I promessi sposi/Don Abbondio: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
+cit. cap. II
Ramac (discussione | contributi)
continuo
Riga 9:
Don Abbondio è il primo personaggio ad apparire nel romanzo. La sua figura è introdotta dal Manzoni tramite una descrizione ''focalizzatrice'' del paesaggio che lo circonda: la tranquillità del paesaggio che lo circonda, il modo in cui cammina, sono tutti simboli della sua vita tranquilla e del suo modo superficiale di vivere il ministero del [[w:sacerdozio|sacerdozio]].
 
Molto pacata, ma soprattutto dettata dalla paura (come viene indicato nel [[I promessi sposi/Capitolo 2|capitolo 2]], egli ''non aveva certo un cuor di leone''), è anche la reazione che ha Don Abbondio all'incontro con i bravi (gli "scagnozzi" a servizio dei signorotti locali) i quali senza mezzi termini gli raccomandano di non celebrare il matrimonio tra [[I promessi sposi/Renzo|Renzo]] e [[I promessi sposi/Lucia|Lucia]] con la celeberrima affermazione ''questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai''.
 
Don Abbondio allora torna a casa impaurito, talmente condizionato dalle minacce dei bravi che, con astuzia e grazie all'uso di alcune '''frasi latine''', lingua sconosciuta al povero [[I promessi sposi/Renzo|Renzo]], riesce a rimandare la celebrazione delle nozze, ma senza rivelarne il motivo, cosa questa che farà invece la perpetuasua donna di casa, '''Perpetua'''<ref>questo nome è diventato poi per ''anonomasia'' il nome delle donne di casa degli uomini di Chiesa</ref>.
 
{{quote|
- Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimenti?
 
- Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?
Line 23 ⟶ 24:
Si sis affinis,... - cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
 
- Si piglia gioco di me? - interruppe il giovine. - Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?|I<ref>Ancora promessioggi sposi,per Capitoloparlare II}}del latino come di una lingua difficile si usa questo termine; probabilmente Renzo avrà sentito durante le celebrazioni della messa la desinenza ''-orum'' del genitivo plurale latino</ref>?
|[[s:I promessi sposi/Capitolo II|Capitolo 2]]}}
Ancora una volta il curato si mostra timoroso di uno scontro e fa leva sulle sue conoscenze di latino per poter sopraffare il giovane.
 
Una delle conseguenze di questa sua indole timida e paurosa è la '''reticenza''': don Abbondio in più occasioni non ha il coraggio e la forza di completare o di esporre completamente i suoi pensieri.
 
Il curato dimostra in più passi del romanzo una sfiducia nei confronti delle '''autorità ecclesiastiche''': ad esempio, nel secondo capitolo rifiuta in maniera categorica l'ipotesi di chiedere l'aiuto al cardinale per risolvere la questione del matrimonio tra i due sposi.
 
Questi atteggiamenti sono dovuti soprattutto al suo modo di vivere il ministero sacerdotale, dettato dai motivi della sua '''scelta di vita''': don Abbondio, come viene specificato nel capitolo 2, non si è fatto curato per motivazioni di fede, bensì perché a quei tempi il riunirsi in corporazioni era l'unico modo per i più deboli di non restare sopraffatti:
{{quote|Quindi era, in que' tempi, portata al massimo punto la tendenza degl'individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuove, e a procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva|[[s:I promessi sposi/Capitolo II|Capitolo 2]]}}
 
== Note ==
<references />
 
[[Categoria:I promessi sposi|Abbondio]]