Storia intellettuale degli ebrei italiani/Introduzione

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Frontespizio del Mesilat Yesharim di Mosè Luzzatto, Amsterdam, Naftali Hertz Rofe: 1740

Introduzione

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La ricerca non procede sempre secondo un piano predeterminato. In alcuni casi è vero il contrario: solo quando un'opera è completata possiamo osservare la sua ispirazione fondamentale, implicita fin dall'inizio. I saggi presentati in questo wikilibro dimostrano questo: la coerenza dei pezzi raccolti – gli elementi comuni che li collegano – diventa visibile solo post factum. Solo raccogliendo alcuni dei saggi che ho scritto tra il 1998 e il 2012 sono stato in grado di vedere chiaramente gli elementi comuni nell'approccio teorico e nelle conclusioni che, se esaminate nel loro insieme, rivelano un risultato piuttosto uniforme.

Le motivazioni che spingono lo studioso a scegliere un certo campo di ricerca, un argomento specifico all'interno di quel campo e il modo in cui tale argomento verrà affrontato sono difficili da definire, forse addirittura misteriose. Ma in quella stessa scelta risiede gran parte dei risultati: nelle scienze, o almeno nelle scienze umane, le risposte che si trovano sono guidate in gran parte dalle domande che ci si pone.

Il mio campo di ricerca è la storia intellettuale dell'ebraismo italiano. Sebbene questa scelta derivi ovviamente dalle mie esperienze e dalla mia formazione culturale, la mia scelta di epoche è il risultato di un'attrazione difficile da spiegare, le cui motivazioni si trovano probabilmente in quella zona torbida tra emozione e intelletto, o negli input dall'emozione all'intelletto, guidandone le scelte.

Il periodo trattato in questo libro è chiamato "Moderno" nelle tradizioni storiografiche francesi e italiane e "Early Modern" nei paesi anglofoni. Si va dal Rinascimento al suo apice nei primi decenni del Cinquecento alla prima metà del Settecento, alle soglie dell'Illuminismo. Secondo la scansione classica della storia ebraica, questo periodo è chiamato "Età del Ghetto" — a lungo considerato dagli storici, dall'Ottocento fino alla revisione di qualche decennio fa, come un'epoca in cui le politiche repressive della Chiesa cattolica fecero ripiegare su se stesse le comunità ebraiche italiane, un'epoca di oscurantismo intellettuale e declino demografico.

Tuttavia, studiosi come Baruch Sermoneta e Robert Bonfil[1] (e molti altri sulla loro scia) hanno dimostrato che lo scambio con la società non-ebraica divenne più intenso nell'Età del Ghetto e che alcune delle forme intellettuali sviluppatesi nel mondo ebraico furono del tutto analoghe a quelle del mondo cristiano. L'era dell'emancipazione, situata nella seconda metà del Settecento, fu in realtà preceduta da una serie di processi apparentemente contraddittori. Sebbene, da un lato, il razionalismo filosofico e scientifico si fosse diffuso tra gli intellettuali cattolici ed ebrei, in questo periodo si propagò anche un atteggiamento opposto: una devozione religiosa che nel mondo cattolico ispirò i valori della Controriforma e che nel mondo ebraico prese la forma della Cabala. La storia di questi duecento anni è, alla sua base, la storia della tensione e della dialettica tra queste due posizioni.

Fu un'epoca segnata da contrasti, paradossi e crisi personali estremamente significative. Autori che denunciarono l'inadeguatezza della scienza medievale, fondata su conoscenze fossilizzate e sorpassate, divennero devoti penitenti e aderenti alla tradizione religiosa; i cabalisti più intransigenti riconobbero l'oscurità della loro dottrina nella forma in cui era stata tramandata e cercarono di adattarla al razionalismo della scienza contemporanea. La prosa e la poesia ebraiche si trasformarono, mentre allo stesso tempo si moltiplicarono le traduzioni letterarie in italiano e l'uso dell'italiano (la lingua "nazionale" e "moderna") divenne sempre più frequente sotto la penna di molti autori ebrei.

Insomma, fu un tempo in cui molti degli elementi dell'era dell'emancipazione venivano preparati, ma la ricchezza della cultura ebraica, le sue forme intellettuali e la sua espressione linguistica erano mantenute; in altre parole, un tempo prima del rapido abbandono della cultura che risultò nell'integrazione di una piccola minoranza in una società molto più popolosa, portando alla cosiddetta "assimilazione".

Tuttavia, i tratti comuni di questo periodo mi divennero chiari solo raccogliendo e combinando questi saggi — e forse anche nella stesura di queste mie righe qui, che devono servire come introduzione generale e unificante.

Un'osservazione simile si può fare riguardo agli argomenti e agli autori che ho scelto di studiare. Non è sempre facile per i ricercatori ricordare i primi incontri con un autore o un'opera, e le considerazioni (in quella fase iniziale, di solito si fa affidamento su una semplice intuizione) che hanno portato a dedicare mesi o anni di studio.

Post factum, posso dire che tutti gli autori discussi in questo mio studio dimostrano simultaneamente un forte ancoraggio alla cultura ebraica tradizionale (biblico-rabbinica) e una chiara tendenza all'impegno con la cultura non-ebraica, sia essa filosofica, scientifica, letteraria (italiana e, meno comunemente, latina) o teologica (cristiana). Le prime tre aree hanno, a priori, una valenza neutra in quanto non toccano i fondamenti della religione ebraica e possono rappresentare una zona di scambio e di incontro con i non-ebrei: rabbini filosofi italiani citavano autori musulmani come Averroè e autori cristiani come Tommaso d'Aquino; medici corrispondevano con i loro colleghi cattolici, e poeti erano esplicitamente ispirati da prestigiosi autori italiani, soprattutto Dante. Per gran parte dell'età che qui proponiamo di studiare, durante la quale prevaleva il fondamentalismo, queste aree "neutre" erano considerate "impure" ed estranee rispetto alla tradizione "autentica" tramandata agli ebrei (e solo agli ebrei). Ma i legami con "l'altro" non si interruppero mai: presero semplicemente altre forme.

Alcuni di questi autori cercarono di stabilire un contatto con i cristiani sul livello (ovviamente molto sensibile) della teologia. C'era chi cercava di mostrare i fili comuni dell'ebraismo e del cristianesimo e chi, polemizzando su alcuni punti essenziali della fede cristiana, mostrava rispetto e apertura verso una religione che rappresentava l'alterità par excellence.

I personaggi esaminati in questo libro non cercano necessariamente l'armonia tra elementi ebraici e non ebraici: in alcuni casi, ciascuno di questi gruppi di elementi apparteneva a fasi separate e apparentemente mutuamente esclusive nelle loro biografie; in altri casi, gli elementi non ebraici sono impliciti, sepolti sotto uno spesso strato di elementi ebraici apparentemente autosufficienti, lasciando al ricercatore il compito di trovarli e caratterizzarli — un buon esempio di risposte guidate dalle domande.

Uno dei termini ricorrenti in questo libro è la modernità. Il concetto è suggerito dalle posizioni antitradizionaliste di alcuni autori (come Avraham Portaleone nel suo periodo più giovane) ed esplicitamente utilizzato da un altro personaggio fondamentale di questo periodo, Leone Modena. Ci sono senza dubbio delle buone ragioni per attribuire una sorta di "primogenitura" in termini di modernità alla società ebraica italiana e alla cultura in essa espressa. Se nessuno dubita dell'origine ashkenazita (tedesca e dell'Europa orientale) di molte realtà fondamentali dell'ebraismo contemporaneo (sionismo, socialismo ebraico, chassidismo, rinascita della lingua ebraica e studio scientifico del patrimonio tradizionale), se possiamo, con estrema buona ragione, vedere gli ebrei dell'Amsterdam del diciassettesimo secolo come il "prototipo" degli ebrei moderni che tendono alla secolarizzazione (di cui Baruch Spinoza è solo il rappresentante più visibile),[2] è altrettanto vero che, per quanto riguarda le dimensioni e la durata del fenomeno, la comunità italiana è più antica e più ampiamente "moderna".

Ma cosa si intende per "modernità"?

Il modernismo si identifica con la secolarizzazione? Suggerisce un'ideologia anti-tradizionalista, progressista e ottimista? O semplicemente designa un periodo cronologico compreso tra il Medioevo, forse il Rinascimento, e l'età contemporanea, da molti definita "postmoderno"?

Sebbene fondato su solide basi, il termine "modernità" presenta (insieme a una certa dose di arbitrarietà insita in tutte le denominazioni di scansione temporale) l'inconveniente della finalità. Quando parliamo di modernità, c'è l'implicazione che l'età precedente fosse la preparazione e l'età moderna il compimento. Nonostante il fatto che le filosofie storiche del diciannovesimo secolo, con le loro visioni del presente come il risultato completo e in qualche modo finale di un lungo processo, sembrano essere state eclissate, l'idea del presente come perfezione del passato è dura a morire.

Naturalmente, non c'è motivo di considerare la condizione ebraica contemporanea più perfezionata di quella, diciamo, del 1600. Per questo bisogna stare attenti quando si usa un termine discutibile come modernità, e invece sottolineare la dialettica costante, tra gli ebrei italiani in quegli anni, tra la tendenza a sfruttare il patrimonio culturale ebraico tradizionale e l'attrazione esplicita, inconfessata o inconscia per forme diverse della cultura italiana. In fondo, la loro era, come la definì Moritz Steinschneider (riferendosi ai livelli linguistici), una vita "anfibia", in cui elementi ebraici e italiani si combinavano con una notevole duttilità.[3]

La mia speranza è che queste mie elaborazioni e altri futuri contributi originali aiutino gli altri a vedere le cose in modo un po' diverso, mostrando e approfondendo nuovi aspetti dell'affascinante storia intellettuale ebraico-italiana del periodo.

  Per approfondire, vedi Serie maimonidea e Serie misticismo ebraico.
  1. Gli scritti di questi due autori, il secondo in particolare, sono citati in tutto il mio libro. Per una rassegna analoga nel campo più ampio della storia ebraica d'Europa, le opere fondamentali sono Jonathan Israel, European Jewry in the Age of Mercantilism 1550-1750 (Londra: Littman Library, 1998) e David Ruderman, Early Modern Jewry: A New Cultural History (Princeton: Princeton University Press, 2010).
  2. Yosef Kaplan, An Alternative Path to Modernity: The Sephardi Diaspora in Western Europe (Leiden: Brill, 2000).
  3. Moritz Steinschneider, Die Italienische Literatur der Juden (Frankfurt: J. Kauffmann, 1901).