Storia della filosofia/Friedrich Nietzsche

Storia della filosofia

La filosofia di Nietzsche prende le mosse dal suo complesso retroterra culturale, specialmente di filologo classico, ammiratore della tragedia greca e poi entusiasta estimatore della nuova musica post-romantica di Wagner, della quale si fa promotore sul piano estetico e filosofico, scorgendo in essa una spinta per la rinascita dello spirito tedesco. A ciò si connette strettamente un intenso studio delle filosofie presocratiche, ad esempio quella di Eraclito, e una loro affermazione rispetto all'egemonia tradizionale dell'impianto socratico-platonico.[1]

Fondamentale per la formazione del giovane Nietzsche è altresì la lettura, nel 1866-67, de Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, incontro definito dal filosofo "caso divino". Così, in una riflessione registrata in una pagina autobiografica, Nietzsche ricorda la prima lettura del capolavoro schopenhaueriano:

« In esso ogni riga gridava la rinuncia, la negazione e la rassegnazione, lì io guardavo il mondo come dentro uno specchio, e insieme la mia vita e la mia anima, investito di orrore; in esso come fosse un Sole, il grande occhio dell'arte mi fissava, staccandomi dal mondo; io vi vedevo malattia e salvezza, esilio e rifugio e inferno quanto paradiso. »

La fase "tragica" e wagneriana

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Apollineo e dionisiaco

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Ritratto di Nietzsche

Nella sua prima vera opera di argomento filosofico, La nascita della tragedia (1872), la tragedia greca viene vista come la massima espressione dello slancio vitale o "spirito dionisiaco", istintivo e irrazionale, che si coniuga e nello stesso tempo si contrappone a quello apollineo, che rappresenta l'ordine e la razionalità. Il pensiero apollineo e quello dionisiaco sono perciò così definiti:

« Finora abbiamo considerato il pensiero apollineo e il suo opposto, il dionisiaco, come forze artistiche che erompono dalla natura stessa, senza mediazione dell'artista umano e in cui gli impulsi artistici della natura trovano anzitutto e in via diretta soddisfazione: da una parte come mondo di immagini del sogno, la cui perfezione è senza alcuna connessione con l'altezza intellettuale o la cultura artistica del singolo; dall'altra parte come realtà piena di ebbrezza, che a sua volta non tiene conto dell'individuo e cerca di annientare l'individuo e di liberarlo con un sentimento mistico di unità. »
(La nascita della tragedia, 2. Adelphi, Milano 1972, p. 26)

Ne La nascita della tragedia, Nietzsche individua per la prima volta in Socrate il corruttore della tragedia attica, e nella sua influenza sul tragediografo Euripide l'origine del prevalere dello spirito apollineo su quello dionisiaco, espresso dalla vecchia tragedia di Sofocle ed Eschilo. La corruzione dello spirito tragico è da Nietzsche considerata come l'originaria decadenza cui si deve una visione astratta e intellettualizzante della vita e della morale, determinata dall'"intellettualismo etico" socratico.[2]

Altrettanto forte è l'avversione di Nietzsche nei confronti di Platone, che egli considera autore di una concezione del mondo fondata sull'idealità metafisica e sul disprezzo nei confronti della realtà tangibile. Da Platone egli ritiene esser nata quella continuità ideologica che lega Parmenide a Platone e poi Plotino, il cristianesimo (definito "platonismo per il popolo") fino all'idealismo tedesco dell'Ottocento.[2]

Nietzsche attacca, quindi, i tradizionali valori fondamentali della società (della metafisica, del Cristianesimo, della democrazia), sostenendo la natura meramente metaforica e prospettica di qualsiasi principio trascendente e della stessa morale, così come di ogni concezione tradizionale. Il suo obiettivo era di smascherare la falsità e l'ipocrisia del sistema culturale su cui si fondava l'Europa dei suoi tempi e in particolare il mondo germanico, ma tutta la storia dell'Occidente è vista come un lungo processo di decadenza dell'uomo, come negazione della vita, quando invece l'affermazione della libertà avrebbe dovuto essere il destino dell'uomo.[2]

I grandi valori della cultura occidentale, quali la verità, la scienza, il progresso, la religione, sono così da smascherare nella loro mancanza di fondamento e nella loro natura di mera finzione. C'è nell'uomo una sostanziale paura verso la creatività della vita e la volontà di potenza, che produce valori collettivi sotto la cui giurisdizione la vita viene disciplinata, regolata, schematizzata.[2]

Un tale nichilismo è tuttavia soggetto, nelle opere di Nietzsche, a una caratterizzazione più profonda e problematica, che egli giunge a delineare in due aspetti fondamentali. La prima forma di nichilismo, il nichilismo passivo (di cui un esempio è ravvisato in Schopenhauer) coincide con la perdita di fiducia dell'uomo europeo verso i valori della propria civiltà; coincide con la "diminuzione vitale", caratterizzata diversamente come perversione della volontà di potenza. Con nichilismo attivo, invece, Nietzsche intende l'atteggiamento che, fattosi forte di una demolizione dei vincoli metafisici che sopprimevano la forza vitale, si propone come creatore di nuove tavole di valori attraverso la loro trasvalutazione.[2]

Deve tenersi presente che le determinazioni che portano Nietzsche al nichilismo derivano dal convincimento della necessità del distacco oggettuale e relazionale che portano da un lato all'affermazione non di un valore determinato ma di valori fluenti che sono alla base della trasvalutazione e che dall'altro consentono nell'analisi della oggettività di disceverare l'oggetto e l'altro ma nello stesso tempo di racchiudere il pensiero in sé stesso a realizzare proprio attraverso tale distacco la volontà di potenza.

È attraverso tale chiusura del pensiero in sé stesso che viene determinato il nichilismo di Nietzsche anche in quanto costituente la scissione dell'interno dall'esterno e attraverso cui si realizza la possibilità di cogliere l'opposizione dicotomica nel pensiero tra razionale in quanto sistematico e irrazionale in quanto nichilistico e distruttivo, rispetto alla quale dinamica si coglie una prospettiva della distinzione e del pari operativismo di nichilismo esteriore e di nichilismo interiore, processo in cui il nichilismo interiore correlato, tramite il dionisiaco, all'istinto ossia alla soddisfazione pone nello stesso tempo la relazione alla volontà di potenza fattori che si relazionano all'esaltazione del dionisiaco come irrazionale anche in quanto fattore non comprimibile e dunque enucleante appieno la possibilità di realizzare la volontà di potenza.

Da tale aspetto fondamentale di Nietzsche connotante il distacco oggettuale e la relazione con l'altro deriva anche il suo apprezzamento, da un lato, della caratteristica della assenza di compassione, che è uno dei fondamenti a base della trasvalutazione e che se non così fondata entrerebbe in contraddizione con il suo nichilismo e dall'altro il suo apprezzamento per i passi biblici e per l'ebraismo che si fondano sulla giustizia divina e in particolare sulla legge dell'"occhio per occhio e dente per dente" cui si unisce appunto quel distacco alla cui base vi è un'assenza di affettività che consente l'affermazione del valore del momento in rispondenza alla volontà di potenza e alla necessità di esistenza dell'esterno anche come altro-soggetto.[2]

 
Nietzsche (a destra) con Erwin Rohde e Carl von Gersdorff nell'ottobre 1871

L'uomo, per Nietzsche, ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza, in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun senso", che non c'è nessun "oltre" di essa e che va vissuta con desiderio e libero abbandono pieno di "fisicità". Se il mondo avesse un senso e se fosse costruito secondo criteri di razionalità, di giustizia e di bellezza, l'uomo non avrebbe bisogno di auto-illudersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni e morali. L'umanità occidentale, passata attraverso il cristianesimo, percepisce ora un senso di vuoto, trova che "Dio è morto", cioè che ogni costruzione metafisica vien meno davanti alla scoperta che il mondo è un caos irrazionale. Fino a che non sorgerà l'Oltreuomo, cioè un uomo in grado di sopportare l'idea secondo cui l'Universo non ha un senso, l'umanità continuerà a cercare dei valori assoluti che possano rimpiazzare il vecchio dio (inteso come qualsiasi tipo di realtà ultraterrena e non come semplice entità quale potrebbe essere il Dio cristiano); dei sostituti idolatrici quali, ad esempio, lo Stato, la scienza e il denaro.[2]

La mancanza, però, di un senso metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l'uomo nel nichilismo passivo, o disperazione nichilista. È tuttavia possibile uscire dal nichilismo comprendendo questa visione e riconoscendo che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori e delle virtù della volontà di potenza (nichilismo attivo). L'uomo, ergendosi al di sopra del caos della vita, può generare propri significati e imporre la propria volontà. Chi riesce a compiere questa impresa è l'Oltreuomo, cioè l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita.[2] Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso del testo Così parlò Zarathustra, Nietzsche mostra come il motto "Tu devi" vada trasformato dapprima nell'"Io voglio", e infine in un sacro "Dire di sì", espresso dalla figura del fanciullo giocondo.

Ovviamente il nichilismo attivo non giustifica i modelli valoriali proposti nel corso dei secoli per dare senso alla realtà, poiché questi non sono altro che il frutto dello spirito apollineo e, pertanto, non corrispondono all'effettiva essenza dell'uomo, che è dionisiaco, ossia legato inscindibilmente a quei "valori" (vitalità, potenza) intrinseci alla sua natura terrena:

« Si trasformi l'Inno alla Gioia di Beethoven in un quadro e non si rimanga indietro con l'immaginazione, quando i milioni si prosternano rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al Dionisiaco. [...] Ai colpi di scalpello dell'artista cosmico dionisiaco risuona il grido dei misteri eleusini: "Vi prosternate milioni? Senti il creatore, mondo?". »
(Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, 1)

Per una "rinascita" del tragico in Germania

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Nel primo testo filosofico di Nietzsche La nascita della tragedia del 1872, che è anche una messa a fuoco della sua cultura classica e della mitologia greca, egli concentra la sua attenzione sulle origini del teatro nell'antica Grecia. Si serve di e teorizza perciò due concetti-base, che diverranno poi "ideologici" per lo stesso autore e portatori di numerosi valori, lo spirito dionisiaco e lo spirito apollineo. Il dionisiaco (dal dio Dioniso) in quanto “ebbrezza” rappresenta l'elemento dell'affermazione della vita, della spontaneità, dell'istinto umano, della giocosità e raffigurerà nelle successive opere la volontà di potenza. È l'impulso che esprime la forza vitale propria dell'oltreuomo nella sua totale libertà, l'ebbrezza che trova la sua manifestazione più compiuta nella musica e nella danza.[2]

 
Nietzsche nel 1864

Il "dionisiaco" gioca dialetticamente con il proprio contraltare, l'"apollineo", ovvero l'armonia delle forme e del vivere. Quando Dioniso vive è Apollo a dormire, viceversa quando Apollo si rappresenta ed è in superficie, Dioniso è "sotterraneo". Il dionisiaco è un continuo ciclo "vita-morte-vita", attraverso il quale tutte le arti sono state create e si sono modificate. L'apollineo è la luce del giorno razionalizzata nell'arte plastica degli scultori dell'epoca classica. L'"apollineo" rappresenta anche la ratio umana che porta equilibrio nell'uomo, che è capace di concepire l'essenza del mondo come ordine e che lo spinge a produrre forme armoniose rassicuranti e razionali. Senza di esso, nell'uomo ci sarebbe un'esplosione di emozioni incontrollate e bisognose di essere controllate.[2]

Molto complesso è lo studio che il filologo Nietzsche fa delle arti greche e della tragedia in particolare. Nel "ditirambo" del coro tragico greco era insito lo spirito dionisiaco (Nietzsche lo chiama appunto "ditirambo dionisiaco"). Nella parola come sempre Nietzsche ricerca la chiave per l'interpretazione della realtà e per portare alla luce ciò che i concetti hanno di arcano dentro. In quanto filologo, ancor prima che filosofo, è sempre il "verbo" il suo primo amore. Dal ditirambo, che è il nucleo del “coro”, al testo poetico in cui è scritto il dramma, si svolge la continua alternanza dei due dèi greci Apollo e Dioniso, fino alla suprema e sublime armonia.[2]

L'analisi delle origini della tragedia greca, scorre lungo il testo nietzschiano attraversando tutta la storia di questo lungo percorso, da Archiloco a Euripide, passando per Eschilo e Sofocle fino alla sua stessa fine: la morte della tragedia avvenne per mano di Socrate ovvero di ciò che il filosofo ha rappresentato per la grecità e le sue espressioni artistiche. Ma come la tragedia ebbe origine dalla musica, Nietzsche auspica che allo stesso modo possa rinascere. Da qui la critica profonda e sentita all'“Opera”, in quanto genere artistico in cui vivono inconciliabili contraddizioni di carattere estetico e filosofico. Forte è l'esortazione del filosofo a ideali artisti della sua epoca affinché ritrovino e ridestino l'ebbrezza dionisiaca insita nella musica e su di essa, assieme al mito tragico, costruiscano una nuova epoca tragica:

(IT)
« Amici miei, voi che credete nella musica dionisiaca, sapete anche che cosa significhi per noi la tragedia. In essa noi abbiamo, rinato dalla musica, il mito tragico – e in questo potete sperare tutto e dimenticare ciò che è più doloroso! »

(DE)
« Meine Freunde, ihr, die ihr an die dionysische Musik glaubt, ihr wisst auch, was für uns die Tragödie bedeutet. In ihr haben wir, wiedergeboren aus der Musik, den tragischen Mythus – und in ihm dürft ihr Alles hoffen und das Schmerzlichste vergessen! »
(Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, 24)

La fase "illuministica"

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Contro Socrate, Platone e il cristianesimo

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Sculture presso la tomba di Nietzsche a Röcken, rappresentanti il filosofo e sua madre; la lapide non è il sepolcro di Nietzsche (che si trova accanto al muro), ma un monumento

Secondo Nietzsche la decadenza è il rifiuto dell'amore per la vita e della creatività, della spontaneità del vivere naturale e nello stesso tempo "tragico", dunque dello spirito dionisiaco. Per lui colui che per primo ha condizionato negativamente la civiltà occidentale verso questo annullamento della vita è stato Socrate: l'errore di Socrate è di aver sostituito alla vita il pensare alla vita e la conseguenza di ciò è il non-vivere.

Socrate ritiene che la ragione sia l'essenza dell'uomo e che le passioni, residuo di animalità, possano e debbano essere dominate. Per Socrate una vita fondata sulla ragione è una vita felice, mentre una vita dominata dalle passioni è destinata a dolorosi conflitti e turbamenti.[2] Anche Platone ha indirizzato la vita verso un mondo astratto e irreale, e in questo processo di decadenza si inserisce poi il Cristianesimo. Quest'ultimo ha prodotto un modello di uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa che avvelenano la sua esistenza, dettati dal motto cristiano del continuo pentimento e della richiesta implorata di salvezza e perdono.

Perciò l'uomo cristiano, al di là della propria maschera di serenità, è psichicamente tormentato, nasconde dentro di sé un'aggressività rabbiosa contro la vita ed è animato da risentimento contro il prossimo. Nietzsche crea in questo periodo le metafore del guerriero e del sacerdote: il primo rappresenta il manifestarsi della volontà di potenza, il secondo invece, timoroso dei propri mezzi, costituisce il "sottomesso" che a una morale dei forti, antepone una morale dei deboli, facilmente accessibile, che costituisce la negazione vera e propria dell'incondizionata gioia di vivere.[2]

Più che con la figura di Gesù (verso cui manifesta simpatia, considerandolo un "santo anarchico, sia pure un po' idiota") Nietzsche è polemico contro il Cristianesimo, in quanto religione dei «poveri di spirito», fondata sul risentimento e sulla cattiva coscienza. L'idiozia del Cristo non deve però caricarsi di una sola accezione negativa: "idiota" è l'individuo che non partecipa della collettività, del modus intellegendi condiviso, e sposta la sua attenzione verso la propria interiorità abbandonando la realtà. Il filosofo accusa la religione cristiana di creare questo equivoco e di essere uno pseudo-umanesimo, colpevole di «agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli».[3] Opponendosi alla vera filantropia e all'aggressività naturale della lotta per l'esistenza: «I deboli e i malriusciti devono perire, questo è il principio del nostro amore per gli uomini.»[4] Egli contesta soprattutto il fatto che «l'individuo fu considerato dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani».[5] A questo proposito afferma anche che «"L'uomo è cattivo", così parlano con mio conforto i più saggi. Ah se fosse pur vero anche oggi! Giacché il male è la migliore energia dell'uomo».[6] Nonostante questo, Nietzsche dichiara relativi e falsi i concetti di bene e male, che dovranno essere superati, in quanto «quel che si fa per amore, è sempre al di là del bene e del male.»[7]

In Così parlò Zarathustra egli dichiara invece:

(IT)
« Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure! »

(DE)
« Ich beschwöre euch, meine Brüder, bleibt der Erde treu und glaubt Denen nicht, welche euch von überirdischen Hoffnungen reden! Giftmischer sind es, ob sie es wissen oder nicht. Verächter des Lebens sind es, Absterbende und selber Vergiftete, deren die Erde müde ist: so mögen sie dahinfahren! »
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Prefazione di Zarathustra, 3)

Da ciò la proposta di Nietzsche di una trasmutazione o inversione dei valori. Si proclama egli stesso il "primo immoralista" della storia; egli non intende tuttavia proporre l'abolizione di ogni valore o l'affermazione di un tipo di uomo in preda al gioco sfrenato degli istinti, ma contrappone ai valori antivitali della morale pessimistica tradizionale una nuova tavola di valori a misura del carattere terreno dell'uomo. Per Nietzsche l'uomo è nato per vivere sulla Terra, la sua esistenza è interamente corpo, realtà sensibile. Infatti Zarathustra afferma: io sono corpo tutto intero e nient'altro. L'anima, secondo Nietzsche, è solo un'immagine metaforica e semplicistica della ricchissima varietà di desideri, inclinazioni e sensazioni che attraversano il corpo in ogni istante: questa rivendicazione della natura terrestre dell'uomo è implicita nell'accettazione totale della vita che è propria dello spirito dionisiaco e dell'immagine dell'oltreuomo. La Terra non è più l'esilio e il deserto dell'uomo, ma la sua dimora gioiosa.[2]

Il periodo "illuministico"

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Questo percorso, che inizia con Umano, troppo umano (1878-1880), coincide con l'avvento della scrittura aforistica, e risulta caratterizzato dal ripudio dei vecchi maestri, come Schopenhauer e, in particolare, Wagner. Nietzsche rinnega la stima e l'amicizia personale con il musicista, di cui tanto aveva ammirato Tristano e Isotta in quanto simbolo dell'umana lotta nel tentativo di convivere con i propri impulsi annullandosi nella materia, al di fuori da qualsiasi concetto religioso. Ora lo accusa di essere diventato un tipico decadente, che con il Parsifal ricade nel più becero e arcaico misticismo, quale ridicola rappresentazione di un mondo fasullo e immaginario.[2]

In questo periodo, il filosofo abbandona la "metafisica da artista", per privilegiare la scienza. Considererà l'arte come il residuo di una cultura mitica. Il redentore della cultura non sarà più l'artista o il genio (come invece pensava Wagner) ma il filosofo educato dalla scienza. Sarà illuminista,[8] nel senso che si troverà impegnato in un'opera di critica della cultura tramite la scienza, che egli ritiene sia un metodo di pensiero, piuttosto che un insieme di tutte le scienze particolari. Un metodo critico di tipo storico e genealogico, perché non esistono realtà immutabili e statiche, ma ogni cosa è l'esito di un processo che va ricostruito.[2]

I concetti base di questo periodo sono lo spirito libero e la filosofia del mattino. Lo spirito libero si identifica con il viandante, cioè con colui che grazie alla scienza riesce a emanciparsi dalle tenebre del passato, inaugurando una filosofia del mattino che si basa sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite.

La fase nichilistica e della volontà di potenza

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La morte di Dio

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Friedrich Nietzsche, disegno di Hans Olde, da serie di fotografie dello stesso autore (1899)

(IT)
« Dio è morto! Dio resta morto! E lo abbiamo ucciso noi! »

(DE)
« Gott ist tot! Gott bleibt tot! Und wir haben ihn getötet![9][10] »
(Friedrich Nietzsche, La gaia scienza [1882], III, 125, trad. di F. Masini, in Opere, volume 5, tomo 2, Adelphi, Milano 1965, p. 130)

L'affermazione della libertà e della spontaneità presuppone il superamento dei condizionamenti, delle regole, degli obblighi derivanti dalle credenze religiose o comunque dal riferimento a entità metafisiche. Ma comporta anche una conseguenza che pochi hanno la forza sufficiente per affrontare: assumersi la piena e definitiva responsabilità di ogni decisione, di ogni azione. Ogni comportamento è soggetto a una decisione individuale in quanto non esistono più valori trascendenti sui quali appiattirsi in modo conformistico. I contemporanei di Nietzsche dimostrano in mille circostanze di non essere più guidati dalla fede come poteva accadere agli uomini del Medioevo ma, per non essere obbligati ad affrontare le proprie responsabilità, non vogliono riconoscerlo neppure di fronte a sé stessi.

Celebre è la figura dell'uomo folle[11] ne La gaia scienza, che gira in pieno giorno con una lanterna accesa, urlando "Cerco Dio!", attirandosi così lo scherno dei presenti. Alla richiesta di spiegazioni l'uomo afferma che Dio è morto, ovvero che nessuno crede più veramente. Ma nell'atto stesso di compiere questa affermazione si trova di fronte allo scetticismo e all'indifferenza, quando non alla derisione. Egli stesso si definisce come il "testimone" di un omicidio compiuto dall'intera umanità. E allora: "Vengo troppo presto" egli ammette, poiché gli uomini non sono ancora pronti ad accettare questo cambiamento epocale. I valori tradizionali sono sempre più pallidi, sempre più estranei alla coscienza, ma i nuovi valori, quelli della gioiosa accettazione della vita e della fedeltà alla terra, sono ancora al di là dell'orizzonte: "Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino".[2]

L'annuncio della morte di Dio ha una straordinaria efficacia retorica e forse anche per questo non è stato sempre compreso a fondo: taluni interpreti si sono limitati a leggerlo come l'ennesimo attacco al Cristianesimo e non ne hanno percepito la profondità e la complessità. Infatti Nietzsche con questa affermazione intende annunciare la fine di ogni realtà trascendente, indipendentemente dal culto che predichi tale realtà. Egli considera ciò come il compimento di un processo nichilistico necessario, le cui radici si ritrovano nell'atto di omissione e di oblio del dionisiaco, che ha consentito all'apollineo, nel corso della secolarizzazione, di trovare modelli metafisici ragionevoli, capaci di giustificare il "senso dell'essere", ma che prima o poi, secondo l'autore tedesco, avrebbero dovuto fare i conti con la vera essenza vitale della natura umana, quale, appunto, il dionisiaco, ossia ciò che lega alla terra e alla vita.

Nietzsche è anche considerato, e non senza buoni motivi, come uno dei precursori dell'esistenzialismo ateo moderno per alcuni elementi etici che lo anticipano, per quanto questo si caratterizzi per aspetti di pessimismo esistenziale che in Nietzsche sono in gran parte assenti.[2]

L'oltreuomo

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(IT)
« Bisogna avere ancora il caos dentro di sé per generare una stella danzante. »

(DE)
« Man muss noch Chaos in sich haben, um einen tanzenden Stern gebären zu können. »
(F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Prefazione di Zarathustra, 5)

 
La pietra alla memoria di Nietzsche

Nietzsche, radicalizzando il "plus man" emersoniano e la critica emersoniana del culto degli eroi di Carlyle, ma ispirandosi anche al Singolo di Kierkegaard e all'Unico di Max Stirner, propugna l'avvento di un nuovo tipo di uomo, individualista e capace di liberarsi dai pregiudizi e dai vecchi schemi, di smascherare con il metodo genealogico l'origine umana troppo umana dei valori, nonché di farsi consapevole creatore di valori nuovi: l'oltreuomo. Non sarebbe corretto definire un uomo del genere superuomo: super indica sopra, quindi "super-uomo" vuol dire "colui che è sopra gli uomini" e li schiaccia.[12] Secondo l'interpretazione di Gianni Vattimo, introdotta nel suo testo Il soggetto e la maschera, il termine oltre-uomo, "colui che ha superato l'uomo ed è andato oltre la sua condizione", rispecchia meglio il concetto espresso dal filosofo di Röcken, oltre a essere la traduzione letterale del tedesco Über-Mensch, mentre super-uomo dovrebbe essere tradotto come Oben-Mensch.[13]

L'interpretazione di Gianni Vattimo è però contestata dal filosofo Domenico Losurdo, il quale contesta Nietzsche affermando esplicitamente che egli appoggiasse una società schiavistica comandata dal Superuomo aristocratico, talvolta argomentando che gli schiavi venivano trattati meglio dei moderni operai e accusandolo anche di appoggio all'eugenetica.[14] Questa moralità aristocratica degli scritti degli ultimi anni, accreditata soprattutto dal nazismo, è spesso invece considerata, dalla maggioranza dei commentatori, come una metafora della superiorità dell'uomo-filosofo sull'uomo comune, anziché come una reale proposta di società tradizionale, come intesa sia da filosofi di sinistra, come Losurdo stesso, sia da pensatori di estrema destra come Julius Evola e Alfred Baeumler, sia da intellettuali critici come Gilbert Keith Chesterton, che interpretano Nietzsche in maniera letterale.[15] L'interpretazione letterale di testi che fanno così ampio uso di metafore, come quella di Nietzsche difensore dello schiavismo, è stata invece contestata da molti studiosi[16] e pensatori che si sono definiti "nietzscheani", come Michel Onfray.[17] Più che di precursore del nazismo e sostenitore di una società che sottometta i deboli, da molti critici è invece visto come un elitario indifferente e aristocratico.

« Il verbo di Nietzsche mi ripugna profondamente; stento a trovarvi un’affermazione che non coincida con il contrario di quanto mi piace pensare; mi infastidisce il suo tono oracolare; ma mi pare che non vi compaia mai il desiderio della sofferenza altrui. L’indifferenza sì, quasi in ogni pagina, ma mai la Schadenfreude, la gioia per il danno del prossimo, né tanto meno la gioia del far deliberatamente soffrire. Il dolore del volgo, degli Ungestalten, degli informi, dei non-nati-nobili, è un prezzo da pagare per l’avvento del regno degli eletti; è un male minore, comunque sempre un male; non è desiderabile in sé. Ben diversi erano il verbo e la prassi hitleriani. »
(Primo Levi)

L'oltreuomo, secondo la comune interpretazione (Vattimo, Colli, Montinari), non schiaccia invece gli altri ma procede al di là delle convenzioni e dei pregiudizi che attanagliano l'uomo. Esso ha dei valori differenti da quelli della massa degli uomini, quella massa che ha aderito alla filosofia dei sacerdoti e degli imbonitori per farsi schiava di essi. Egli solo è in grado di non sostituire ai vecchi idoli quelli nuovi, ma fondare il nuovo mondo, e l'uomo attuale non è altro che "una corda tesa tra la scimmia e l'oltreuomo" stesso, secondo le parole di Nietzsche.[12] L'oltreuomo è colui che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita e fa sua la cosiddetta "morale aristocratica" che dice "sì" alla vita e al mondo. L'oltreuomo è discepolo di Dioniso poiché accetta la vita in tutte le sue manifestazioni, nel piacere del divenire inteso come alternanza di vita e morte. Affronta la vita con "pessimismo coraggioso", unisce il fatalismo alla fiducia e si è liberato dai logori concetti del bene e del male attraverso un'elitaria indifferenza a valori etici che considera morti.[12]

Di qui l'ammirazione di Nietzsche sia per la tragedia greca (in particolare Eschilo), quale mezzo educativo all'eroica tragicità della vita, sia per il prometeico istinto dell'uomo rinascimentale (l'uomo universale) che nella sua completezza teorica e pratica sapeva tendere oltre l'"umano troppo umano"; con una magnificenza creatrice, culturale e politica, che quell'impulso vitale, "al di là del bene e del male", comporta. Per lui, e ai suoi tempi, ancora incarnato in particolare da Napoleone e Goethe.[12]

Per l'oltreuomo ogni istante è il centro del suo tempo di cui è sempre protagonista. L'eterno ritorno, cioè l'eterna ripetizione, è la dottrina che Nietzsche mette a capo della nuova concezione del mondo e dell'agire umano. Per Nietzsche ogni momento del tempo, cioè l'attimo presente, va vissuto in modo spontaneo, senza continuità con passato e futuro, perché passato e futuro sono illusori: infatti ogni momento si ripete identico nel passato e nel futuro, come un dado che, lanciato all'infinito (poiché il tempo è infinito), darà un numero infinito di volte gli stessi numeri, in quanto le sue scelte sono un numero finito. Il vero oltreuomo è, in conclusione, colui che danza in catene liberamente e con leggiadria; è lo spirito libero tout court.[12]

L'eterno ritorno

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« Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione [...]. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina"?.[18] »
(Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 341)

Nietzsche elabora un suo modo di intendere il tempo liberandolo dal trascendente e quindi dalla fiducia nell'avvenire. In Così parlò Zarathustra (nel capitolo Della visione e dell'enigma, §2), Zarathustra (protagonista dell'opera) racconta di aver avuto una visione mentre scalava un monte. L'eterno ritorno dell'uguale, più spesso detto soltanto eterno ritorno, significa che l'universo rinasce e rimuore in base a cicli temporali fissati e necessari, ripetendo eternamente un certo corso e rimanendo sempre sé stesso.

In senso più specifico, l'eterno ritorno è uno dei capisaldi della filosofia di Friedrich Nietzsche. Il ragionamento che sta dietro al semplice – ma spesso incompreso – concetto di Nietzsche è il seguente: in un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione si ripeterà necessariamente infinite volte.[19] Ad esempio, tirando infinite volte tre dadi a sei facce, ognuna delle 216 combinazioni comparirà infinite volte. Mentre è spiegato in termini poetici ne La gaia scienza e Così parlò Zarathustra, egli lo spiega in termini quasi scientifici nei Frammenti postumi, e questa formulazione ha affascinato molti fisici e matematici successivi:[20][21][22][23][24]

« La misura della forza del cosmo è determinata, non è "infinita": guardiamoci da questi eccessi del concetto! Conseguentemente, il numero delle posizioni, dei mutamenti, delle combinazioni e degli sviluppi di questa forza è certamente immane e in sostanza "non misurabile"; ma in ogni caso è anche determinato e non infinito. È vero che il tempo nel quale il cosmo esercita la sua forza è infinito, cioè la forza è eternamente uguale ed eternamente attiva: fino a questo attimo, è già trascorsa un'infinità, cioè tutti i possibili sviluppi debbono già essere esistiti. Conseguentemente, lo sviluppo momentaneo deve essere una ripetizione, e così quello che lo ha generato e quello che da esso nasce, e così via: in avanti e all'indietro! Tutto è esistito innumerevoli volte, in quanto la condizione complessiva di tutte le forze ritorna sempre. »
(Frammenti postumi, 11)

Il mito dell'eterno ritorno nello Zarathustra

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Nietzsche nel 1875

Nel capitolo dello Zarathustra intitolato La visione e l'enigma, Nietzsche introduce sotto forma di mito il pensiero dell'eterno ritorno dell'uguale (già evocato nel capitolo Della redenzione, allorché Zarathustra si rifiuta di enunciare ciò che insegna alla volontà, ossia il volere a ritroso),[25] attraverso il dialogo tra il profeta e il nano, personificazione dello spirito di gravità: «Tutte le cose diritte mentono. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo» è l'opinione del nano. Questa prima interpretazione è però giudicata come troppo superficiale («Tu, spirito di gravità! – replica infatti Zarathustra – non prendere la cosa troppo alla leggera!»)[26] e portatrice di una generica professione di fede nella circolarità e insensatezza del tutto (nichilismo passivo)[27]. Nella seconda parte però, Zarathustra espone la sua controinterpretazione della visione della porta che aggiunge caratteri essenziali alla prima interpretazione del nano. La novità di questa controinterpretazione consiste nel fatto che Zarathustra va a fondo e tocca l'argomento decisivo che pone il punto di svolta dal nichilismo passivo al nichilismo attivo.[27] Non solo tutto ciò che diviene deve essere già stato vissuto, ma soprattutto la porta stessa, l'attimo presente, deve già essere stata in passato. Si è dunque raggiunto il piano di passaggio dal nichilismo passivo al nichilismo attivo, quindi dall'eterno ritorno come pensiero paralizzante, all'eterno ritorno come liberazione dal simbolico (viene confutata in parte la prima interpretazione del nano). L'attimo è compreso nell'eterno circolo di passato e futuro.

Successivamente, Zarathustra è come ridestato dall'ululato di un cane che gli permette di cambiare scena. Egli vede il cane quasi chiedere aiuto vicino a un pastore, che è come soffocato da un serpente, la cui testa esce dalla sua bocca. Il serpente, nello specifico, indica l'eterno ritorno ed è come se il pastore fosse soffocato da questa concezione dell'eterno circolo del tempo. Un gesto fondamentale, fa tornare il sorriso sulle sue labbra, ormai non più sofferenti del pastore ("mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!"): questi infatti aveva morso e staccato la testa al serpente, indicando così allegoricamente l'accettazione dell'eterno ritorno. È importante sottolineare come l'accettazione dell'eterno ritorno sia dovuta a una decisione del pastore: se questi non avesse mai morso la testa al serpente, non sarebbe mai stato in grado di accettarlo e di istituirlo. Vi è quindi un attimo in cui il pastore istituisce, cioè vuole, il ripetersi eterno della vita e dell'istante.[28]

Solo se l'attimo che l'uomo vive è immenso, cioè ingloba in sé tutto il suo significato, si può volerlo sempre di nuovo. L'uomo che può volere l'eterno ritorno è un uomo felice, a cui la vita dà attimi “immensi”, come testimonianza piena di esistenza e significato. In quest'opera è possibile vedere il ruolo di Nietzsche come "difensore" di un tempo qualitativo, qualificato nella sua densità dai contenuti vissuti. Famosa la definizione dell'"imperativo categorico" di Nietzsche: "vivere in modo da poter desiderare di rivivere questa stessa vita in ripetizione eterna".[29] Correlata alla tematica dell'eterno ritorno e quindi al principio del movimento è la trasvalutazione dei valori che da alcuni è stata intesa come capovolgimento dei valori.

Il capovolgimento reca in sé l'affermazione di un valore ulteriore. Mentre la trasvalutazione è legata al fluire del valore stesso senza preminenza di alcuno in particolare, e quindi al superamento del valore. Riprendendo Nietzsche quando parla di Eraclito, l'unico filosofo a cui si sente legato, afferma che il movimento reca in sé la possibilità dell'annientamento. Tradotto in termini filosofici e legato questo concetto a quello caro a Nietzsche della trasvalutazione, non vi può essere una morale né un valore assoluto ma valori istintuali che si annientano nel movimento. Se non fosse così si considererebbe Nietzsche un moralista o un idealista.

  1. Friedrich Nietzsche: il pensiero in breve
  2. 2,00 2,01 2,02 2,03 2,04 2,05 2,06 2,07 2,08 2,09 2,10 2,11 2,12 2,13 2,14 2,15 2,16 2,17 Cronologia della vita e delle opere di Nietzsche, su filosofico.net.
  3. L'anticristo, Adelphi, 1970, p. 169,
  4. cit. L'anticristo, Adelphi, 1970, p. 169
  5. (Frammenti postumi 1888-1889, vol. VIII, tomo III, 15 [110], Adelphi, 1974, pp. 257-258)
  6. Così parlò Zarathustra, parte 4, Dell'uomo superiore
  7. Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, aforisma 153, capitolo IV "Sentenze e intermezzi".
  8. Da cui l'ammirazione verso Voltaire che si riscontra in questo periodo.
  9. Opere di Friedrich Nietzsche, volume 5, tomo 2, su scribd.com, Adelphi (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2015).
  10. (EN) Friedrich Nietzsche, su focus.de, Focus Online.
  11. Nietzsche, Dio è morto, su filosofico.net.
  12. 12,0 12,1 12,2 12,3 12,4 L'Oltreuomo, su sirigu.it. URL consultato il 23 giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 3 luglio 2013).
  13. La parola "über" (equivalente all'italiano e al latino "iper"; cfr. Dizionario italiano: Iper), in tedesco ha molti significati, tra cui "oltre", mentre è meno usata per il significato "sopra"/"super", dove sono più comunemente utilizzati "oben" e "auf"; dizionario italiano-tedesco: Sopra Über
  14. Domenico Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2002 recensione ed estratti
  15. Julius Evola (a cura di Diego Fusaro)
  16. Paola Sirigu, Nietzsche. L'immoralista sublime, p.537
  17. M. Onfray, Nietzsche e la costruzione del Superuomo. Controstoria della filosofia VII
  18. È in questo punto che Nietzsche chiarisce che l'oltreuomo è colui che accetta l'esistenza dell'eterno ritorno.
  19. L'eterno ritorno Archiviato il 4 settembre 2014 in Internet Archive.
  20. Roger Penrose: Sono infiniti i Big Bang che hanno fatto il mondo Archiviato il 17 maggio 2014 in Internet Archive.
  21. Rüdiger Vaas: "Ewig rollt das Rad des Seins": Der 'Ewige-Wiederkunfts-Gedanke' und seine Aktualität in der modernen physikalischen Kosmologie. In: Helmut Heit, Günter Abel, Marco Brusotti (eds.): Nietzsches Wissenschaftsphilosophie. de Gruyter: Berlin, New York 2012, S. 371-390. ISBN 978-3-11-025937-7
  22. Alex Vilenkin, Many Worlds in One. New York: Hill and Wang 2006
  23. Max Tegmark (2003). "Parallel Universes". In "Science and Ultimate Reality: from Quantum to Cosmos", honoring John Wheeler's 90th birthday. J. D. Barrow, P.C.W. Davies, & C.L. Harper eds. Cambridge University Press (2003).
  24. Barreira, Luis (2006). "Poincaré recurrence: old and new". In Zambrini, Jean-Claude. XIVth International Congress on Mathematical Physics. World Scientific. pp. 415–422.
  25. Cfr. la nota 134 a pagina 408 dell'edizione Adelphi dello Zarathustra, la quale chiarisce il seguente passaggio: «A questo punto avvenne che Zarathustra improvvisamente si fermasse: pareva uno che fosse terrorizzato all'estremo». Montinari spiega che qui «Zarathustra rinuncia ad enunciare ciò che insegna alla volontà, ‘il volere a ritroso', la dottrina dell'eterno ritorno».
  26. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno [1885], III, 46, 2, trad. di M. Montinari, Adelphi, Milano 2012, p. 184.
  27. 27,0 27,1 G. Vattimo, Introduzione a Nietzsche, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 94, nota 20: «Nietzsche attribuisce al nichilismo un duplice possibile senso: un senso passivo o reattivo, nel quale il nichilismo riconosce l'insensatezza del divenire e di conseguenza sviluppa un senso di perdita, di vendetta e di odio per la vita; e un nichilismo attivo che è proprio dell'oltreuomo, il quale si installa esplicitamente nell'insensatezza del mondo dato per creare nuovi valori».
  28. Volendo l'istante la questione si è spostata al presente, l'uomo che ha riso è l'uomo che ha lasciato fluire ciò che lo soffocava alla gola e che ha preso a mettere fuori quanto aveva dentro; l'uomo che ride è l'uomo che parla il suo peso. C'è da dire di più. Continuando a leggere l'aforisma della Gaia Scienza già citato si troverà che chi ha riso è rinato, ed è rinato alla luce dell'eternità, nel senso che quando il pastore si accorge che può volere qualcosa che neanche il tempo può scalfire, perché il suo presente è destinato a ripetersi comunque in eterno, allora capisce anche che vale la pena volere.
  29. citato in Mazzino Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche