Biografie cristologiche/Teologie multiculturali

Indice del libro

Le immagini negative dell'Ebraismo — legalistico, ossessionato dalla purezza, dominato dal Tempio, bellicoso, avido, in un modo o nell'altro ripugnante ai cristiani — appaiono non solo nell'interpretazione biblica ma anche nell'istruzione teologica, dalla teologia stessa alla cura spirituale e pastorale. Inoltre, si sono diffuse in tutto il mondo. [1] Insegnamenti antiebraici all'inizio del XXI secolo dovrebbero essere stati corretti da diversi decenni di buona ricerca biblica e diversi decenni di chiese in pentimento di passati pregiudizi. Dovrebbero essere stati fermati dall'emergere di vari metodi interpretativi, dagli studi femministi al postcolonialismo agli approcci autobiografici, strutturati per dimostrare come tutte le letture abbiano elementi soggettivi e come tutte le letture promuovano inevitabilmente certi programmi.[2] Anche l'interesse recente per il multiculturalismo dovrebbe almeno aver intaccato gli stereotipi negativi di particolari pratiche ebraiche, se non proprio incoraggiatone il rispetto. Ma purtroppo ciò che dovrebbe essere accaduto, non è accaduto.[1]


La cena di Emmaus (di Caravaggio, 1601)
La cena di Emmaus (di Caravaggio, 1601)
« Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui »
(Luca 20:38)

Qui ora la nostra discussione passa dagli studi biblici alla teologia della liberazione e all'interpretazione moderna delle nuove correnti, riscontrando che l'istruzione cristiana in senso lato è tuttora segnata dall'antiebraismo. Ma in tali contesti, la cattiva ricerca si è trasformata in un malessere particolarmente pericoloso. I commenti negativi sugli ebrei e sull'Ebraismo diventano un mezzo per dimostrare come Gesù sia solidale coi poveri, con le donne, con la popolazione palestinese e con qualsiasi altro gruppo oppresso dall'"Occidente". I fini di tali interpretazioni sono lodevoli; i mezzi sono deplorevoli.[1]

Teologia della liberazione

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La "teologia della liberazione" è la rubrica sotto cui le persone, riflettendo su esperienze (usualmente personali) di malvagità sistematica — razzismo, colonialismo, povertà, e l'onnipresente moltitudine di peccati — si rivolgono alle risorse delle proprie tradizioni religiose per cercare parole di conforto, di speranza e di realizzazione di cambiamento. Nella sua forma cristiana, la teologia della liberazione fa appello a Gesù come colui che predica la buona novella ai poveri e proclama la liberazione degli oppressi. Cominciando dal presupposto che Gesù redime dall'oppressione, i teologi della liberazione si rivolgono a due domande impellenti: "Redimere come?" e "Redimere da cosa?" Le risposte si riscontrano nell'area sociale: Gesù redime dall'oppressione politica ed economica, sessuale e razziale, sfidando qualsiasi forza che reprima l'integrità umana. Tutto bene finora.

Ma poi arrivano i particolari. Gesù deve redimere da qualcosa di tangibile; la teologia deve avere una ricompensa pratica. Non è sufficiente discutere come Gesù redima dal "peccato" e dalla "morte" mentre dei bambini muoiono di fame e non c'è acqua potabile o accesso a cure mediche. Pertanto, il teologo della liberazione guarda la redenzione in termini pratici, ed il fulcro si concentra non tanto su sacramenti e soteriologia, ma su impero ed economia.[1]

Quando i teologi vengono a considerare i Vangeli, vi trovano non solo Gesù il liberatore, ma anche l'"oppressore". In molta dell'interpretazione teologica della liberazione tuttavia, l'oppressore è identificato non con l'imperialismo o colonialismo romano. Prendendo lo spunto dal Nuovo Testamento e sostenuti da secoli di insegnamenti antiebraici della chiesa, questi teologi vengono a simboleggiare l'Ebraismo e gli ebrei come "male sistematico". Nello stesso Nuovo Testamento, Gesù non ha granché da dire contro l'Impero Romano, nonostante il fatto che egli muoia messo come criminale politico su una croce romana. I Vangeli avevano già iniziato a spostare la colpa della morte di Gesù da Roma alla leadership ebraica: il povero Pilato emerge più come un babbeo manovrato dalle masse che vgliono che il sangue di Gesù ricada su di loro (Mt 27:25) e dal sommo sacerdote che lo minaccia con l'accusa di tradimento se si rifiuta di giustiziare il (presunto) re (Gv 19:12). 1 Tessalonicesi 2 non parla dei romani ma dei "Giudei, i quali hanno ucciso il Signore Gesù" (2:15); i discorsi di Atti incolpano gli ebrei della crocifissione, non i romani. Le controversie di Gesù non sono con Pilato ma coi Farisei o, nel Vangelo di Giovanni, con gli ebrei; il suo atto di protesta principale non fu contro Pilato in Cesarea, ma contro il Tempio di Gerusalemme. Pertanto, la teologia della liberazione vede come oppressore il Farisaismo, i sacerdoti ebrei o, più spesso, semplicemente il "Giudaismo" stesso — le sue leggi, credenze, tradizioni e pratiche. I padri della teologia della liberazione, loro stessi influenzati dalle presentazioni accademiche standard dell'Ebraismo "cattivo", riportano alcuni dei materiali antiebraici standard nella modalità teologico-liberativa.[3]

In effetti, molto dell'antiebraismo che si ritrova oggi è sostanzialmente un prodotto "coloniale". Teologi e biblisti dell'Africa e dell'Asia, cercando di rendere il proprio lavoro pertinente per le rispettive nazioni e congregazioni, assorbono la ricerca accademica occidentale le impressioni antiebraiche. Scrivendo dalle proprie posizioni sociali, consentono agli stereotipi antiebraici di permeare le loro interpretazioni di Gesù, Paolo, Maria e Marta, e altre figure del Nuovo Testamento che stabiliscono come modelli di riferimento. Dopodiché, tali lavori vengono pubblicati da editori occidentali e diffusi in tutto il globo terracqueo. Nelle biblioteche seminariali di Manila e di Tokyo, Lagos e Soweto, queste opere poi minacciano di intossicare le generazioni successive.[3][4]

Tale intossicazione era già avvenuta nei documenti fondatori della teologia della liberazione. Uno dei padri del movimento, Gustavo Gutiérrez, affermò nel 1973 in una pubblicazione della Orbis Books che "le infedeltà del popolo ebraico hanno reso invalida l'Antica Alleanza."[5] Leonardo Boff, osservò in una pubblicazione del 1987: "Nel mondo che Gesù trovò, gli esseri umani erano... sotto il giogo dell'assolutizzazione della religione, della tradizione, e della legge. La religione non era più il modo in cui gli esseri umani esprimevano la propria apertura a Dio. Si era cristallizzata e ristagnata in un suo mondo proprio, un mondo di riti e sacrifici. I Farisei avevano una concezione morbosa del loro Dio."[6] Tale retorica dovrebbe suonare familiare: riecheggia la ricerca neotestamentaria standard degli anni 1970. Tuttavia queste opere, classiche nel loro campo, vengono tuttora assegnate a studenti di teologia e lette in tutto il mondo. Sulla loro scia arriva l'antiebraismo. Purtroppo, queste turpitudini antiebraiche vengono ancora e correntemente prodotte da coloro che ne sono consapevoli. Le case editrici che pubblicano tali materiali — il World Council of Churches (WCC) di Ginevra; la Fortress Press, collegata alla Chiesa Luterana Evangelica d'America; la Orbis Books (USA) e la Queriniana (Brescia) cattoliche, e così via — sono affiliate a gruppi che hanno promulgato splendide dichiarazioni sui rapporti ebreo-cristiani.[7] Ma il male dell'interpretazione biblica e teologica antiebraica è così dannoso, così onnipresente, da infettare anche coloro che cercano la sua eliminazione. Proprio come il razzismo ed il sessismo e la caterva di altri peccati umani ci affliggono nella nostra vita sociale e individuale, così anche l'antiebraismo viene promosso dalle migliori istituzioni, dai teologi più progressisti, e dalle persone più sensibili che operano per la giustizia e per la pace.[4]

World Council of Churches

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Il World Council of Churches (WCC) (o Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), o Consiglio mondiale delle Chiese (CMC)) presenta un esempio eccellente del problema. Questa organizzazione sponsorizza una certa quantità di lodevoli programmi. Si focalizza sull'istruzione e prevenzione HIV/AIDS, agisce a nome dei profughi, si concentra sui bisogni delle donne e dei bambini, ed opera per riconciliare oppressori e oppressi — tutte attività encomiabili. Inoltre, il WCC offre un modello di integrità delle diverse culture con le quali opera e non si aspetta che tutto il Cristianesimo si adatti ad un singolo schema. Sul fronte interconfessionale, il WCC ha pubblicato varie dichiarazioni progressive su Gesù nel suo contesto ebraico, il rapporto tra antisemitismo e Olocausto (Shoah), e la necessità di un dialogo tra le fedi. Il suo sito web[8] riporta una relazione del comitato "Christian Peacemaker Teams' Steering Committee" intitolato "A Letter to Our Churches About Anti-Semitism". Questo documento coraggioso non nega che chiese membri dell'organizzazione siano state colpevoli del perpetuare idee antisemite, ma riconosce anche che nell'ambito della propria organizzazione ci siano

« ...molti aderenti che usano argomenti teologici per affermare il loro antisemitismo. Abbiamo incontrato caratterizzazioni semplicistiche della Bibbia ebraica come vendicativa e deprecabile, convinzioni che le critiche di Gesù riguardo a certi capi ebrei del suo tempo si debbano applicare a tutti gli ebrei di allora e di adesso, ed il Sionismo cristiano in cui gli ebrei diventano elementi magici in un assurdo dramma sulla fine del mondo. »
(A Letter to Our Churches About Anti-Semitism, 1999)

Tuttavia il WCC, insieme a Orbis Books, Fortress Press, numerose case editrici universitarie, e altre, distribuisce "l'insegnamento del disprezzo" dell'Ebraismo e degli ebrei.[9] I pronunciamenti formali dell'organizzazione si mettono in contraddizione con quello che la sua stampa pubblica e con ciò che scrivono i suoi funzionari e clero.[9]

Ebraismo misogino e proibitivo: versione globale

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Il vecchio argomento femminista che Gesù redime le donne dall'Ebraismo ed elimina i "tabù" ebraici che creano gli emarginati, prende una brutta piega nelle pubblicazioni del WCC. Per esempio, in un saggio del 1995 — "Challenges for Feminist Theology in Francophone Africa" — Marguérite Fassinou, "President of the Union of Methodist Women of Benin and a member of the WCC Commission on Faith and Order",[10] afferma: "Duemila anni fa Gesù Cristo diede alle donne il loro giusto posto nonostante il giogo pesante della cultura ebraica. Per le donne in generale e per le donne ebraiche in particolare la venuta di Gesù significò una rivoluzione." Poi continua insistendo che "essere cristiani non significa dover rinunciare alla nostra cultura; noi dobbiamo rimanere genuinamente africani pur essendo sempre buoni cristiani."[10] Parimenti, Ruth M. Besha, professore di linguistica all'Università di Dar es Salaam, in Tanzania, scrive in "A Life of Endless Struggle: The Position of Women in Africa" che "Cristo non venne mai ad un compromesso con l'ingiustizia e agì e parlò contro l'oppressione delle donne nella società tradizionale ebraica."[11] In una raccolta del 1986, New Eyes for Reading: Biblical and Theological Reflections by Women from the Third World, Grace Eneme, presbiteriana e rappresentante della Federazione delle Chiese Protestanti del Cameroon, scrive: "Cristo fu l'unico rabbino che non discriminò contro le donne del suo tempo."[12] E nello stesso volume, Bette Ekeya, una cattolica keniota, asserisce: "Nel suo rapporto con le donne, egli [Gesù] scelse di ignorare i comportamenti tradizionali ebraici ed invece trattò le donne con compassione e accettazione totale."[13]

Frasi come "il giogo pesante della cultura ebraica" presuppongono che per le donne l'Ebraismo fosse oppressivo e repressivo e soppressivo. L'argomento segue i primi passi femministi delle accademie occidentali. Ma non segue, tuttavia, la Bibia stessa, in cui il Nuovo Testamento riporta numerosi diritti di cui le donne godevano nel primo secolo: la proprietà di case, posizioni di patronato, accesso ai propri fondi pecuniari, il diritto di frequentare le sinagoghe ed il Tempio, la libertà di viaggiare, e così via. Le donne non si unirono a Gesù perché l'"Ebraismo" le trattava male; né smisero di essere ebree — come non smise di esserlo Gesù — una volta che gli si unirono.[4]

Il testo evangelico più comunemente citato per dimostrare le vedute anomale di Gesù riguardo alle donne è il resoconto dell'emorroissa e la contestuale risurrezione della figlia di Giairo, che appare in tutti e tre i Vangeli Sinottici: Matteo 9:18-26, Marco 5:21-43, e Luca 8:40-56. La versione di Matteo inizia mentre Gesù sta insegnando; improvvisamente un "capo" (archon; Marco, fonte di Matteo, identifica specificamente l'uomo, chiamandolo "Giairo", un "capo della sinagoga") giunse e "gli si prostrò innanzi e gli disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà»." Matteo intensifica la situazione, dato che la versione di Marco riporta che la ragazza era solo malata. "E Gesú, alzatosi, lo seguí insieme ai suoi discepoli." Poi, interrompendo la storia della ragazza morta, Matteo racconta che "una donna, che soffriva d'emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello" sperando di essere sanata. Gesù si gira, vede la donna, e dice: "Fatti animo, figliola, la tua fede ti ha guarita." Matteo conclude felicemente: "E in quell'istante la donna guarì." Riprendendo quindi la storia del padre disperato e della figlia morta, la narrazione continua descrivendo che "Gesù, arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la gente in agitazione, disse: «Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme». Quelli si misero a deriderlo. Ma dopo che fu cacciata via la gente egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E se ne sparse la fama in tutta quella regione."

Il femminismo cristiano adora questa storia poiché, se interpretata selettivamente, supporta perfettamente l'argomentazione che Gesù rifiuta qualsiasi pratica religiosa che non consideri le donne uguali agli uomini. Il problema di questa supposizione è che si basa su un ragionamento storico errato, ed una cattiva storia non conduce ad una buona teologia. Sebbene nessuna versione della storia citi Levitico, o menzioni l'impurità, o esprima sorpresa riguardo ad una donna con emorragia in pubblico, o trovi strano che Gesù tocchi un cadavere, o raffiguri Gesù che abolisce una qualsiasi legge, gli studiosi neotestamentari importano tutto ciò e ancor di più.[14] Pertanto si legge del "coraggio della donna nello spezzare gli invalidanti tabù culturali impostile cosicché possa raggiungere Gesù direttamente ed essere completamente ripristinata ed integrata come persona con tutti i diritti nella propria società."[15] La conclusione inevitabile di tale lettura è il profitto pratico che ne ricavano oggi le donne nell'ambito della chiesa: "Continuare ad escludere le donne da certi ministeri cristiani sulla base di tabù ebraici fuori moda è nullificare e vanificare la liberazione che Gesù ha vinto per noi."[16] Il fine, la liberazione delle donne oggi, comunque non giustifica i mezzi, il falso ritratto dell'Ebraismo.

Il termine "tabù" è già carico di per se stesso di significati negativi; una frase come "invalidanti tabù culturali" lo è ancor di più. Entrambi non hanno ragion d'essere, sono ingiustificati. Non c'è ragione per cui l'emorroissa non debba stare in pubblico; non c'è ragione per cui essa non debba chiedere aiuto a Gesù. Nessuna folla si ritira disgustata davanti a lei gridando "Vai via, vattene, donna sanguinante!" Le autorità non la costringono a chiudersi in casa o a proclamare per stada "Impura, impura!" Ed infine, Gesù non abroga nessuna Legge riguardo a nessun "invalidante tabù culturale", poiché non c'è una Legge che proibisca alla donna di toccarlo o a Gesù di toccare lei.[14]

In merito alle pratiche di purezza rituale, il gesuita John Meier afferma correttamente:

« Le Leggi di purezza del Pentateuco (Lev 15:25-30)[17] non affermano esplicitamente che una zaba [donna con perdite uterine o vaginali] comunichi impurità rituale semplicemente toccando qualcuno — o, a fortiori, nel caso di Gesù, il mantello di qualcuno. A meno di supporre che i contadini galilei comuni conoscessero e osservassero le regole più rigorose degli Esseni o anticipassero la halakhah del Rabbini successivi, non c'è motivo di pensare che la donna o Gesù pensassero che un'impurità venisse trasmessa dal di lei tocco dell'indumento di Gesù. »
(J. Meier, "The Historical Jesus and Purity"[18])

Notando il silenzio di Gesù riguardo all'impurità da cadavere, da mestruo e da eiaculazione, Meier conclude che "Gesù semplicemente non se ne importava nulla di questioni riguardanti impurezza rituale che ossessionava l'interesse di molti e pii ebrei del suo tempo."[18]

Il punto può essere fatto in maniera più forte, poiché come diceva quel furbacchione di Donald Rumsfeld "La mancanza di prove non è una prova della mancanza"[19] o, diciamo noi, una mancanza di interesse. L'impostazione storica oggettiva dovrebbe essere che Gesù non era né più né meno interessato alla purezza rituale di quanto non lo fosse la maggioranza dei suoi compatrioti ebrei e che praticò insieme ai suoi seguaci quello che praticavano gli altri ebrei. Il suo cenare insieme a gabellieri e peccatori (come anche con farisei) non trasgrediva necessariamente nessuna particolare regola di purezza. Le Leggi della purezza non vengono citate in questo passo neotestamentario dell'emorroissa e della ragazza morta, perché non era necessario citarle; non sono pertinenti alla storia. Similmente, non vengono citate in connessione con la sepoltura delle salme di Giovanni il Battista e di Gesù stesso.[14]

Tali letture che parlano di Gesù che trasgredisce le Leggi della purezza si basano su un'incomprensione e quindi un travisamento delle pratiche ebraiche. Gli interpreti non descrivono queste pratiche come halakhot, o mitzvot, o finanche come comandamenti, ma col termine negativo "tabù". In questa classificazione, la tradizione ebraica è sempre considerata retrograda, e Gesù o la chiesa ne liberano il popolo. Il punto è l'opposto del multiculturalismo: invece di celebrare la differenza culturale, i teologi prima fraintendono le pratiche culturali ebraiche e poi le condannano.[1]

  • Esempi:

Musimbi Kanyoro, membro della Chiesa Luterana Evangelica, è una keniota che vive a Ginevra, dove è Segretario Generale del World YWCA. Nel suo libro intitolato Turn to God: Rejoice in Hope, afferma che Gesù "spezzò i tabù che emarginavano la gente, specialmente tutti gli impuri, i peccatori, le donne ed i bambini."[20] Ma non elenca tali tabù, anche perché non potrebbe, dato che non esistono. Gesù guarisce i lebbrosi, ma il farlo non trasgredisce nessuna Legge. Per esempio, subito dopo il Discorso della Montagna, Matteo riporta che un lebbroso venne da Gesù. Già qui la scena contesta l'idea convenzionale che ai lebbrosi era vietato stare in pubblico o erano collocati "fuori dell'accampamento " (Numeri 5:1-4) nel primo secolo. Il lebbroso si inginocchia davanti a Gesù e dice: "Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi." Gesù stende la mano e lo tocca, e dice: "Sí, io lo voglio, sii sanato." Non c'è Legge che gli proibisca di toccare un lebbroso. Allora Gesù istruisce l'uomo dicendogli: "Và a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro." (Mt 8:1-4; per la presentazione al sacerdote, cfr. Levitico 14).

Non ci sono "tabù" che "emarginino" il peccatore; i peccatori (coloro che deliberatamente ignorano la Halakhah) ed i "giusti" (coloro che rimangono nell'ambito dell'alleanza) appaiono sia nel Tempio che nella sinagoga, sia nel villaggio che nella città. Le "donne" non sono né più né meno "marginali" nel movimento di Gesù di quanto non lo siano nella società in generale. Quanto ai bambini, i Vangeli mostrano continuamente quanto i genitori ebrei si curino dei propri figli. Già menzionata è stata la storia marciana di Giairo, il "capo della sinagoga" (5:35) che implora Gsù di guarire la sua figlia dodicenne. Un padre parimenti disperato, che aveva già chiesto aiuto ai discepoli per guarire suo figlio, prega Gesù: "Credo, aiutami nella mia incredulità" (Marco 9:24). Gesù sgrida lo spirito immondo che affligge il bambino: "Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più!" (Marco 9:24). Questo non è quindi un sistema in cui i "tabù" tengono "emarginati" i bambini. Kanyoro inoltre non cita storie di bambini nel movimento di Gesù; non può, perché non ce ne sono.[21]

Come Kanyoro, Deborah Malacky Belonick della Chiesa Ortodossa d'America, scrive nel suo saggio del 1999 pubblicato su Orthodox Women Speak che "Gesù infranse molte proibizioni rabbiniche... Ci sono molti altri esempi in cui Gesù respinse tabù rabbinici e ritornò alla tradizione mosaica autentica. Toccò cadaveri..."[22] Belonick continua: "L'esempio di Gesù elevò la donna al suo giusto posto nella creazione. La donna recuperò la sua condizione coeguale all'uomo riguardo alla sua unione e relazione col Creatore... Il marito non poteva più emettere un decreto di divorzio per irritazioni minori o per la propria insoddisfazione della moglie (Mt 19:9)." E conclude: "Mediante le azioni di Gesù, le donne furono emancipate dalla rigidità rabbinica."[22] Nello stesso volume, Dimitra Koukoura, della Chiesa di Grecia, afferma:

« L'opinione insensibile sulle donne e la loro posizione, che prevaleva nel mondo greco-romano, fu rinforzata dalla maledizione [ingl. curse] della legge mosaica, in cui il peccato, il male e le donne acquisirono le stesse connotazioni negative, rendendo impossibile alle donne di ottenere un ruolo creativo nella vita sociale. La posizione delle donne venne determinata con riferimento all'uomo, che la dominava, l'opprimeva, la usava e l'accettava o rifiutava a seconda del suo ciclo mestruale... Nel Nuovo Testamento vediamo tutti i gruppi emarginati e stigmatizzati della società trovare posto vicino a Gesù: prostitute, gabellieri, gentili, bambini, i posseduti dai demoni, i lebbrosi, i banditi. Per la prima volta, le donne trovano il loro posto. »
(D. Koukoura, "Women in the Early Christian Church"[23])

Queste parole dovrebbero suonare familiari: inventano un Ebraismo cattivo, non forniscono un supporto alle loro asserzioni, e poi spiegano come Gesù abrogasse tale sistema cattivo. Distinguendo tra una "autentica tradizione mosaica" e la sua successiva interpretazione, Belonick riassume il vecchio argomento che "il tardo Ebraismo" — cioè l'Ebraismo del Secondo Tempio (allora c'è da chiedersi come classificare l'Ebraismo contemporaneo, se l'Ebraismo del terzo secolo p.e.v. è "tardo"!) — è una versione fossilizzata della verità che Gesù viene a rivelare.[22]

Non c'è legge che proibisca a Gesù di toccare un cadavere; al contrario, il Libro di Tobia, che fa parte del canone cristiano-ortodosso orientale, loda Tobia proprio perché seppellisce cadaveri. Belonick non indica mai come Gesù "reintegri" le donne, perché non è in grado di esporre come le donne in quanto donne abbiano bisogno di tale reintegrazione. In merito al divorzio, Gesù afferma (nella più rigida versione marciana, Mc 10:11-12): "Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei. Similmente, se la moglie lascia il proprio marito e ne sposa un altro, commette adulterio." In primo luogo, nulla viene detto sulla "elevazione delle donne". In secondo, il Gesù marciano proibisce alle donne di divorziare i propri mariti, ma Belonick non dice niente degli uomini elevati al loro "giusto posto". In terzo luogo, omette di far riferimento alla ketubah, il contratto di matrimonio della donna. In quarto luogo, manca di notare che l'indulgente legge del divorzio è opinione di un solo rabbino. Infine, il Vangelo nulla dice della pratiche di divorzio dell'epoca, sia in contesto ebraico che in quello gentile. Belonick prende queste informazioni sulle pratiche di divorzio ebraiche da un qualche altro studio della Bibbia cristiana e le ripete. E così il quadro negativo dell'Ebraismo continua.[21][22]

Quanto alla Legge mosaica in cui "in cui il peccato, il male e le donne acquisirono le stesse connotazioni negative", di nuovo nessuna "Legge" o commentario vengono citati. Gli stessi punti possono essere applicati al Nuovo Testamento. 1 Timoteo 2:11-15 collega esplicitamente il male, le donne ed il peccato: "La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia." Il Nuovo Testamento offre anche numerose affermazioni che loda i contributi delle donne alla chiesa. Generalizzare usando materiale selettivo dell'Antico Testamento e poi mettere Gesù in contrasto con tale generalizzazione è apologia cattiva, e non certo ricerca seria.[21]

Per concludere, la Legge della purezza familiare, tuttora osservata da alcuni ebrei, non parla di uomini che "rifiutano" donne con mestruazioni. È piuttosto la donna che è responsabile del determinare quando è disponibile sessualmente al proprio marito. Non è tanto il marito che la "rifiuta", quanto la moglie stessa che "rifiuta" il marito. Correntemente, ebrei ultraortodossi non toccano donne che non siano connesse/imparentate con loro, ma ciò non è indicativo del fatto che le trovino sporche o che abbiano vedute misogine. Anche le loro mogli, sorelle e figlie non toccano altri uomini che non siano connessi/imparentati con loro, tuttavia nessuno sembra pensare che lo facciano per purezza e perché sono femministe radicali che odiano gli uomini.[21][1][3]

"I Rabbini"

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Il secondo tipo di lettura antiebraica coincide con il primo. In questa manifestazione, qualsiasi cosa nel Nuovo Testamento che lo scrittore trovi problematica viene spiegata come un residuo della tradizione "rabbinica" (e, nuovamente, non vengono citate né fonti né date, né discusso se le usanze siano prescrittive o descrittive) o come una concessione ad esigenze ebraiche. Nei casi in cui i lettori potrebbero incontrare un problema, come per esempio le restrizioni di Paolo sui ruoli della donna (per es. 1 Cor 14:33-36), ci si inventa un cattivo Ebraismo per far apparire progressivo Paolo.[24][25]

Per esempio, S. Wesley Ariarajah, un ministro metodista di Sri Lanka già vicesegretario del WCC, afferma nel suo volume Did I Betray the Gospel? The Letters of Paul and the Place of Women (1996) che le vedute sessiste di Paolo sono prodotte dalla sua formazione "rabbinica". Il termine è anacronistico: Paolo non era membro di una scuola rabbinica, ed i documenti rabbinici, come abbiamo già visto, risalgono al periodo dopo Paolo. Secondo Ariarajah, Paolo "sosteneva ammonizioni e proibizioni... per soddisfare i cristiani ebrei che altrimenti avrebbero abbandonato il movimento."[26] Dato che Paolo sta scrivendo ai gentili, ciò sarebbe perlomeno una preoccupazione strana. Quanto alle specifiche "ammonizioni e proibizioni" (negative) riguardo alle donne, Ariarajah non ne cita neanche una.[25]

Nirmala Vasanthakumar, direttrice del programma per le donne del National Council of Churches dell'India,[27] fornisce un altro esempio di questo approccio. Nel suo articolo del 1997 intitolato "Rereading the Scripture: A Hermeneutical Approach", scrive: "Le donne non avevano un ruolo positivo da giocare nell'Ebraismo dei tempi di Paolo... Paolo sostiene un tale ruolo positivo per le donne contro il contesto dell'Ebraismo, dove il ruolo delle donne era passivo."[28] Ironicamente, nello stesso volume, la teologa brasiliana Wanda Deifelt nel suo saggio "Power, Authority and the Bible", scrive: "Esistono prove crescenti che nell'ambito dell'Ebraismo e del Cristianesimo le donne non fossero escluse uniformemente dagli studi religiosi e relative pratiche."[29] Sempre nello stesso volume, Elisabeth Schüssler Fiorenza, cattolica tedesca che insegna alla Harvard Divinity School,[30] commenta che prendere fuori contesto materiale paolino selettivo con scopi apologetici "spesso giustifica la tradizione cristiana a scapito di quella ebraica, creando comportamenti ed interpretazioni antiebraici, sebbene il suo intento apologetico sia di riaffermare la Bibbia come supporto positivo per l'emancipazione di donne e uomini."[31] In questo volume la mano destra degli stereotipi dannosi apparentemente non sapeva ciò che la mano sinistra delle letture beninformate storicamente aveva da contribuire! [25][24]

Bärbel von Wartenberg-Potter, vescovo della Chiesa Evangelica (Luterana) Northelbian, in Germania, e direttrice del Women's Department del WCC, offre una variante su questi testi paolini. Nel suo We Will Not Hang Our Harps on the Willows: Engagement and Spirituality, afferma che "quando Paolo abolì la circoncisione come rito di iniziazione nella comunità religiosa (Gal. 5:1-6), fece due cose: prima di tutto aprì la nuova fede a gentili, donne e uomini, in quanto egli andò oltre la ristretta interpretazione etnica e razzista dell'elezione... In secondo luogo — e per questo abbiamo bisogno di un'esegesi femminista — abolì un rito che venerava la fertilità maschile."[32]

Le letture di von Wartenberg-Potter sono problematiche in due rispetti. Da una parte, non nota che il battesimo, simbolo di rinascita, può essere interpretato quale sostituzione della nascita da madre biologica con una nascita nella chiesa. Cioè, anche il battesimo può essere simbolicamente un problema tanto quanto la circoncisione, quando si tratta di questioni di genere. Manca inoltre di citare che le donne ebree si ritenevano totalmente parte della comunità dell'alleanza. Dall'altra parte, von Wartenberg-Potter introduce categorie che sono imprecise e, date le problematiche post olocausto, particolarmente inquietanti. Per l'autrice, la vecchia "fede" (in contrasto con la "nuova fede" di Paolo) cioè l'Ebraismo, ha una "ristretta interpretazione etnica e razzista dell'elezione". L'Ebraismo, allora e adesso, ben accoglieva i convertiti, da Nicolaus il proselita alla casa reale di Adiabene[33] alle numerose donne pagane la cui conversione è narrata da Flavio Giuseppe e da iscrizioni archeologiche. Introdurre categorie di "razza" nell'Ebraismo — allora ed ora un movimento — è improprio. Infine, quanto alla "ristretta interpretazione di elezione", von Wartenberg-Potter trascura di citare una pari ristrettezza interpretativa di alcuni testi neotestamentari e della successiva storia cristiana in cui la fede in Gesù era il requisito di salvezza.[24]

Selettività multiculturale

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Una mossa di pari importo piazza Gesù quale rappresentante di qualsiasi "cultura" che si ritrovi emarginata. Nel suo articolo "Reading the Bible as Hispanic Americans" nella popolare rivista New Interpreter's Bible pubblicata dalla stampa metodista (United Methodist press), Fernando F. Segovia descrive la teologia mestizaje del sacerdote cattolico e teologo Virgilio Elizondo. Le sue letture liberazioniste, che hanno avuto un impatto enorme sul pensiero religioso ispanico, sottolineano l'identità galilea di Gesù contrassegnata da una miscela di razze e culture. Segovia poi riassume la conclusione inevitabile: "Questo luogo di meticciato [mestizaje] viene rifiutato da gentili ed ebrei come impuro e inferiore, coi gelilei chiaro esempio di un popolo emarginato ed oppresso."[34] Questa lettura distingue "ebrei" da "galilei" e pertanto crea un falso paragone tra un'identificazione regionale (i galilei) ed una con un significato religioso (gli ebrei). Separa Gesù dall'Ebraismo, mentre rappresenta l'"Ebraismo" come un programma ideato per creare emarginazione ed oppressione. È inoltre storicamente errato, poiché ignora l'evidenza archeologica che rivela la Galilea non come un'area "mista" ma una totalmente ebrea, come dimostrato da molti fattori, dalla presenza dei bagni rituali all'assenza di ossa suine.[35]

Teologicamente e pastoralmente, l'identificazione cristiana di Gesù con chiunque si ritrovi emarginato, oppresso, o altrimenti deprivato di diritti e dignità, è opportuno, perfino necessario. Tuttavia quando questa identificazione si trasforma in antiebraismo, dove il sistema oppressivo o l'oppressore diventano "gli ebrei", allora il processo è contaminato.

Nel momento che "Ebraismo" diventa un tropo per ciò che emargina e opprime, la lettura liberazionista si sfoga di conseguenza col resto del Nuovo Testamento. Chan-Hie Kim, nel suo "Reading the Cornelius Story from an Asian-Immigrant Perspective",[36] che è apparso su una pubblicazione della Fortress Press, scrive: "La maggior parte delle chiese protestanti USA non sembrano accorgersi che questi [nuovi immigranti] sono i cristiani «gentili» che non conoscono o non vogliono accettare le leggi e pratiche «ebraiche»." L'articolo supporta il "riconoscimento della molteplicità delle nostre culture" da parte di Pietro e nostra, ma nella frase successiva afferma che "le regole ebraiche sul puro e l'impuro non sono valide, invero esse contraddicono la natura di Dio quale Creatore di tutti gli esseri viventi." Commentando su come le chiese USA cerchino di acculturare piuttosto che inculturare gli émigrés asiatici, Kim classifica il sistema "ebraico" come negativo. In tale configurazione, gli ebrei ironicamente rappresentano il modello culturale del "melting pot (crogiolo)" americano, che cerca di trasformare tutti in ebrei, mentre il (bravo) Cristianesimo è invece un modello di "salad bowl" (insalatiera) che riconosce il valore di mode culturali distinte.[36]

Nel celebrare la propria identità e cultura distinte, Kim ed altri negano il valore dell'identità ebraica. Insistendo sull'inculturazione — celebrando le rispettive pratiche del Cristianesimo africano, asiatico, ispanico o ortodosso orientale — Kim ed i suoi colleghi teologi rifiutano di assegnare pari valore alle pratiche che contraddistinguono l'Ebraismo: le sue tradizioni riguardo alle regole alimentari, all'osservanza dello Shabbat, al rispetto della Torah, e alle leggi di purezza familiare. Questo è un tropo comune degli studi biblici orientati verso il multiculturalismo.[36]

Il Dio dell'Ebraismo, ancora

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Di questi vari tipi di modelli antiebraici, il peggiore è l'asserzione che Gesù introduce una divinità nuova e diversa da quella rivelata dalla Torah ed adorata nella sinagoga. Tale è la versione teologico-leberazionale di quella vecchia fandonia "Dio dell'Ira" veterotestamentario contro "Dio dell'Amore" neotestamentario. Il falso dio diventa ora il "dio" (in minuscolo) dell'Ebraismo farisaico o il dio della tradizione ebraica.[37]

Kwok Pui-lan, un anglicano di Hong Kong che ora insegna alla Divinity School episcopale a Cambridge, nel Massachusetts, identifica il "Dio che pianse sulla croce" e colui che "soffrì sotto la tradizione opprimente ebraica".[38] La religiosa Louise Kumandjek Tappa, della Union des églises baptistes du Cameroun, evidenzia le implicazioni di questa distinzione teologica:

« Gesù morì quale risultato dello scontro tra il suo Dio [D maiuscola] ed il dio (d minuscola] dell'Ebraismo farisaico. L'Ebraismo aveva ingabbiato Dio nelle proprie leggi e tradizioni ed i suoi ministri non potevano accettare un concetto di Dio che andasse oltre ai loro propri limiti... La crocifissione di Gesù segnò un trionfo temporale del dio patriarcale dell'Ebraismo. La sua resurrezione tuttavia provò che il suo Dio è il vero Dio. Ma purtroppo il Cristianesimo è ritornato al dio patriarcale dell'Ebraismo con sempre più zelo. Il dio della chiesa istituzionale ora detiene maggior potere perché il "clan" è diventato più potente. Il dio del clan santifica qualsiasi cosa, incluso il militarismo, la guerra. il sessismo, il segregazionismo, fintanto che serve gli interessi del clan. »
(Louise Kumandjek Tappa, "God in Man's Image"[39])

In un volume della Orbis Books del 1990, ritroviamo il sacerdote cattolico messicano Virgilio Elizondo che questa volta parla dei vasi per "i riti ebraici di purificazione" citati nel racconto giovanneo delle nozze a Cana (Gv 2:1-11): "Da quel tempo in poi, la religione non si sarebbe più basata sulla legge e le costanti abluzioni (segno della loro inutilità) o sull'osservanza dei precetti adempiti per timore di punizioni e sensi di colpa. La presenza di Gesù è l'epifania di questo Dio nuovo e differente — non un Dio della paura e della punizione, distante da noi e dilettato dai sacrifici."[40]

Utilizzando un po' di tutto — Leggi ebraiche cattive; un sistema di purezza oppressivo; una cultura ebraica razzista e sessista; immagini differenti della divinità; la responsabilità ebrea di aver ucciso Gesù perché era simpatico — John Bluck, ministro anglicano della Nuova Zelanda e direttore delle comunicazioni del WCC, nel suo The Giveaway God: Ecumenical Studies on Divine Generosity, scrive che

« ...la visione del mondo tenuta da Gesù... rifiutava di dividere la gente per sesso o razza o religione; [era] una visione che non creava "diversi". Era motivata dalla generosità, perdono e spazio per ricominciare daccapo in caso di disastro. Valorizzava l'amore sopra ogni cosa, e la giustizia, che è amore diffuso equamente. Nella Palestina del primo secolo, questa visione venne tradotta in un ministero di ospitalità e guarigione ed insegnamento che provocò la crocefissione di Gesù, tanto era il pericolo che egli poneva... Forse [Gesù] desiderava deliberatamente dimostrare che Dio era molto differente dalla versione ufficiale promossa dalla cultura e dalla religione del tempo. Poiché Dio era stato costretto e relegato ad un sistema di purezza rituale e onore culturale e ruoli sociali che dividevano il mondo tra privilegiati ed emarginati, tra puri e contaminati, tra onorati e svergognati. »
(John Bluck, The Giveaway God: Ecumenical Studies on Divine Generosity, 2001)

Conclude dicendo (in una discussione sulla questione dei Sadducei e la resurrezione): "È uno scontro di sistemi e valori: l'antica legge di Mosè riservata ad alcuni contro la nuova legge della grazia e dell'amore aperta a tutti."[41]

Bisogna ribadire che la teologia della liberazione, il World Council of Churches (WCC), la varie chiese cristiane che sponsorizzano le suddette pubblicazioni, sono tutte, nel loro complesso, spledide istituzioni, degne di lode che non intendono promuovere vedute antiebraiche. Al contrario, sono formalmente opposte a questo tipo di pregiudizio. La vasta maggioranza delle loro opere non solo sono prive di bigottismo ma si sforzano vivamente di prevenirlo. Pertanto, ciò che viene citato supra è materiale selettivo — ma basta una riga a creare o rinforzare il pregiudizio; anche una sola riga è di troppo.[37]

Il Gesù palestinese

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Film e televisione ci ossessionano con notizie e documentari sul terrorismo arabo o mussulmano, consolidando il bigottismo antiarabo e antimussulmano già ad alti livelli dopo gli episodi terroristici che dall'11 settembre 2001 in poi hanno afflitto il mondo col progredire dello Stato Islamico, promuovendo messaggi che necessariamente influenzano le vedute politiche occidentali. Parimenti, il messaggio che l'Ebraismo è una tradizione monolitica, piena di tabù, xenofobica, sessista, vendicativa, necessariamente influenza come uno considera lo "stato ebraico" di Israele. Quando forme palestinesi di teologia della liberazione si appropriano di Gesù per fini politici, i messaggi trasmessi riguardo al Medioriente alle chiese di quella zona geografica e all'estero diventano ancor più complessi. Qualsiasi scritto che separi Gesù ed i suoi primi seguaci dall'identità ebraica, che associ questi protocristiani con la popolazione palestinese, e riservi l'etichetta "ebreo" a coloro che crocefissero Gesù e perseguitarono la chiesa, non solo è insostenibile storicamente ma anche ripugnante teologicamente.[42]

Alcuni commenti estratti da un saggio di Naim Ateek,[43] sacerdote anglicano e fondatore del "Sabeel Ecumenical Liberation Theology Center" a Gerusalemme, sono sintomatici di questa retorica.[44] A Notre Dame nel 2001, Ateek fece un discorso su "The Zionist Ideology of Domination Versus the Reign of God", identificando "Gesù Cristo, che vive nella nostra terra come un palestinese sotto occupazione", e dichiarò che "Israele ha posto una pietra più grossa, un grande masso che ha metaforicamente rinchiuso i palestinesi in una tomba. È simile alla pietra posta all'entrata della tomba di Gesù." In quello stesso anno, nel suo messaggio pasquale, Ateek proclamò: "In questo periodo di Quaresima, a molti di noi sembra che Gesù stia nuovamente in croce, con migliaia di palestinesi crocefissi intorno a Lui... Il sistema di crocifissione israeliano opera quotidianamente." Ad una funzione religiosa a Gerusalemme nell'aprile 2002, affermò: "I palestinesi sono stati condannati da Israele come nazione, condannati alla distruzione. Le accuse del popolo al potere sono sorprendentemente simili nel corso della storia alle accuse fatte contro Gesù in questa città — terroristi, malfattori, o ribelli e sovversivi. I palestinesi stanno venendo crocefissi oggi per aver rifiutato di sottomettersi alle richieste di più vaste concessioni di territorio da parte di Israele."[44]

La retorica è esagerata. Gesù non raccomandò ai propri seguaci di far saltare in aria i romani (e Ateek non sta raccomandando ai suoi seguaci di far saltare in aria gli ebrei ma, mettendo tutti i palestinesi insieme in un'unica categoria, rischia di dare questa impressione); i palestinesi non sono stati condannati alla distruzione. Ma Ateek non viene messo a tacere, anzi, continua a tenere conferenze internazionali presso il suo centro e partecipa e parla a riunioni presso la Università di Notre Dame, il Center for Jewish-Christian Relations all'Università di Cambridge, la Lutheran School of Theology di Chicago, e altrove.[44] La sua retorica è inoltre subdola, poiché il suo impatto antiebraico è spesso più una faccenda di percezione. Ad una convocazione della Scuola Teologica Episcopale di Cambridge (Massachusetts), fece una predica riguardo ai messaggi di Gesù:

« [I suoi messaggi] riflettono un impegno inclusivo all'umanità del prossimo ed un ministero che ha profondità e vastità di scopi — un impegno verso i poveri, un impegno verso il ministero della guarigione, un impegno alla giustizia e liberazione degli oppressi, un impegno ad un giubileo che coinvolge la giustizia economica per tutti. Credo che queste parole abbiano costituito uno spostamento di paradigmi al tempo di Gesù, e ci forniscono la base di spostamento di paradigmi per il ministero del ventunesimo secolo. »
(Naim Ateek)

Facendo queste affermazioni, Ateek cancella l'Ebraismo di Gesù. Se l'attenzione ai poveri si originò con Gesù, allora la chiesa dovrebbe seguire l'antico eretico Marcione e disfarsi dell'intero "Antico Testamento"![42]

Parte della raccolta Reading from this Place, un articolo di Ateek inizia offrendo la visione standard, e falsa, che l'Ebraismo è particolarista ed il Cristianesimo è invece universale: "L'appartenenza non veniva più vista come fosse confinata ad un solo gruppo etnico di persone, ma piuttosto in termini di un'alleanza rinnovata che includeva gente di tutte le razze e contesti etnici."[45] Data la collocazione sociale di Ateek, questa visione diventa particolarmente nociva e particolarmente ironica. I cittadini israeliani non sono di certo provenienti da un unico gruppo etnico; al contrario, Israele è lo stato più multietnico e multiculturale del Medioriente. L'articolo poi si concentra su Giovanni 20, una narrazione che descrive come i seguaci di Gesù si nascosero "per paura dei Giudei". In questo passo, i "Giudei" che vogliono perseguire i seguaci di Gesù diventano l'esercito israeliano. Ateek prosegue paragonando l'Intifada alla Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo sui cristiani. Inutile dire che la raccolta di saggi succitata non ne include uno scritto da un ebreo israeliano che descriva come il Libro delle Lamentazioni venga interpretato da genitori a Gerusalemme o Natanya i cui figli sono uccisi dai palestinesi.[42][45]

Tale retorica sdrucciolevole continua a contrassegnare il discorso cristiano-palestinese. La portavoce palestinese anglicana Hanan Ashrawi per esempio, ha annunciato che i "primi cristiani furono arabi".[46] Secondo gli Atti degli Apostoli (11:26), il termine "cristiano" venne assegnato per la prima volta ai seguaci di Gesù, sia ebrei che gentili, ad Antiochia. Tuttavia, gli ascoltatori di Ashrawi non riconoscono la sottigliezza del punto; sentono invece che Pietro e Paolo, Maria Maddalena e Giacomo erano tutti "arabi" e quindi, per definizione, non "ebrei".[42][45]

Il punto qui non è quello di giocare il turpe gioco di "chi è il più vittimizzato", e non si vuole neppure respingere le richieste legittime del popolo palestinese. Né si desidera argomentare che non esista una rettorica parimenti deleteria da parte di coloro che si oppongono allo stato palestinese. Ma è piuttosto il dichiarare che qualsiasi commentario pregiudizievole che separi Gesù dall'Ebraismo e quindi utilizzi la storia di Gesù per condannare tutti gli ebrei, non è un messaggio "cristiano". È invece un antiebraismo riciclato che raffigura Israele come una nazione di cristicidi. La meta della sovranità palestinese è buona; questi mezzi particolari per raggiungerla non lo sono.[42]

Le origini del male

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Come siamo arrivati ad una tale situazione? Le cause sono disparate.

Primo, sebbene questi particolari commenti provengano soprattutto dall'accademia moderna — la teoria postcoloniale, l'acculturazione ed il femminismo non sono contrassegni del diciannovesimo secolo — il clero, i professori, gli evangelizzatore e i formatori religiosi hanno fertilizzato i campi delle letture antiebraiche per secoli. L'"insegnamento del disprezzo" non è una nuova invenzione. Quando i missionari diffusero il vangelo in tutto il mondo, portarono con loro le proprie credenze normative antisemitiche e le trasferirono ai conversi — ed il lascito missionario è duro a morire. Pertanto, sebbene tali letture non si originino da insegnamenti cristiani tradizionali in Europa o dal lascito missionario di questi insegnamenti, ne hanno preparato la strada.[1]

Secondo, per alcuni di questi autori gli ebrei non sono vere persone; gli ebrei sono invenzioni costruite da letture selettive dell'Antico Testamento, da polemiche del Nuovo Testamento come Matteo 23, e da riferimenti occasionali allo stato di Israele. Per gran parte del mondo, quindi, l'ebreo è un patriarca veterotestamentario in vestaglia (o sua moglie emarginata e ossessionata da tabù), oppure un malvagio fariseo, oppure un membro dell'esercito israeliano che porta un fucile puntato contro un bambino palestinese. Gesù ed i suoi seguaci sono tutti diventati (proto)cristiani o, in termini teologico-liberatori, sono stati incorporati dalla cultura locale. Gesù allora è africano, asiatico, aleutino, biondo dagli occhi azzurri, e così via, ma raramente, anzi quasi mai, tale incorporazione mantiene una qualche identità "ebraica" per etnia, teologia, o pratica. Non esistono altre possibilità, salvo forse per la produzione locale di Fiddler on the Roof! [47]

Terzo, commenti antiebraici, marcionisti, o semplicemente futili appaiono in quasi tutti gli aspetti della formazione teologico-liberatoria, indipendentemente dalla collocazione geografica. La maggioranza degli autori di questo materiale liberazionista sono amministratori, eticisti o teologi; non sono studiosi biblisti e ciò che scrivono è quindi il residuo di un'insufficiente istruzione biblica. Specialisti di assistenza pastorale/spirituale ed eticisti religiosi quando affrontano studi universitari di ricerca dottorale non frequentano corsi di studi biblici o di dialogo interconfessionale. Pertanto si basano su quello che hanno imparato in classi propedeutiche di prima laurea o in seminari religiosi, che forniscono soltanto le semplici basi di contenuto testamentario e, in alcuni casi, un corso o due di ermeneutica. Possono pertanto sapere qualcosa sull'interpretazione dalla prospettiva della propria collocazione sociale o come la Bibbia sia stata interpretata a fini buoni e cattivi. Ma poiché la Bibbia non è necessariamente integrata solidamente nei loro rispettivi programmi, è più facile ricadere in stereotipi.[48] Un po' di conoscenza può essere cosa pericolosa.[49]

Inoltre, data la scarsezza di libri aggiornati nei seminari non occidentali — molte biblioteche in Asia e Africa sono ricolme di volumi antiquati donati da pastori occidentali — esistono poche speranze di correggere gli stereotipi. Gli scrittori fanno del loro meglio con ciò che hanno. Anche per gli autori occidentali, la mancanza di risorse appropriate rimane un grosso problema, poiché spesso le biblioteche delle chiese sono fornite di materiali parimenti obsoleti. Peraltro quello che viene promulgato in classi di studio neotestamentario non risulta certo di grande aiuto.[48]

Kwok, il cui commento sul Dio che "soffrì sotto la tradizione opprimente ebraica" viene citato più sopra, parlando del proprio saggio, scritto a Hong Kong verso il 1984, afferma: "Non era a conoscenza della critica antiebraica negli Stati Uniti e fui certamente influenzata dall'opera di Bultmann e altri studiosi, che ora vedo come profondamente prevenuti contro il popolo ebraico." E continua: "Fui sorpresa di scoprire che i redattori della casa editrice cambiarono [la mia frase originale] "lunga tradizione ebraica" in "tradizione opprimente ebraica" senza che io lo sapessi quando ristamparono l'articolo."[50] Nota inoltre che questa "non è la prima volta che accade, poiché altre donne del Terzo Mondo mi hanno detto che le loro poesie o scritti sono stati usati, citati, stralciati o editati senza il loro permesso." Sebbene la frase "soffrì sotto la lunga tradizione ebraica" non è un gran miglioramento di "soffrì sotto la tradizione opprimente ebraica", le sue osservazioni su come la propria formazione l'abbia fuorviata e come le sue parole siano state cambiate, forniscono un'utile contestualizzazione dell'infelice materiale.

Nel suo eccellente volume Postcolonial Imagination and Feminist Theology, Kwok non solo si confronta direttamente con le tendenze antiebraiche presenti nelle opere liberazioniste ma aggiunge anche il punto importante che "la critica del patriarcato nella cultura ebraica pare essere stata utilizzata come artificio retorico non solo per presentare bene Gesù, ma anche per mettere fortemente in rielievo i patriarcati delle proprie culture [delle donne del Terzo Mondo]."[51] Pertanto, l'impegno di teologi, eticisti e altri diventa quello di trovare nuovi modelli per presentare le proprie idee liberazioniste o perlomeno trovare mezzi più cauti per esprimerle.[52]

Quarto, insegnare in merito all'impossibilità della Legge, la pervasività della xenofobia ebraica, e l'impulso femminista di Gesù facevano parte integrante dei corsi di studi biblici negli anni 1960 e 1970, e le loro vestigia sono ancora da sradicare completamente. Tuttavia, e poiché la ricerca storico-critica diventa solo uno dei numerosi approcci alla Bibbia, questo correttivo potrebbe sparire... speriamo. In alcune classi, la storia è ridotta ad una serie di tropi come "onore e vergogna" o "sfida e risposta" — tropi preziosi senza dubbio ma, come lo strutturalismo prima o certe forme di interpretazioni decostruttive o liberazioniste oggi, in continuo pericolo d'essere ridotte a modelli meccanici. In simile maniera, l'approccio storico-critico — approccio che rimane attuabile, sebbene riconosciuto d'essere contaminato da questioni soggettive sia antiche che moderne — in alcune classi è stato estromesso in favore di letture "con testo a fronte" o di "critica culturale". Non si cerca più di determinare la comunità per la quale fu scritto il Vangelo di Luca o come le affermazioni di Gesù possano essere suonate alle orecchie degli astanti originali, del suo tempo; si pensa invece che sia meglio uno studio di reazione da parte del lettore (perferibilmente uno studio "dai margini"). L'attenzione si sposta dal testo, e quindi dal contesto del primo secolo, al lettore. Le vedute utilitaristiche antiebraiche vengono quindi rinforzate piuttosto che interrogate.[52]

Infine, la colpa dell'esistenza di tali materiali in gran parte giace con i "custodi" della relativa cultura, coi redattori e curatori dei volumi e degli editori che li pubblicano. Alcuni coraggiosi studiosi tuttavia hanno iniziato un'autocritica delle proprie precedenti pubblicazioni.[53] Naturalmente bisogna fare di più, ma almeno il problema è ora identificato e si stanno facendo i primi, seppur oculati, passi.[52]

  1. 1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 1,6 Per questa sezione si sono consultate le seguenti fonti: Mary Boys, Has God Only One Blessing? Judaism as a Source of Christian Self-Understanding, Paulist Press, 2000, partic. pp. 13-14, 79 e segg.; Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, HarperOne, 2006, pp. 167-190; Gustavo Gutiérrez, A Theology of Liberation: History, Politics, and Salvation, SCM, 2001, pp. 153-166 & passim; Leonardo Boff, Passions of Christ, Passions of the World, Orbis Books, 1987, pp. 13-28; Jules Isaac, The Teaching of Contempt, Holt, Rinehart & Winston, 1964; International Council of Christians and Jews, The New Relationship Between Christians and Jews: Documentation of Major Statements, Martin Buber House, Heppenheim, Germania; Eugenio Bernardini, Comunicare la fede nell'America oppressa. Storia e metodo della teologia della liberazione, Claudiana, 1982, passim.
  2. Amy-Jill Levine, Kwok Pui-Lan, Musimbi Kanyoro, Adele Reinhartz, Hisako Kinukawa, Elaine Wainwright, "Roundtable Discussion: Anti-Judaism and Postcolonial Biblical Interpretation", in Journal of Feminist Studies in Religion 20, 1, 2004, pp. 91-132.
  3. 3,0 3,1 3,2 Si veda la discussione in Mary Boys, Has God Only One Blessing? Judaism as a Source of Christian Self-Understanding, cit., Paulist Press, 2000, partic. pp. 78, 79, 81 e segg., nonché le osservazioni introduttive sulla teologia della liberazione, pp. 13-14.
  4. 4,0 4,1 4,2 Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, cit., pp. 167-190.
  5. Gustavo Gutiérrez, A Theology of Liberation, Orbis Books, 1973, p. 161.
  6. Leonardo Boff, Passions of Christ, Passions of the World, Orbis Books, 1987, pp. 16, 13.
  7. Per un'utile raccolta di tali dichiarazioni, si veda l'International Council of Christians and Jews, The New Relationship Between Christians and Jews: Documentation of Major Statements, Martin Buber House, Heppenheim, Germania.
  8. In (EN), ma disponibile anche in altre lingue. Si veda inoltre la pagina dedicata all'Italia[1].
  9. 9,0 9,1 Jules Isaac, The Teaching of Contempt, Holt, Rinehart & Winston, 1964, passim e ss.vv.
  10. 10,0 10,1 "Challenges for Feminist Theology in Francophone Africa (Sfide per la teologia femminista nell'Africa francofona)" — Marguérite Fassinou, "President of the Union of Methodist Women of Benin and a member of the WCC Commission on Faith and Order (Presidente dell'Unione delle Donne Metodiste del Benin e membro della Commissione WCC per la Fede e l'Ordine", in Ofelia Ortega (cur.), Women's Visions: Theological Reflection, Celebration, Action, Ginevra, WCC, 1995, pp. 8-17 (8-10). Un altro saggista in questo volume nota giustamente il pericolo di antisemitismo femminista cristiano.
  11. Ruth M. Besha, "A Life of Endless Struggle: The Position of Women in Africa", in Aruna Gnanadason, Musimbi Kanyoro, e Lucia Ann Mcspadden (curr.), Women, Violence and Nonviolent Change, WCC, 1996, pp. 56-65 (62); la citazione (n. 11) a By Our Lives: Storie of Women Today and in the Bible, WCC, 1985.
  12. Grace Eneme, "Living Stones", in John S. Pobee & Bärbel von Wartenberg-Potter (curr.), New Eyes for Reading: Biblical and Theological Reflections by Women from the Third World, WCC, 1986, pp. 28-32 (30).
  13. Bette Ekeya, "Woman, for How Long Not?", in Pobee & von Wartenberg-Potter (curr.), New Eyes for Reading, cit., pp. 59-67 (64).
  14. 14,0 14,1 14,2 Su questa problematica si veda Amy-Jill Levine, "Discharging Responsibility: Matthean Jesus, Biblica Law, and Hemorrhaging Woman", in Treasures New and Old: Recent Contributions to Matthean Studies, Society of Biblical Literature Symposium Series, nr. 1, curata da David R. Bauer & Mark Allan Powell, Scholar Press, 1996, pp. 379-397; anche Amy-Jill Levine (cur.), A Feminist Companion to Matthew, Feminist Companion to the New Testament and Early Christian Writings, 1, Sheffield Academic Press, 2001, pp. 70-87.
  15. Teresa Okure, "Feminist Interpretation in Africa", in Elisabeth Schüssler Fiorenza, Searching the Scriptures, Vol. 1, Crossroads, 1993, p. 82. Si veda anche Elizabeth Amoah, "The Woman Who Decided to Break the Rules (Mc 5:25-29)", in Pobee & von Wartenberg-Potter (curr.), New Eyes for Reading, cit., p. 3.
  16. Teresa Okure, "Women in the Bible", in Virginia Fabella & Mercy Amba Oduyoye (curr.), With Passion and Compassion: Third World Women Doing Theology, Orbis Books, 1988, p. 55.
  17. Levitico 15:25-30.
  18. 18,0 18,1 John Meier, "The Historical Jesus and Purity", Catholic Biblical Association of America, St. John, agosto 2005, p. 19.
  19. Donald Rumsfeld, ex Segretario della Difesa americana sotto la presidenza di Gerald R. Ford prima e George W. Bush dopo, terminato il suo servizio al governo nel 2006, "tradito da una guerra in Iraq che era sempre più difficile chiamare vittoria e dallo scandalo delle torture inflitte da soldati Usa a prigionieri di guerra iraqeni", rispose alla giornalista, che durante una conferenza stampa gli chiese perché attaccare l’Iraq pur non avendo nessuna prova dell’esistenza di armi di distruzione di massa in mano al dittatore: “La mancanza di prove non è una prova della mancanza di armi”. Cfr. "Le verità di Donald Rumsfeld", su Redazione CineFarm, 20 gennaio 2014.URL consultato 5 luglio 2015
  20. Musimbi Kanyoro, Turn to God: Rejoice in Hope, Ginevra: WCC, 1996, p. 13.
  21. 21,0 21,1 21,2 21,3 Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, cit., 2006, pp. 172-177.
  22. 22,0 22,1 22,2 22,3 Deborah Malacky Belonick, "Love and Transformation: Women Who Met Jesus", in K.K. Fitzgerald (cur.), Orthodox Women Speak, WCC, 1999, pp. 56-68 (61).
  23. Dimitra Koukoura, "Women in the Early Christian Church", in K.K. Fitzgerald (cur.), Orthodox Women Speak, WCC, 1999, pp. 69-74 (70).
  24. 24,0 24,1 24,2 Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, cit., 2006, pp. 178-179.
  25. 25,0 25,1 25,2 Amy-Jill Levine, Kwok Pui-Lan, Musimbi Kanyoro, Adele Reinhartz, Hisako Kinukawa, Elaine Wainwright, "Roundtable Discussion: Anti-Judaism and Postcolonial Biblical Interpretation", in Journal of Feminist Studies in Religion 20, 1, 2004, pp. 91-132; Peter von der Osten-Sacken, "On Dealings with Scripture", in Christian-Jewish Dialogue. Theological Foundations, Fortress Press, 1986, pp. 143-157; Elizabeth Alexander, "The Orality of Rabbinic Writings", in Charlotte Fonrobert & Martin Jaffee (curr.), The Cambridge Companion to the Talmud and Rabbinic Literature, Cambridge University Press, 2007, pp. 38-57; William Horbury, Jews and Christians in Contact and Controversy, T &T Clark, 2006, pp. 25-36, 200-225.
  26. S. Wesley Ariarajah, Did I Betray the Gospel? The Letters of Paul and the Place of Women, WCC, 1996, p.21.
  27. Si veda il relativo sito ufficiale qui.
  28. Nirmala Vasanthakumar, "Rereading the Scripture: A Hermeneutical Approach", in Musimbi Kanyoro (cur.), In Search of a Roundtable: Gender, Theology and Church Leadership, WCC, 1997, p. 46. Nello stesso volume, Datuk Thu En-Yu, vescovo luterano della Basel Christian Church of Malaysia, Kota Kinabalu, Sabah, Malaysia, insiste che coloro che nella chiesa negano l'ordinazione delle donne "non avevano né una solida base biblica/teologica né un forte contesto culturale asiatico. Le loro asserzioni si concentravano su una certa interpretazione della tradizione patriarcale ebraica, e su una visione teologica non olistica che ignorava il sacerdozio di tutti i credenti" (p. 140).
  29. Wanda Deifelt "Power, Authority and the Bible", in Kanyoro (cur.), In Search of a Roundtable, cit., pp. 48-56 (52).
  30. Cfr. Harvard Divinity School, sito ufficiale; anche Center for the Study of World Religions.
  31. Elisabeth Schüssler Fiorenza, "Reading the Bible as Equals", in Kanyoro (cur.), In Search of a Roundtable, cit., pp. 57-70 (58).
  32. Bärbel von Wartenberg-Potter, We Will Not Hang Our Harps on the Willows: Engagement and Spirituality, trad. Fred Kaan, Risk Book Series 34, WCC Publications, 1987, pp. 55-56.
  33. Cfr. "Adiabene", su Jewish Encyclopedia.
  34. Fernando F. Segovia, "Reading the Bible as Hispanic Americans", in Leander Keck et al. (curr.), The New Interpreter's Bible, Vol. I, Abingdon, 1994, pp. 167-173 (169).
  35. Si veda Mark A. Chancey, The Myth of a Gentile Galilee, Society for New Testament Studies Monograph Series 118, Cambridge University Press, 2002.
  36. 36,0 36,1 36,2 Chan-Hie Kim, "Reading the Cornelius Story from an Asian-Immigrant Perspective", in Fernando F. Segovia & Mary Ann Tolbert (curr.), Reading from this Place, Vol. I, Social Location and Biblical Interpretation in the United States, Fortress, 1995, pp. 165-174 (172-173). Questo saggio e vari altri citati in questo capitolo vengono citati e commentati anche in Amy-Jill Levine, "Lilies of the Field and Wandering Jews: Biblical Scholarship, Women's Roles, and Social Location", in Ingrid-Rosa Kitzberger (cur.), Transformative Encounters: Jesus and Women Revisited, Brill, 2000, pp. 329-352; Amy-Jill Levine, Kwok Pui-Lan, Musimbi Kanyoro, Adele Reinhartz, Hisako Kinukawa, Elaine Wainwright, "Roundtable Discussion: Anti-Judaism and Postcolonial Biblical Interpretation", in Journal of Feminist Studies in Religion 20, 1, 2004, pp. 91-132.
  37. 37,0 37,1 Per questa sezione si vedano specialmente Roger Brooks, John J. Collins (curr.), Hebrew Bible or Old Testament? Studying the Bible in Judaism and Christianity, University of Notre Dame Press, 1990, pp. 1-39; Heribert Smolinsky, "The Bible and its Exegesis in the Controversies about Reform and Reformation", in Henning Graf Reventlow & Benjamin Uffenheimer (curr.), Creative Biblical Exegesis, JSOT Supplement 59, 1988, pp. 115-130; Hans Huebner, "New Testament Interpretation of the Old Testament", in Magne Saebo (cur.), Hebrew Bible/Old Testament I.1, Vandenhoeck & Ruprecht, 1996; William Horbury, Jews and Christians in Contact and Controversy, T & T Clark, 2006, pp. 25-36, 200-225; Peter Richardson, "The beginnings of Christian anti-Judaism, 70-c. 235", in Steven T. Katz (cur.), The Cambridge History of Judaism 4: The Late Roman-Rabbinic Period, Cambridge University Press, 2006, pp. 244-258; Anders Gerdmar, Roots of Theological Anti-Semitism, Brill, 2009, pp. 29-38.
  38. Kwok Pui-lan, "God weeps with Our Pain", in Pobee & von Wartenberg-Potter (curr.), New Eyes for Reading, cit., pp. 90-95 (92).
  39. Louise Kumandjek Tappa, "God in Man's Image", in Pobee & von Wartenberg-Potter (curr.), New Eyes for Reading, cit., pp. 101-106 (102).
  40. Virgilio Elizondo, Galilean Journey: The Mexican-American Promise, Orbis Books, 1990, p. 57.
  41. John Bluck, The Giveaway God: Ecumenical Studies on Divine Generosity, Risk Book Series 93, WCC Publications, 2001, pp. 15, 36, 20.
  42. 42,0 42,1 42,2 42,3 42,4 Anders Gerdmar, Roots of Theological Anti-Semitism, Brill, 2009, pp. 29-38; Edward Robinson, Biblical Researches in Palestine, Mount Sinai and Arabia Petraea, Vol. 1, John Murray, 1846, xii-xiii, pp. 1-2, 46-48, 74-86, 326, 349-352, 371-379; Michael C. Legaspi, The Death of Scripture and the Rise of Biblical Studies, Oxford University Press, 2010, pp. 3-10, 155-169; Peter von der Osten-Sacken, "On Dealings with Scripture", in Christian-Jewish Dialogue. Theological Foundations, Fortress Press, 1986, pp. 143-157; Amy-Jill Levine, "Matthew, Mark, and Luke: Good News or Bad?" in Paula Fredriksen & Adele Reinhartz (curr.), Jesus, Judaism, and Christian Anti-Judaism. Reading the New Testament after the Holocaust, Westminster John Knox Press, 2002, pp. 77-98.
  43. Cfr. en:wiki "Naim Ateek".
  44. 44,0 44,1 44,2 Molti di questi esempi provengono da una relazione di Michael C. Kotzin, "The Continuing Challenge of Anti-Semistism", presentata all'International Council of Christians and Jews, 26 luglio 2005. Citazioni da Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, cit., 2006, pp. 183-185.
  45. 45,0 45,1 45,2 Naim Ateek, "Pentecost and the Intifada", in Fernando F. Segovia e Mary Ann Tolbert (curr.), Reading from this Place, Vol. 2, Social Location and Biblical Interpretation in Global Perspective, Fortress, 1995, pp. 69-81 (69).
  46. The Tennessean, 5 dicembre 2002, p. 2A.
  47. Fiddler on the Roof (Il Violinista sul tetto) è un musical, composto da Jerry Bock su libretto di Sheldon Harnick e Joseph Stein, ambientato in uno shtetl ebraico della Russia zarista nel 1905. È tratto dal libro Tevye and his Daughters (o Tevye the Milkman), in italiano "Tevye il lattivendolo ed altre storie", di Sholem Aleichem.
  48. 48,0 48,1 Roger Brooks, John J Collins (curr.), Hebrew Bible or Old Testament? Studying the Bible in Judaism and Christianity, University of Notre Dame Press, 1990, pp. 1-39; James D. G. Dunn, "The Question of Antisemitism in the New Testament Writings", in Jews and Christians. The parting of the ways, A.D. 70 to 135, Mohr Siebeck, 1992, pp. 177-211; Rosemary Radford Ruether, "The Adversus Judaeos Tradition in the Church Fathers: The Exegesis of Christian Anti-Judaism", in Jeremy Cohen (cur.), Essential Papers on Judaism and Christianity in Conflict. From Late Antiquity to the Reformation, New York University Press, 1991, pp. 174-189; Amy-Jill Levine, "Matthew, Mark, and Luke: Good News or Bad?" in Paula Fredriksen & Adele Reinhartz (curr.), Jesus, Judaism, and Christian Anti-Judaism. Reading the New Testament after the Holocaust, Westminster John Knox Press, 2002, pp. 77-98.
  49. "Meglio è non saper niente che saper molte cose a metà", diceva Friederich Nietzsche.
  50. Kwok Pui-lan, "Roundtable Discussion", Journal of Feminist Studies in Religion 20.1, primavera 2004:104.
  51. Kwok Pui-lan, Postcolonial Imagination and Feminist Theology, Westminster John Knox, 2005, p. 96.
  52. 52,0 52,1 52,2 Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, cit., 2006, pp. 185-190.
  53. Si veda per es. Kwok nel citato suo volume Postcolonial Imagination and Feminist Theology, cit., 2005; importante è inoltre il documento del World Council of Churches, The Theology of the Churches and the Jewish People: Statements by the WCC and Its Member Churches, Ginevra: WCC, 1998, p. VIII e passim.