Utente:Epìdosis/Viaggi dall'Europa all'Asia
Introduzione
modificaL'idea medievale dell'Asia consiste di "un coacervo di segni e di impronte che rinviano ad eventi biblici, a rivelazioni di profeti, a miti pagani e a leggende cristiane".[1] Lo spazio geografico, che risale alle antiche mappe tolemaiche, si fa simbolo della volontà divina; la dimensione temporale, scandita dalle tappe della rivelazione cristiana, è caratterizzata da una "sincronia assoluta", nella quale alla geografia antica si sovrappongono i luoghi degli eventi biblici e quelli della mitologia greca; la flora e la fauna sono popolate da ogni genere di creature mostruose.[1]
Contesto storico
modificaIn pieno Medioevo l'Europa cristiana, profondamente divisa a causa della lotta tra il papa Gregorio IX e l'imperatore Federico II, non percepì come imminente il pericolo costituito dalla travolgente espansione verso ovest dell'Impero mongolo, il cui esercito forte di 150mila uomini era giunto nel 1236 sulle sponde del Volga.[2]
Molto grave era la situazione l'Europa orientale, priva di barriere naturali nonché di una salda unità statale, eccezion fatta per il regno d'Ungheria; in particolare, "la frantumazione etnica, linguistica e politica dei territori tra Urali e Carpazi costituiva il terreno ideale per l'irruzione di una forza armata omogenea, disciplinata e ben guidata".[3]
In quest'epoca l'Asia suscitava scarsissimo interesse, a parte che per la recente Lettera del Prete Gianni.[4][5]
Solo nel 1238 frate Giuliano d'Ungheria, addentratosi nei territori dell'Europa orientale già conquistati dai mongoli, riportò in una relazione (il testo che rese di uso comune la denominazione di "Tartari" per i Mongoli) il pericolo incombente per l'intera Europa, ma l'Ungheria non ottenne alcun sostegno dagli altri regni europei.[6]
Invasione mongola dell'Europa
modificaL'invasione, guidata da Batu, ebbe effettivamente inizio alla fine del 1236, con effetti devastanti: il 4 marzo 1238 il Gran principe Jurij II Vladimir-Suzdal' fu ucciso nella battaglia del fiume Sit; il 6 dicembre 1240 Kiev, principale città del mondo russo, fu semi-distrutta; nel febbraio 1241 una delle due colonne dell'esercito mongolo entrò in Polonia e, sconfitto un esercito polacco a Chmielnik il 18 marzo 1241, bruciò Cracovia e sbaragliò un altro esercito di polacchi, crociati tedeschi e Cavalieri Teutonici a Wahlstadt il 9 aprile; allo stesso tempo l'altra colonna dell'esercito mongolo, entrata in Ungheria su tre colonne, circondò e distrusse l'esercito ungherese feudale a Mohi l'11 aprile, e riunitasi colla prima colonna, che aveva devastato la Moravia, passò il Danubio, prese Buda e, penetrata in Austria, giunse fino ad incendiare Cattaro.[7]
L'invasione mongola fu per l'Europa un fulmine a ciel sereno, giunto improvvisamente e altrettanto improvvisamente conclusesi: la morte del Gran Khan Ögödei (1229-1241), avvenuta l'11 dicembre 1241, costrinse i principi mongoli a tornare in patria per prendere parte al quriltai per l'elezione del suo successore, cosicché l'esercito mongolo evacuò rapidamente tutti i territori ad ovest del Volga entrò la fine del 1242.[8]
L'impressione sull'Europa, non solo quella orientale, fu enorme. Grande diffusione ebbe il Carmen miserabile (o Epistola super destructione Regni Hungariae facta) di maestro Ruggero di Puglia, scritto prima della fine di giugno del 1244, primo testo redatto da un testimone oculare delle usanze mongole ad avere diffusione internazionale in Europa.[9]
Ambasciate papali presso i mongoli
modificaNel frattempo il nuovo papa Innocenzo IV (1243-1254), preoccupato oltre che per la lotta con Federico II anche per la recente invasione mongola, all'inizio del 1245 decise di mandare dei legati presso i mongoli con tre scopi ufficiali: l'unione alla Chiesa cattolica delle chiese orientali, trattata nell'enciclica Cum simus super del 25 marzo; l'esposizione della dottrina cristiana ai mongoli, contenuta nella bolla Dei patris immensa del 5 marzo; la protesta contro le atrocità commesse dai mongoli nei confronti dei cristiani e la proposta di una pace colla cristianità, esposte nella bolla Cum non solo homines del 13 marzo; i legati erano inoltre incaricati di raccogliere quante più informazioni possibili sui mongoli, in particolare sulle loro tattiche militari.[10]
A portare questi messaggi furono due ambasciate, l'una domenicana e l'altra francescana.
L'ambasciata del domenicano Ascelino da Cremona giunse presso al campo di Baiju, sugli altipiani del Karabakh, nel maggio 1247; il frate, però, essendo poco diplomatico rischiò seriamente la condanna a morte, evitata solo grazie all'intervento del legato imperiale Eljigidei, grazie al quale poté tornare a Lione (maggio 1248). Il resoconto di questa ambasciata fu scritto dal suo compagno di viaggio, Simone di San Quintino.[11]
Maggiore importanza ebbe l'ambasciata del francescano Giovanni da Pian del Carpine, partito da Lione il 16 aprile 1245; accompagnato, a partire da Breslavia, da frate Benedetto di Polonia, giunse all'accampamento di Batu sul Volga e di lì, dopo che le due bolle papali furono state tradotte in persiano, fu inviato fino alla corte mongola di Karakorum, dove (a differenza di Ascelino) accettò di recarsi; giunto il 22 luglio 1246 alla residenza imperiale, assistette alle ultime fasi del quriltai che portò all'elezione del nuovo Gran Khan Güyük (1246-1248), con cui ebbe numerosi incontri, e dopo circa quattro mesi ripartì per Lione (13 novembre 1246), dove giunse un anno dopo (18 novembre 1247).[12][13]
La risposta alle bolle del papa che Güyük consegnò a Giovanni da Pian del Carpine fu deludente (ingiungeva al papa e ai principi cristiani di recargli personalmente omaggio e contestava l'unica verità della fede cattolica), ma grande importanza ebbe il resoconto lasciato da Giovanni, la Historia Mongalorum, primo resoconto di un viaggiatore europeo in Asia.[14]
Giovanni da Pian del Carpine
modificaCenni biografici
modificaGiovanni, nato a Pian del Carpine attorno al 1190, fu uno dei primi discepoli di San Francesco di Assisi. Nel 1221 fu scelto, per la sua conoscenza della lingua "lombardica" oltre al latino, per far parte di una spedizione di ventisette frati inviati a diffondere l'ordine in Germania; dopo due anni di predicazione itinerante in varie città nel 1223 fu nominato custode della Sassonia e grazie a questa posizione promosse l'espansione dell'ordine nel resto della Germania; a partire dal 1228, anno in cui divenne ministro provinciale della Germania, organizzò un'ulteriore espansione in tutti i paesi circostanti (Boemia, Ungheria, Polonia, Dacia e Norvegia). Nel 1230 fu sollevato dall'incarico in Germania e inviato come ministro in Spagna, poi dal 1232 al 1239 ritornò come ministro provinciale della Sassonia; nulla si sa di certo degli anni dal 1239 al 1245.[15]
Da questa biografia emergono "la conoscenza di molti paesi d'Europa e di molte lingue, l'esperienza di uomini e cose, la dottrina e la prudenza" che caratterizzavano Giovanni, figura preminente nell'ordine francescano dell'epoca: queste furono le caratteristiche che nel 1245 indussero Innocenzo IV a sceglierlo per la missione presso i mongoli, nonostante la corpulenza e l'età avanzata che avrebbero certamente potuto ostacolarlo in un viaggio del genere, fino a quel momento mai tentato.[16]
L'Asia prima dell’Historia Mongalorum
modificaSecondo le parole di Claudio Leonardi, all'epoca di Giovanni da Pian del Carpine l'uomo europeo aveva per l'Asia "un sentimento ancora una volta ambiguo, in cui l'ammirazione stupefatta per un mondo diverso si compone con il terrore della morte e della fine": l'Asia era "un mondo diverso e lontano", totalmente diverso dall'Europa, avvolto "in una sorta di immobilità meravigliosa".[17]
Questa meraviglia si trasforma in terrore "appena questo Oriente si muove", dato che tutte le precedenti invasioni dell'Europa (Germani, Avari, Unni ed Ungari) erano venute da est.[18] I mongoli, terribili guerrieri e spietati dominatori, erano considerati come gli strumenti di Dio per punire i peccati dei cristiani.[19]
Struttura dell’Historia Mongalorum
modificaL’Historia Mongalorum si compone, nella sua redazione definitiva, di un prologo e di nove capitoli: I, sul territorio dei mongoli; II, sui mongoli; III, sulla religione dei mongoli; IV, sui costumi dei mongoli; V, sulla forma di governo dei mongoli; VI, sulle tattiche militari dei mongoli; VII, sulle terre conquistate dai mongoli; VIII, su come fare guerra ai mongoli; IX, resoconto dell'itinerario compiuto da Giovanni.
Da questa organizzazione si può notare come l'opera di Giovanni sia principalmente un trattato e solo secondariamente (nell'ultimo capitolo) un itinerarium.[20] Nei primi quattro capitoli sono pressoché assenti cenni sia storici (solo tre episodi) sia autobiografici.[21] Il quinto capitolo, quasi altrettanto lungo, è invece interamente occupato dalle imprese di Gengis Khan e dei suoi discendenti, compresi i combattimenti contro numerosi popoli mostruosi situati a sud della Mongolia.[22] I capitoli dal sesto all'ottavo, dedicati all'arte bellica dei mongoli, sono secondo Claudio Leonardi forse la parte più interessante dell'opera, in quanto al modello trattatistico si sovrappone il modello morale, dato che "Giovanni si sente coinvolto in prima persona nella difesa dell'Europa come chi solo conosce i segreti del popolo invasore".[23] Infine l'ultimo capitolo, quasi un terzo dell'opera, aggiunto da Giovanni in un secondo momento, totalmente autobiografico, è "elemento indispensabile all'insieme del racconto".[24]
Visione dei mongoli nell’Historia Mongalorum
modificaGuglielmo di Rubruck
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Marco Polo
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Odorico da Pordenone
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John Mandeville
modificaContesto e diffusione dell'opera
modificaNell'Europa tardo-medievale e proto-moderna ebbe un'enorme diffusione un libro che presentava sotto forma di relazione di viaggio sia una dettagliata descrizione della Terrasanta sia numerose leggende sull'Asia con esaustività enciclopedica:[25] i Viaggi di «John Mandeville, cavaliere [...] nato in Inghilterra, nella città di St Albans», la cui identità risulta tuttora enigmatica.[26] Di questo libro sono note oltre 300 copie manoscritte in tutte le principali lingue europee, un numero decisamente superiore ai 70 manoscritti del Milione di Marco Polo: esso fu il "resoconto sull'Oriente più vastamente diffuso nel tardo Medioevo e all'inizio dell'età moderna".[27]
Quasi certamente i Viaggi furono scritti originariamente in anglo-normanno, ma dopo breve tempo furono tradotti in francese parigino (1371), in latino, in tedesco (1393) e in inglese (attorno al 1400 sono datate tre versioni: la Cotton, la Egerton e la Defective Version); entro la fine del Quattrocento i Viaggi erano stati tradotti in tutte le principali lingue europee, compresi irlandese e ceco, e ne erano state realizzate anche una versione con immagini e una versione in versi; numerosissime furono anche le edizioni a stampa (i Viaggi, uno dei primi libri secolari ad essere stampato, prima del 1500 ebbero addirittura 8 edizioni in Germania, 7 in Francia, 4 in latino, 2 in olandese e 2 in inglese; tra il 1500 e il 1520 si aggiunsero quelle in spagnolo e ceco), tanto che la versione inglese fu ripubblicata addirittura una volta ogni 13 anni circa dal 1568 (o prima) al 1710.[28]
L'opera di Mandeville fu letta "dall'Ariosto e dal Tasso, come da Cervantes, da Rabelais e da Montaigne, nonché da Shakespeare e da tutti i maggiori autori inglesi fino a William Morris", ma si diffuse soprattutto tra i più poveri, entrando a far parte della cultura popolare europea preindustriale.[29] Questa cultura popolare è caratterizzata da quello che Michail Bachtin definì "realismo grottesco", quel realismo che trasferisce «tutto ciò che è alto, spirituale, ideale ed astratto, sul piano materiale e corporeo, sul piano della terra e del corpo nella loro indissolubile unità», unità che viene superata attraverso il gusto del grottesco.[30]
Secondo Moseley l'idea rivoluzionaria di Mandeville è che "la Natura che vige nell'Europa Occidentale vige anche nel resto del mondo": ciò dissolve i confini netti tra lo Stesso e l'Altro, dato che quest'ultimo viene considerato come logico (a suo modo) e quindi conoscibile quanto lo Stesso.[31] In questo modo Mandeville rimosse un ostacolo fino a quel momento insormontabile per gli Europei, il timore di trovare paesi totalmente incomprensibili: si cominciarono ad intraprendere viaggi di esplorazione nella convinzione che fosse possibile cogliere una logica di qualunque paese straniero ed è innegabile che molti dei primi esploratori (come il principe Enrico del Portogallo e Cristoforo Colombo, e in seguito anche Walter Raleigh e Martin Frobisher[32]) furono direttamente influenzati da Mandeville.[31]
L'autorità di Mandeville, anche dal punto di vista geografico (i Viaggi furono inoltre una fonte diretta per il primo mappamondo, l'Erdapfel di Martin Behaim, ed in generale nella cartografia medievale godette dello stesso rispetto del Milione.[33]), rimase indiscussa fino al tardo Cinquecento.[34]
Fonti dell'opera
modificaLe fonti del viaggio fittizio di Mandeville sono estremamente varie e vengono maneggiate dall'autore con piena autonomia: la letteratura odeporica del XIII e del XIV secolo (Giovanni da Pian del Carpine, Guglielmo di Rubruck, Marco Polo e Odorico da Pordenone[35]), a cui Mandeville poté avere accesso grazie alla raccolta di Jean le Long d'Ypres, ebbe un ruolo di primo piano nella seconda parte del libro, mentre il nerbo della prima furono i resoconti dei crociati e dei pellegrini in Terrasanta.[36]
Mandeville, infatti, creò un'opera non classificabile secondo i canoni dell'epoca: unì guide e manuali ai resoconti dei pellegrini e dei viaggiatori, il pellegrinaggio in Terrasanta ai viaggi (per scopi missionari o commerciali) in Asia.[37] Essendo il fine quello di intrattenere i lettori, Mandeville rinunciò ad alcuni elementi: alle caratteristiche più marcatamente letterarie (non cita le sue fonti ed insiste sulla sua affidabilità in quanto testimone oculare di ciò che riporta, pur ammettendo che la sua memoria potrebbe essere a volte fallace); alla realtà quotidiana (facendo attenzione a non eccedere mai in affermazioni che avrebbero potuto essere sentite come false: prende le distanze da alcune notizie inverosimili, riportandole solo per sentito dire o affermando espressamente di non ritenerle veritiere); [38]
Per la prima parte Mandeville si basò principalmente sull’Itinerarius di Guglielmo di Boldensele, integrato da qualche altra fonte precedente, mentre per la seconda parte impiegò principalmente l’Itinerarius di Odorico da Pordenone,[39] a volte contaminato dai Fleurs des Histors d'Orient del monaco armeno Aitone di Corico e più raramente da Guglielmo di Pian del Carpine.[40] Non si può escludere che Mandeville stesso abbia visitato la Terrasanta.[41]
Questa solida impalcatura di fonti permise a Mandeville di fornire un sostrato realistico al suo mondo fantastico, ispirato non solo a importanti enciclopedie medievali quali in primo luogo lo Speculum Maius di Vincenzo di Beauvais (che conteneva nella prima e nella terza parte la geografia dell'antichità pagana, nonché i bestiari e le leggende riguardanti Alessandro Magno) e in secondo luogo il Tresor di Brunetto Latini, ma anche ad opere ampiamente diffuse tra il popolo quali i romanzi di Alessandro, la Epistola Alexandri ad Aristotelem e la Lettera del Prete Gianni (che figurava un utopico regno asiatico retto da un tollerante sovrano-capo religioso[4]);[42] a tutti questi testi si aggiungono infine il Vecchio e il Nuovo Testamento (la Bibbia è l'unico testo che Mandeville cita direttamente, in latino[43]), non di rado integrati dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine.[44] In pratica si trattava di «tutte le conoscenze geografiche del medioevo, empiriche e leggendarie, erudite e poetiche, escatologiche e utopiche».[45]
Il fatto che Mandeville incorpori dei brani dalle sue fonti senza citarle era un atteggiamento comune nel Medioevo e non era sentito come plagio; questa sensibilità si sviluppò solo nei secoli successivi e contribuì ad intaccare la popolarità di Mandeville.[46]
Pensiero
modificaIl mondo di Mandeville ha come caratteristica fondante l'«abbassamento delle cose alte» teorizzato da Bachtin: ogni concetto ideale, a partire da quello del corpo umano, viene mescolato al "basso", deformato, profanato, quasi ad anticipare Rabelais.[47]
Quest'opera dunque presenta sia tratti medievali sia tratti anti-medievali: da un lato i tratti tipici dei resoconti dei pellegrinaggi, il gusto enciclopedico, la teratologia, dall'altro l'insistenza sulla dimensione corporea tanto vituperata all'epoca e soprattutto il rivoluzionario relativismo (e la conseguente tolleranza nei confronti dell'alterità).[48] Mandeville si mostra «aperto e tollerante, un vero cittadino del mondo, privo di pregiudizi verso la gente d'ogni razza che incontra, e anzi sempre pronto a comprendere e ad imparare»;[43][nota 1] non corrisponde al modello eroico del cavaliere medievale, visto che pur essendo cavaliere non ha mai combattuto per «incapacità e insufficienza».[49]
Relativizzazione dell'Europa cattolica
modificaL'opera di Mandeville per i canoni medievali era profondamente trasgressiva: il termine «"trasgressione" denota il movimento di attraversare il limite tra ciò che ci è noto o familiare, lo Stesso, e ciò che è conosciuto o non vuole essere conosciuto, l'Altro», quindi già di per sé raccontare un viaggio è trasgressione.[50] Il lettore è spinto ad attraversare il limite tra la "conoscenza microspaziale occidentale" e la "speculazione macrospaziale".[51] Il limite tra Stesso e Altro, infatti, non è impermeabile, bensì un luogo di scambio reciproco: in particolare, l'Altro non è semplicemente l'Anti-Stesso, il contrario del mondo europeo (come accadeva in molti testi medievali, ad esempio la Chanson de Roland), bensì qualcosa di più complesso e variegato, e non è necessariamente negativo e ostile;[52] pur non essendo indipendente dallo Stesso, l'Altro dimostra di essere autonomo e di avere una propria forza, oltre a portare un'efficace critica allo Stesso, alla cristianità, di cui viene spesso messa a nudo la decadenza morale.[53][nota 2]
Mandeville in questo modo disintegra quella visione medievale che cristallizzava lo Stesso come Bene assoluto e relegava l'Altro, in quanto Anti-Stesso, alla posizione opposta, quella di Male assoluto: in questa nuova prospettiva lo Stesso e l'Altro hanno sia pregi sia difetti, in entrambi vengono apprezzate alcune sfaccettature del Vero/Buono e ad entrambi non vengono risparmiati rimproveri. Dalla ricomposizione di questo quadro si può avere una corretta visione della natura umana, che parimenti trascende e racchiude sia lo Stesso sia l'Altro.[54][nota 3]
A questo proposito si può notare come Mandeville, anche a causa dell'oggettivo problema della mancanza di vocaboli per descrivere alcuni aspetti dell'esotica Asia,[55] accentui sempre non le differenze, bensì le somiglianze tra l'Altro e lo Stesso: si ha un decisivo "spostamento epistemologico" verso "un'episteme della curiositas nuova e più sicura di sé", una curiositas che spinge Mandeville a mettere in discussione la consolidata visione del mondo propugnata dallo Stesso e a confrontarsi spontaneamente coll'Altro, non più visto come abominio o minaccia (perché secondo Mandeville la natura è stata creata da Dio e quindi non può essere in sé malvagia[56]).[57]
L'opera di Mandeville compie una rivoluzione: portando all'estremo le stravaganze e le mostruosità dell'Oriente mette radicalmente in discussione il primato dell'Europa cattolica, la relativizza usando la ragione e, proprio portando al parossismo la deformità dei corpi, ne dimostra l'importanza e giunge così a restaurare l'uomo nella sua integralità sia a livello individuale (corpo e anima) sia a livello collettivo (la cultura europee e le culture diverse dalla medesima). Sono queste di una nuova visione dell'uomo: l'Umanesimo.
Critiche all'Europa cattolica
modificaTutta l'opera di Mandeville rappresenta una critica indiretta ma decisa alla decadenza morale dell'Europa cattolica, indegna di possedere la Terrasanta per i suoi peccati[nota 2] più volte sottolineati, e non meno coerente e razionale di molte altre chiese cristiane (come ortodossi e nestoriani) nonché religioni (in particolare l'islam, presentato come molto simile al cristianesimo, diventa un vero e proprio modello per i cristiani[nota 4]).[58]
Tutta la descrizione della Terrasanta è permeata da un marcato accento sulla spiritualità, visibile nell'insistenza sul valore delle reliquie non in quanto oggetti bensì in quanto segni delle vite vissute dai santi e nel frequente rilievo della distanza tra i tempi biblici (ogni luogo evoca un episodio biblico) e l'attuale decadenza.[59][nota 2]
La spiccata impronta morale di Mandeville "riflette lo spirito riformatore della sua epoca".[60] Mandeville ribadisce che la cristianità occidentale possiede la vera fede e la vera chiesa, ma al tempo stesso afferma con vigore che essa è inferiore nel praticarla (questa parziale apertura agli "infedeli" è dovuta certamente alla filosofia scolastica, secondo la quale in ogni essere umano c'era una "religione naturale"), e fornisce numerosi esempi di popoli orientali ad essa superiori da questo punto di vista.[61][nota 5]
Mandeville si spinge fino a contraddire espressamente la bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII, che affermava nulla salus extra ecclesiam, affermando che "noi non sappiamo chi Dio ama, né chi Dio odia".[62][nota 1]
In alcuni brani, inoltre, Mandeville dipinge nei popoli orientali una caricatura dell'Europa, accentuando in particolare quel senso del dolore della vita che nei decenni precedenti aveva trovato espressione sia nell'ortodossia cattolica (il De Miseria Humanae Conditionis di papa Innocenzo III, il memento mori, le danze macabre, i flagellanti) sia nell'eresia catara.[63][nota 5][nota 6]
Mandeville, attingendo al Romanzo di Alessandro, immagina anche una società utopica, l'isola di Bragman,[nota 7] che, essendo posta in mezzo a popoli mostruosi, appare a maggior ragione come una sorta di paradiso; si può inoltre notare che questa perfetta società cristiana primordiale si trova ai margini del mondo cristiano, mentre al centro del mondo cristiano (la Terrasanta) ci sono i musulmani. Questi protocristiani colla loro "fede naturale" sono degni della salvezza tanto quanto i cristiani europei, decaduti in Terrasanta e invischiati nei loro rituali complessi e nel culto delle reliquie.[64][nota 1]
Mandeville, in conclusione, desiderava certamente che i cristiani riconquistassero la Terrasanta e convertissero gli altri popoli del mondo, ma riteneva innanzitutto necessaria una riforma del cristianesimo improntata innanzitutto a una semplificazione dei riti e alla valorizzazione delle virtù più genuine, una riforma che rifuggisse ogni estremismo autodistruttivo e che non prescindesse dalla conoscenza del passato, senza il quale il valore delle reliquie non può essere compreso.[65]
Centralità dell'Europa cattolica
modificaD'altro canto, però, non si può ignorare che il già citato presupposto del primato dell'Europa cattolica viene dato come presupposto: la descrizione degli altri popoli, infatti, calca sempre sulle loro caratteristiche da "proto-cristiani", sulla possibilità di convertirli facilmente, un concetto che ebbe larga influenza sull'immaginario degli esploratori europei, tra cui Colombo.[66]
Mandeville sceglie l'Europa cattolica come Stesso con cui confrontare l'Altro e pone come confine dello Stesso i Greci Ortodossi, simili solo per alcuni aspetti collo Stesso: porre questo confine che separa l'Europa dal resto del resto del mondo, presente per la prima volta, è già un giudizio di merito.[67][nota 8] Per ottenere un Altro assoluto da contrapporre allo Stesso Mandeville dà spazio, seppur brevemente, a una sorta di enclopedia delle razze mostruose che popolano l'Oriente (la fonte principale è Plinio): ciò mostra agli Europei la loro presunta superiorità e soddisfa il loro desiderio di meraviglie.[68]
Notevole è il tentativo di Mandeville di mostrare la notevole vicinanza al cristianesimo dell'islam, che su di esso viene in molti punti appiattito.[69][nota 9] Qui si nota l'influenza del dibattito che attraversava la cristianità riguardo alla possibile salvezza dei non-cristiani.[70] L'insistita rappresentazione dell'islam come forma imperfetta di cristianesimo mostra come la visione di Mandeville fosse comunque centrata sull'indiscubitibilità del cristianesimo come verità assoluta, pietra di confronto delle altre religioni.[71] La scelta di assimilare l'islam all'interno del cristianesimo "tende ad ignorare le divergenze significative e a giudicare l'Oriente in base ai propri valori culturali": in questo modo la diversità dell'islam, che avrebbe potuto minacciare il cristianesimo, viene eliminata, e l'islam stesso diventa un modello di devozione per i cristiani.[72][nota 4]
Anche le religioni indiane vengono dipinte come forme di cristianesimo decaduto, lodevoli per la loro devozione ma al tempo stesso manchevoli nell'oggetto della loro devozione: anche in questo caso l'Altro viene sostanzialmente appiattito sullo Stesso: Mandeville minimizza la differenza tra Stesso e Altro ma ne sottolinea l'esistenza.[73][nota 5]
Il popolo considerato più negativamente da Mandeville sono gli ebrei, per i quali viene esclusa (a differenza che per gli altri popoli, musulmani o asiatici) la possibilità di una salvifica conversione al cristianesimo: questa posizione dipende certamente dall'antisemitismo europeo e forse è influenzata anche dal fastidio per la prossimità geografica degli ebrei all'Europa e dal netto rifiuto opposto dagli ebrei alla verità cristiana.[74] Gli ebrei sono immediatamente dipinti come assassini di Cristo, insistendo sulla loro crudeltà nei suoi confronti; complottano per avvelenare tutti i cristiani, secondo una diceria comune nell'Europa coeva; al tempo dell'Anticristo saranno suoi alleati contro i cristiani ...[75] In conclusione, gli ebrei rappresentano per Mandeville l'opposto sia dei cristiani europei sia dei popoli potenzialmente cristiani, quindi non ne viene esaltata alcuna qualità positiva:[76] il male assoluto dell'Altro ebreo, come quello delle razze mostruose, era necessario come contrappeso all'identità dello Stesso cristiano, che altrimenti sarebbe stato indebolito dalla sua somiglianza coll'Altro musulmano e asiatico.[77]
In conclusione l'opera di Mandeville consolida il primato dell'Europa cattolica, rispetto alla quale gli altri popoli sono simili ma imperfetti, auspicando che queste imperfezioni vengano rimosse dalla conversione all'unica vera fede cattolica: fu questo concetto a far pensare a Colombo e ad altri colonizzatori europei di poter facilmente convertire al cristianesimo le popolazioni indigene da loro incontrate, essendo queste naturalmente predisposte a perfezionare la loro fede imperfetta.[78][nota 10]
Note
modifica- Annotazioni
- ↑ 1,0 1,1 1,2 Da notare questa riflessione in netto contrasto col pensiero della Chiesa dell'epoca, secondo la quale non c'era salvezza al di fuori del cattolicesimo:
- ↑ 2,0 2,1 2,2 Verso l'inizio della descrizione di Gerusalemme: Durante l'intera descrizione della Terrasanta (capp. X-XIV) i frequentissimi richiami biblici e le precisissime descrizioni dei luoghi santi (spesso le distanze sono indicate addirittura in passi e sono numerati i gradini delle scale) si accompagnano a martellanti citazioni di chiese cristiane del tutto o in parte distrutte o perlomeno abbandonate dagli ecclesiastici che vi vivevano, a sottolineare il declino del cristianesimo nella regione.
- ↑ Nonostante i frequentissimi riferimenti alla fede cristiana cattolica, filo rosso che si snoda lungo tutto il percorso in Egitto e in Palestina, non mancano critiche al cattolicesimo in favore di altre confessioni cristiane. Ad esempio, in favore degli ortodossi: Particolarmente interessante un ragionamento presente, in questa forma estesa, solo nel manoscritto Egerton: La conclusione di questo ragionamento sarebbe apparsa mostruosa ad un europeo dell'epoca, ma Mandeville mostra come questo modo di procedere ["più sono neri più pensano di essere belli", per cui si ha "l'angelo nero e il demone bianco"] sia perfettamente logico: di conseguenza, l'europeo capisce come l'Altro non ragioni in modo differente dallo Stesso, bensì semplicemente parta da premesse differenti.
- ↑ 4,0 4,1 Molto significativo il brano in cui il sultano rimprovera i peccati dei cristiani e per contro Mandeville sottolinea la devozione dei musulmani:
- ↑ 5,0 5,1 5,2 In India, raccontando di una processione in onore di un idolo:
- ↑
- ↑
- ↑ Qui la distinzione:
- ↑ In particolare:
- ↑
- Fonti
- ↑ 1,0 1,1 Brilli, p. 30.
- ↑ Petech, pp. 18-20.
- ↑ Petech, pp. 21-23.
- ↑ 4,0 4,1 Vedi Roccaforte.
- ↑ Petech, pp. 23-25.
- ↑ Petech, pp. 25-26.
- ↑ Petech, pp. 27-28.
- ↑ Petech, p. 28.
- ↑ Vedi Babinger.
- ↑ Petech, pp. 31-33.
- ↑ Petech, pp. 33-34.
- ↑ Petech, pp. 35-37.
- ↑ Menestò, pp. 56-60.
- ↑ Petech, p. 37.
- ↑ Menestò, pp. 50-52.
- ↑ Menestò, p. 53-55.
- ↑ Leonardi, p. 70.
- ↑ Leonardi, pp. 70-71.
- ↑ Leonardi, pp. 72-73.
- ↑ Leonardi, p. 75.
- ↑ Leonardi, pp. 75-76.
- ↑ Leonardi, pp. 76-77.
- ↑ Leonardi, pp. 77-78.
- ↑ Leonardi, p. 78.
- ↑ Brilli, p. 33.
- ↑ Moseley 2015, pp. 1-2.
- ↑ Moseley 2015, p. 2.
- ↑ Moseley 2015, pp. 2-3.
- ↑ Barisone, pp. XII-XIII.
- ↑ Barisone, p. XIV.
- ↑ 31,0 31,1 Moseley 2015, p. 5.
- ↑ Moseley 2015, pp. 10-11.
- ↑ Moseley 1981, pp. 89-90.
- ↑ Moseley 2015, pp. 9-10.
- ↑ Barisone, pp. XVIII-XIX.
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- ↑ Howard, p. 2.
- ↑ Howard, pp. 2-6.
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- ↑ Moseley 2015, pp. 4-5.
- ↑ Barisone, pp. XXII-XXV.
- ↑ 43,0 43,1 Barisone, p. XXVIII.
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- ↑ Barisone, p. XXVI.
- ↑ Howard, p. 1.
- ↑ Barisone, pp. XXIX-XXX.
- ↑ Barisone, pp. XI-XVI.
- ↑ Barisone, p. XXIX.
- ↑ Sobecki, p. 330.
- ↑ Sobecki, p. 332.
- ↑ Sobecki, p. 334.
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Testi tratti da: testo originale online presso il sito della University of Michigan ("Cotton Text"; "Egerton Text"); traduzione italiana e numerazione dei capitoli da Barisone 1982 (trad. "Cotton Text"); vedi anche Zambrini 1870 (manoscritti italiani del XV secolo)