Ebrei a Caluso - Progetto "Salva una storia"/Capitolo 5

Indice del libro

Capitolo 5. Specificità di Fossoli.

Tecnicamente era definito Polizei-und Durchgangslager, Campo di Polizia e Transito, utilizzato dalle SS e inserito di fatto nel sistema concentrazionario nazista, quale principale campo deputato alla deportazione dall'Italia verso i Lager e i campi di sterminio del Reich. Complessivamente ospitò 8000 ebrei deportati dall’Italia, 24000 deportati politici, 200 bambini. Quando si arrivava, venivano fornite le generalità e, nel caso in cui ci fossero stati dei parenti, sarebbero stati posti nella stessa baracca. I prigionieri venivano classificati in base alla loro “razza”: ebrei puri (tutti e due i genitori ebrei) o ebrei misti (un genitore ebreo e l’altro ariano). Gli ebrei puri erano destinati al taglio dei capelli, dovevano portare la divisa e lavorare perché sarebbero stati deportati in un campo di concentramento. Invece gli ebrei misti erano esenti da tutto ciò, addirittura potevano ricevere pacchi dalla famiglia e, talvolta, beneficiare di permessi di uscita; merita ricordare Anita Levi che ottenne il permesso di vedere la madre poco prima di morire e fu in grado di cogliere l’occasione per fuggire, o Luciana Nissi, la quale fu autorizzata ad uscire per sostenere un esame all’università.

Il campo non era duro come quelli di sterminio in cui poi sarebbero andati, per esempio c’erano le latrine nelle baracche; molto di loro avrebbero successivamente conosciuto il degrado di dover andare in bagno solo una volta al giorno, per 4 secondi, passati i quali venivano picchiati dalle guardie e rimessi al lavoro; per questo motivo molti prigionieri preferivano utilizzare un secchio comune. Ciononostante, Fossoli era semplicemente l’inizio di quello che sarebbe stato il percorso verso i veri e propri campi di concentramento, il luogo della tormentata attesa di un destino ignoto, l’anticamera della morte, nella quale si stazionava massimo un mese per poi partire verso i campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, Buchenwald, Bergen-Belsen, Mauthausen.

Il 15 marzo 1944 i nazisti presero il controllo del campo e, come era immaginabile, la vita divenne molto più dura di quanto già non lo fosse prima. Dai serrati ritmi di arresto, dalla deportazione, dall’efficientissima organizzazione burocratica ed implacabile esecuzione degli ordini, si poteva evincere che per Hitler lo sterminio venisse prima rispetto alla vittoria della guerra.

L’ultimo convoglio da Fossoli partì il 1 agosto 1944, dopodiché gli alleati bombardarono i ponti sul Po. L’intero meccanismo venne spostato a Bolzano, dove funzionò fino al febbraio ‘45.

Tra l’ agosto e il novembre ‘44 il campo di transito di Fossoli venne trasformato in un centro di raccolta lavori forzati per prigionieri tra i 18 e i 44 anni d’età: i tedeschi offrirono loro la scelta di lavorare per ditte come Volkswagen e Audi, avendo una busta paga a tutti gli effetti alla quale sarebbero stati detratti vitto, alloggio e assicurazione per infortuni con un salario totale prossimo allo zero, oppure di diventare schiavi deportati nei Lager nazisti.

Dopo la fine della guerra il Campo vide una alternanza di destinazioni opposte che fanno tuttora discutere su quale memoria storica debba essere preservata:

  • tra il 1945 e il 1946 venne utilizzato come campo di concentramento per militari che avevano combattuto al servizio dei nazifascisti e civili collaborazionisti, i cosiddetti "indesiderabili". Il parroco che si dedicò alla loro assistenza cadde vittima del clima di contrapposizione ideologica dell’immediato dopoguerra
  • tra il 46 e il 47 ospitò, per contro, gli ebrei reduci dai lager ed in attesa di sistemazione e rimpatrio
  • dal 1947 al 1952 ad opera di don Zeno Saltini, venne fondata Nomadelfia, per dare famiglia a bambini abbandonati e orfani di guerra; fu un ardito esperimento di cristianesimo sociale e comunismo evangelico, poco gradito al ministro dell’interno Mario Scelba che lo sciolse decisamente
  • dal 1954 alla fine degli anni '60 vi giunsero i profughi giuliano-dalmati provenienti dall'Istria per fuggire alla Repubblica Socialista Federale Jugoslava e vi fondarono il Villaggio San Marco