingranaggio della società e ridotto a semplice consumatore, sta mutando verso una forma di società basata su diversi mezzi di aggregazione e ricchezze, quelle digitali. In entrambe le forme di società un ruolo importante è svolto dai mass-media che, mentre nella società di massa di manipolare con facilità gli individui (proprio in virtù del forte spirito di omologazione che li contraddistingueva), nella società dell'informazione perdono molta della loro influenza in quanto i messaggi da loro trasmessi vengo sempre processati e rielaborati individualmente dal singolo prima di essere discussi nel gruppo di appartenenza.

Su tale questione si oppongono due schieramenti: gli integrati convinti che l'arricchirsi della comunicazione con tali mezzi tecnologici sia un qualcosa di assolutamente positivo in grado di permettere maggiore democrazia ed uguaglianza, e gli apocalittici che vedono nei nuovi mezzi di comunicazione le basi per una frammentazione della società in favore dell'individualismo. Ricollocare la persona, portatrice di valori, di diritti e di un modello culturale al centro della riflessione e del pensiero contemporaneo, questa la proposta di Dominici nata dalla riflessione riguardo alla dimensione etico-valoriale e alle modifiche da essa subite con l'avvento delle nuove tecnologie. In particolare si definisce come la tecnologia debba tornare ad essere un "mezzo" e non un "fine". L'autore afferma che l'impulso produttivo che ha portato ad assottigliare la distanza tra offline ed online debba, soprattutto nel campo della divulgazione del sapere e delle notizie, cedere il passo ad una nuova categoria di persone, attraverso un processo di formazione possano assumersi la responsabilità di essere comunicatori divulgatori delle nuove forme di sapere.

Pedro Domingos: l'algoritmo definitivo

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Pedro Domingos, professore dal 1999 presso l'Università di Washington, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche su temi relativi all'intelligenza artificiale e al machine learning, l'apprendimento automatico, con cui risolvere il principale problema che affligge gli algoritmi: la complessità.

Nel 2015 rilascia il suo primo libro per il grande pubblico: L'Algoritmo Definitivo. Il titolo dell'opera si riferisce ad uno dei sogni che gli studiosi di machine learning sperano, un giorno, di realizzare: un algoritmo di apprendimento universale perfetto da cui far derivare tutta la conoscenza, sia essa passata, presente o futura. Un algoritmo del genere, una volta realizzato, porterà ad una vera e propria evoluzione dell'uomo, che farà enormi passi avanti in ogni settore.

Per cercare di spianare la tortuosa strada che conduce all'Algoritmo Definitivo, Domingos analizza il variegato mondo del machine learning, identificando cinque tribù, scuole di pensiero differenti per idee e metodi utilizzati. Esse sono:

  1. Simbolisti, ispirati alla filosofia, alla psicologia e alla logica e basati sulla deduzione inversa, l'induzione, con cui creano algoritmi come gli alberi di decisione, che garantiscono che che ad ogni istanza corrisponda una sola regola;
  2. Connessionisti, basati su su neuroscienze e fisica, che si ispirano alla struttura del cervello, costituito da reti neurali, realizzando algoritmi quali la retropropagazione, che consente di procedere per strati invece di dover aggiustare il peso di ogni singolo neurone;
  3. Evoluzionisti, che hanno come base la genetica e la biologia evolutiva, le cui teorie sono utilizzate per realizzare i cosiddetti algoritmi genetici, che imitano la riproduzione naturale mediante crossover delle sequenze di bit, come se fossero cromosomi;
  4. Bayesiani, che si fondano sulla statistica e sul teorema di Bayes, utilizzato nell'inferenza bayesiana per aggiornare il grado di confidenza in un'ipotesi all'arrivo di nuovi dati, che aumentano la sua probabilità se consistenti con essa, nonostante si tratti sempre di credenze soggettive;
  5. Analogisti, la meno compatta fra le cinque tribù, che assomiglia più ad un gruppo di ricercatori diversi uniti solo dalla fiducia nei giudizi di somiglianza come base per l'apprendimento.

Analizzate le diverse scuole di pensiero, Domingos sostiene che, per raggiungere l'Algoritmo Definitivo, sia necessario unire in qualche modo le cinque tribù e cogliere, con un computer, l'essenza della mente di un bambino. Bisogna, innanzitutto, cercare un algoritmo che raggruppi spontaneamente oggetti simili o immagini diverse dello stesso oggetto: è il problema del clustering, uno dei più studiati nel settore. L'altra metà dell'opera consiste nell'abbreviare la descrizione di ogni entità. Gli esperti di machine learning chiamano questo processo "riduzione di dimensionalità", fondamentale quando si ha a che fare con enormi volumi di dati. Infine, Domingos nota che i bambini non si limitano ad imparare passivamente, ma agiscono, guidati dalle emozioni. I diversi learner analizzati finora sono guidati dalla gratificazione istantanea, ma esiste un altro settore: quello guidato dall'apprendimento per rinforzo. Idea fondamentale in questo tipo di apprendimento è che non tutti gli stati hanno una ricompensa, ma tutti gli stati hanno un valore. Questo tipo di apprendimento ha numerosi problemi, ma, se applicato ai learner di cui l'autore ha parlato nel corso dell'opera, raggiunge nonostante tutto risultati degni di nota.

Passo fondamentale verso l'Algoritmo Definitivo è la combinazione di più learner. Si parla di "metalearning" quando si tratta di apprendimento su learner. Uno dei metalearner più ingegnosi è il boosting, che non combina learner diversi, ma applica ripetutamente ai dati lo stesso classificatore, usando ogni nuovo modello per correggere gli errori del precedente. Il metalearning dà ottimi risultati, ma non combina i modelli in maniera particolarmente approfondita, oltre al fatto di essere molto costoso. Domingos crede che possa esistere un unico learner che faccia tutto da solo: l'Algoritmo Definitivo, il "Sacro Graal dell'informatica".

Lawrence Lessig: proprietà intellettuale e cultura libera

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Lawrence Lessig

Lawrence Lessig, è un giurista statunitense. È un noto sostenitore della riduzione delle restrizioni legali sul diritto d'autore, come testimonia il libro Remix. Il futuro del copyright (e delle nuove generazioni), in cui espone i principali limiti di tale normativa e gli effetti che produce nella società. La legge sul diritto d’autore è diventata una normativa estremista che rende difficile un’ampia gamma di attività creative a cui qualunque società libera permetterebbe di esistere dal punto di vista legale. Questa mina lo sviluppo della cosiddetta cultura RW (read/write, leggi e scrivi), la quale è espressione di un nuovo tipo di creatività, basata sul remix, che consiste nella libera rielaborazione di musica, testi, video, fotografie ecc. Inoltre il remix produce due aspetti positivi: uno legato alla socializzazione, e uno all’educazione. I remix hanno luogo all’interno di una comunità di remixer e nell’era digitale, tale community, può estendersi in tutto il mondo. Ma è anche una strategia volta a stimolare l’apprendimento basato sull’interesse: tale forma di apprendimento scaturisce dall’interesse della persona, quando i ragazzi svolgono attività che li appassionano, essi apprendono di più e più efficacemente.

Però la legge sul copyright contrasta la pratica di tale cultura, il problema quindi è che questa è un’arte illegale, e di conseguenza chiunque la persegue viene definito criminale. Lessig mostra perciò la necessità di cambiare approccio, non eliminando le leggi sul copyright in quanto grazie ad esso incentiviamo la produzione di nuove opere che altrimenti non verrebbero prodotte, ma elaborando un modello "ibrido" che bilanci le esigenze dei creatori con il desiderio dei fruitori di impossessarsi dei prodotti artistici e culturali. La legge sul copyright deve essere cambiata, ma non abolita, quindi l'autore propone cinque modifiche che potrebbero migliorare il rapporto tra tale legge e la creatività RW.

  1. Bisogna dotarsi di una legge sul copyright che lasci la creatività amatoriale libera, mentre le copie delle opere professionali dovrebbero continuare ad essere regolate nel modo tradizionale.
  2. Avere chiari diritti: i detentori del copyright dovrebbero registrare le opere in un determinato server che ne attesti la proprietà per comprendere cosa appartiene a chi.
  3. Bisogna impegnarsi per semplificare la legge.
  4. La legge sul copyright deve abbandonare la sua ossessione per la copia: non dovrebbe, infatti, regolamentare le copie o le riproduzioni ma i loro utilizzi.
  5. Bisogna decriminalizzare il file sharing, autorizzando almeno quello non commerciale attraverso, ad esempio, l’imposizione di tasse.

Un cambiamento è necessario in quanto eviterebbe alle giovani generazioni di crescere con l’etichetta del “pirata”: in gioco, infatti, non c’è solo la libertà creativa, ma anche il rapporto di queste generazioni con la legge.

Il futuro delle idee

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Lawrence Lessig ha inoltre scritto un importante libro "Il futuro delle idee" incentrato sulle conseguenze che l'inasprimento in atto del regime di proprietà intellettuale determinerà sulla nostra libertà e sugli assetti regolativi della Rete. Internet è nata come spazio libero, in cui la cultura e l'informazione ,le idee del nostro tempo, potessero liberamente fluire generando un'inedita libertà d'espressione. Questa libertà si sta restringendo,giorno dopo giorno, da un punto di vista tecnico e legale. Il rischio è di un ritorno ad un età medievale in cui pochi gestori dei diritti impongono le proprie regole a tutto il mondo. Per evitare ciò è necessario, come Lessig evidenzia più volte, mantenere un equilibrio tra libertà e controllo delle risorse. Lessig in questo libro sviluppa le proprie argomentazioni entrando nel merito della proprietà privata delle idee, riscoprendo il loro valore come bene comune.

Antonio Caronia: il cyborg

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Il Cyborg è un saggio sull’uomo artificiale scritto da Antonio Caronia (Genova, 1944) nel 1985. Il punto cardine della trattazione è il rapporto uomo-macchina, e lo sviluppo che tale rapporto ha avuto nel corso dei secoli, partendo dalla preistoria e dal binomio homo sapiens e homo technologicus. L’autore considera il saggio in grado di orientare le domande dei lettori in merito al fenomeno dell’ibridazione fra esseri umani e tecnologie, perseguendo l’analisi del rapporto tra biologia e cultura degli esseri umani sia in una realtà immaginaria che nel mondo reale. Il saggio è suddiviso il due parti: L’alba dell’ibrido moderno e Il cyborg postfordista.

Nel primo capitolo troviamo la definizione di cyborg e le sue origini. Il cyborg nasce dalla fantascienza americana, negli anni Venti, affiancato dalle figure del robot e dell’androide. La prima definizione di cyborg ci è fornita da Odle in The Clockwork Man, la definizione asserisce che il cyborg è l’uomo dell’8000 d.c con un meccanismo ad orologeria nella testa con il quale può passeggiare nel tempo e nello spazio sconosciuto. Il cyborg è come i mostri medievali abitante di un'altra dimensione, un altro spazio. A differenza dei mostri medioevali che erano ancorati all’idea per la quale i mostri fossero legati la proprio creatore e quindi avevano come punto fisso l’uomo, unità di misura che ha posto Dio per distinguere ciò che è considerato normale dall’anormale. I cyborg rappresentano il punto di rottura con il sistema medioevale e rivelano la piccolezza dell’uomo nei confronti dello spazio, la sua fragilità. Il cyborg diventa l’unica chiave per approcciarsi a realtà che altrimenti rimarrebbero sconosciute.

Caronia ci offre un ampio spettro di tutte le diverse morfologie di cyborg che hanno preso forma nel corso dei tempi. Il primo modello di cyborg fu il più semplice e al tempo stesso il più radicale si parlò di un cervello in una scatola di metallo. Ciò che è messo in rilievo è quello che viene considerato il centro e l’organo più nobile dell’essere umano, il cervello. Il resto sono solo organi non necessari per la costruzione di un cyborg perfetto. Tale idea di cyborg si fece spazio tra diversi letterari del tempo e non solo scrittori di fantascienza. Il cyborg che invade la scena supera tutti quelli che possono essere considerati limiti umani, come il bisogno di nutrirsi o dissetarsi. Nel terzo capitolo del saggio, troviamo esplicitate le caratteristiche principali del confronto uomo-macchina e da ciò la nascita del cyborg. Il primo a sostenere che l’antitesi uomo-macchina sia in complementarità col binomio naturale-artificiale, fu Cartesio, il quale sviluppando la sua teoria e visione meccanicistica del mondo, ha fatto sì che in età moderna l’uomo e la macchina siano uno il riflesso dell’altro. Il corpo umano, infatti funziona come una macchina perfetta e l’universo non è altro che un’immensa macchina costantemente in movimento nello spazio. Più tardi Diderot fece coincidere artificiale e naturale, sostenendo che tutto ciò che è creato dall'uomo è naturale poiché egli stesso fa parte della natura. Così nel secolo dei lumi, meccanicismo e naturalismo combaciano. Il cyborg diventa un’esasperazione delle peggiori caratteristiche umane. Successivamente si sviluppa una nuova immagine di cyborg che è a metà tra il meccanismo artificiale e l’uomo che vuole provare sentimenti. Di qui un’immagine sofferente, la macchina che si è fatta strada in lui non gli potrà permettere alcun contatto con l’umanità. Una questione che si fa sempre più sottile tanto da non riuscir più a distinguere con facilità artificiale e naturale, tanto da far sovrapporre se non scomparire tali concetti. Facendo coincidere la “meccanizzazione dell’uomo con la sua incapacità di amare. Lo stesso Caronia scrive: "Il cyborg si presenta quindi come l’oggettivazione di una sessualità disturbata non necessariamente come una minaccia ma certamente come simbolo di un’aggressione all’Io individuale o sociale di cui, comunque, lo sviluppo della tecnica è una componente importante".

L'autore analizza poi le origini del concetto di sottomissione dell’uomo alla macchina. Molti infatti sostengono che queste macchine siano talmente intelligenti da far cadere gli uomini ai loro piedi o peggio ancora essere esiliati dalle macchine in altri contesti, visti e paragonati a mutanti costretti a vivere sottoterra dipendenti da una macchina. Gli scritti fantascientifici rappresentano attraverso questi scenari solo i contro dell’intelligenza artificiale, portando questo contesto all’esasperazione. Di qui il chiarimento dei pro e dei contro dell’intelligenza artificiale. Non siamo ancora in grado di produrre macchine che siano in grado di pensare come un essere umano dal punto di vista psicologico, al contrario possiamo avere macchine che abbiano la nostra, se non maggiore e più accurata, intelligenza in ambito matematico, tecnico o scientifico. L'autore rivolge poi la sua attenzione al ruolo della nascita della tecnologia e del lento decadimento della natura che è diventata via via frammentaria. I cyborg sono figli dell’uomo che è mortale, il naturale che diventa artificiale, il mortale che diventa immortale. Ora, l'uomo che per millenni ha cercato di arrivare a concepire qualcosa che lo rendesse immortale, l’ha ritrovato nella figura del cyborg ma a quale prezzo?

Dai cervelli inscatolati degli anni ‘30, la figura del cyborg nel corso degli anni si evolve passando prima ad una figura che veniva più legata ed evidenziata nella vita reale come Terminator dal corpo umano e gli interni meccanici. Negli anni ‘80 il cyborg invece si sviluppa in una realtà del tutto virtuale. L’arrivo di internet sconvolge i meccanismi precedenti abbattendo le barriere tra uomo e ambiente. Cambia il modo di pensare che non è più legato a produrre teorie ma a produrre oggetti che conferiscano maggior potere all’uomo e che riducano via via ogni limite che gli si possa porre dinanzi. Nel penultimo capitolo troviamo la definizione di “artificialità” fornita da Tagliasco, il quale la definiva come la particolarità che contraddistingue in nostro corpo, ciò che porta alla distinzione tra cloni e mutanti. La sintesi fra organico ed inorganico trova ampia realizzazione nella macchina che si realizza con l’industria capitalistica quando l’uomo deve adattarsi e sottomettersi a modalità e tempi di lavoro della macchina, in questo cotesto uomo e macchina sono uno contro l’altro in competizione. Durante l’epoca postfordista invece uomo e macchina quasi si fondano e lavorano insieme non solo in ambito lavorativo ma anche nel quotidiano. Di qui si parla di biopolitica e Caronia riprende nel suo saggio una moltitudine di intellettuali che hanno affrontato l’argomento come Foucault ("la realtà biologica si riflette in quella politica”); Donna Haraway con la teoria “corporea, letterale, figurativa, non metaforica").

Il Ventesimo secolo grazie alla tecnologia è diventato l’epoca del possibile. La quale ha reso possibile l’unica rivoluzione del Novecento. Willard van Orman Quine, cinquant’anni fa sferrò una forte critica al concetto di necessità. Nel corso della storia il termine “necessità” ha assunto significati diversi in contesti diversi tra innumerevoli filosofi, il primo che definì ciò che fosse necessario fu Aristotele, vista come "ciò senza cui non è possibile vivere” e “ciò che costringe, … una cosa contraria al movimento liberamente scelto e razionalmente meditato". in seguito viene riconosciuto da Voltaire il valore contingente della necessità, in quanto la necessità di uno può differire da quella di un altro, giungendo ad una versione pessimistica e negativa di necessità. In seguito da Kant la necessità è intesa come necessità logica, necessario coincide con analitico. Il cyborg non è una figura fissa bensì mutabile e in costante sviluppo. Il cyborg è l’apoteosi del raggiungimento dell’uscire da sé a cui tendevano sciamani e mistici di ogni tempo, “uscire da sé” in senso letterale, fisico, in completa estasi. In questo si identifica la prospettiva del postumano. Ciò apre contraddizioni tra individuo e collettività che sono principalmente due: processi culturali di umanizzazione e modalità di appropriazione e uso delle tecnologie.

Riferimenti bibliografici

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  • U. Pagallo, Introduzione alla filosofia digitale. Da Leibniz a Chaitin, Torino, Giappichelli, 2005.
  • G. O. Longo - A. Vaccaro, Bit Bang. La nascita della filosofia digitale, Milano, Apogeo; Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2013.
  • E. Steinhart, Metafisica digitale, in: La fenice digitale: come i computer stanno cambiando la filosofia, a cura di T. W. Bynum e J. H. Moor, Milano, Apogeo, 2000, pp. 125-139.
  • T. W. Bynum - J. H. Moor, The Digital Phoenix: how computers are changing philosophy, Oxford 1998; tr. it. La fenice digitale. Come i computer stanno cambiando la filosofia, Milano 2000.
  • L. De Biase, Homo pluralis, Torino, Codice, 2015.
  • Y. Benkler, La ricchezza della rete. La produzione sociale trasforma il mercato e aumenta le libertà, tr. it. di A. Delfanti, Egea Università Bocconi Editore, Milano, 2007.
  • M. Durante, Il futuro del web: etica, diritto, decentramento, G. Giappichelli Editore, Torino, 2007.
  • Lessig L., "Cultura libera. Un equilibrio fra anarchia e controllo, contro l'estremismo della proprietà intellettuale", tr. it. di B. Parrella, Apogeo, Milano, 2005.
  • Greco G.M.- Paronitti G.- Taddeo M.- Floridi L., "Etica informatica", in Enciclopedia filosofica, Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate, http://www.philosophyofinformation.net/pdf/14601.pdf
  1. Tu non sei un gadget, p. 60.
  2. Tu non sei un gadget, p. 201.
  3. l'articolo completo su: http://www.repubblica.it/tecnologia/2017/09/09/news/morozov_il_vero_lusso_vivere_disconnessi_dalla_rete_-175005909/
  4. l'articolo completo su: http://www.linkiesta.it/it/article/2014/05/20/perché-internet-non-salvera-il-mondo/21303/