Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 70:
 
 
 
 
 
 
 
 
== Conclusione ==
 
Nessuno ha mai rivendicato la paternità dell’alfabeto, come si trattasse del telefono o della spilla da balia, che pure era nota anticamente ma è stata ufficialmente ‘inventata’ solo recentemente.
 
Anche '''[[w:Roma|Roma]]''' nacque così, come ci raccontano i suoi massimi storici, in primis '''[[w:Tito Livio|Tito Livio]]'''.
 
Il '''[[w:Mediterraneo|Mediterraneo]]''' era a quei tempi un vulcano di idee senza padre, ma sempre con una madre certa.
 
Omero è mai esistito?
 
Si son chiesti i moderni.
 
E se no, come sono state composte l’Iliade e l’Odissea?
 
Sono state composte da più aedi?
 
O le hanno sistemate una miriade di rapsodi.
 
E chi ha scritto cosa, in questo caso?
 
Non esiste forse una '''Questione dell' Originalità della letteratura latina?'''
 
 
 
L’oriente influenzò la Grecia, nel campo artistico.
 
'''Graecia capta foerum victorem cepit et artes intulit agresti Latio'''.
 
La Grecia, anche se invasa, conquistò il rozzo vincitore e introdusse le arti nel Lazio agreste...
 
Così presenta Orazio la nascita della letteratura in ambito latino.
 
Si trattò di una specie di importazione di opere letterarie e filosofiche.
 
Commedie, tragedie, dialoghi furono opere tradotte, rappresentate e lette dal '''pubblico''' romanizzato.
 
Lo stesso '''[[w:Quintiliano|Quintiliano]]''' qualche tempo dopo dirà la stessa cosa, aggiungendo...
 
'''satura quidem tota nostra est...'''.
 
Voleva dire che tutto veniva dalla Grecia, commedia, tragedia, dialoghi filosofici ed altro, però '''la Satira, a dire il vero' è completamente una nostra invenzione'''.
 
Era una patente di originalità per il genere letterario caro proprio ad Orazio.
 
Ma sappiamo che non era vero nemmeno questo.
 
La diàtriba stoico cinica, moraleggiante, ha anticipato [[w:Lucilio|Lucilio]], [[w:Orazio|Orazio]], [[w:Giovenale|Giovenale]] e [[w:Persio|Persio]], i poeti 'satirici' latini.
 
Roma, a detta di tutti gli storici, fu la civiltà più dedita d’ogni altra al saccheggio artistico e culturale.
 
Dall’ alfabeto ai materiali usati per la scrittura, nulla vi è di originale, a detta degli stessi autori latini, tranne, repetita juvant, la '''[[w:satira|satira]].'''
 
Anche la satira aveva i suoi bravi modelli nella letteratura greca.
 
In Omero stesso, l’inesistente, a detta di alcuni critici ‘moderni’, '''[[w:Tersite|Tersite]]''' fece a modo suo della satira criticando Agamennone ed i potenti fra gli Achei.
 
E da bravo autore satirico, meritò le bastonate di Odisseo.
 
Si, perché la satira è molto diversa dagli altri generi letterari.
 
Vuole '''cambiare''' il contesto, non solo spiegarlo narrando, divertendo e commuovendo.
 
E non vuole cambiare i lettori come fa la tragedia con gli spettatori, purificandoli con la narrazione delle sventure dell’eroe, delle sue sofferenze, con la '''[[w:catarsi|catarsi]]''', come la chiama Aristotele, ma vuol farlo mettendo in ridicolo elegantemente i loro difetti,
come fa Orazio, oppure aggredendoli con energica violenza verbale, come fa '''[[w:Giovenale|Giovenale]] o [[w:Lucilio|Lucilio]], prima di lui.
 
Per questo la satira non vuole solo muovere al riso, come la commedia, ma addirittura si prefigge di '''castigare ridendo mores''', come appunto dice elegantemente Orazio.
 
Nel caso di Giovenale, il riso è certamente triste, amaro.
 
Quintiliano ritiene un genere originale dei latini la satira, ma la commedia greca e la '''diatriba stoico cinica''', di carattere moraleggiante, certamente ne costituiscono un antenato, un antecedente innegabile.
 
In tutto il resto, comunque, i latini ripresero, imitandoli, forse migliorandoli, come ...fanno i migliori alunni, gli elementi letterari e artistici dei contemporanei e dei predecessori.
 
Come è stata inventata una '''[[w:questione omerica|questione omerica]]''' circa l’esistenza di Omero, così hanno escogitato una ‘questione dell’originalità della letteratura latina’.
 
 
Ebbene, la '''[[w:mimesis|mimesis]]''' creativa era alla base dell’apprendimento, quando non era codificata la figura del '''docente''', che ponendosi come antagonista dell'atto passivo del copiare si fa mediatore fra testo, documento e discente, arbitro d'una '''mìmesis''' ufficialmente didatticamente resa accessibile, ma non più creativa né originale.
 
 
E lo resterà anche dopo, in larga parte, visto che i migliori docenti intuiscono e sono consapevoli del fatto che l’insegnamento in reltà non esiste, esiste l’apprendimento più o meno opportunamente facilitato.
 
'''L'insegnamento quale apprendimento facilitato, non passiva a amorfa trasmissione di informazioni e dati più o meno organizzati.'''
 
'''Gli Insegnanti sollecitano''', facendosi anche imitare, dopo aver indicato la soluzione dei problemi, gli allievi '''ad apprendere''', ad autoaddestrarsi, ad essere attivi, ad apprendere, '''facilitando questo processo'''.
 
Portano a studiare, leggere e scrivere.
 
Senza dimenticare che ogni attività, anche intellettuale, va praticata in sintonia con una sana attività fisica.
 
L’insegnante che opera così è prima di tutto un '''facilitatore''', un '''adiutore''', un ‘'''coadiutore'''.
 
La figura dell’insegnante è nata con l’affermarsi della scrittura, con la nascita e la pratica della letteratura.
 
 
La prima reazione al nascere della scrittura fu quella dovuta al sorgere d’una una criptoscienza, del sapere nascosto e silente, sia pure inizialmente inconsapevole.
 
Pochissimi sapevano scrivere.
 
Si scriveva per ragioni essenzialmente pratiche e commerciali, sacre e giuridiche connesse al commercio, alla pratica della giustizia, all'amministrazione dello Stato.
 
Si scrivevano elenchi di beni posseduti nei magazzini dei palazzi del re, dei sacerdoti nei templi, dei commercianti per terra e per mare.
 
La conoscenza della scrittura, all’inizio ideografica e perciò assai complessa, non era diffusa.
 
Non ce n’era assolutamente bisogno.
 
Scrivere era funzionale all’economia, al commercio, era una attività per addetti a quel settore.
 
 
Più tardi la scrittura assunse un carattere sacrale, e divenne strumento della fantasia, della poesia.
 
Cominciò a nascere una certa '''letteratura''', sempre limitata ed esclusiva.
 
Presso il [[w:faraone|faraone]] egizio lo [[w:scriba|scriba]] divenne una casta privilegiata.
 
Il carattere criptoscientifico della scrittura qui divenne voluto.
 
Scrivere divenne attività da praticare in tutta riservatezza.
 
Una pratica per pochi da tenere lontana dalla massa, che non la conosceva, non la praticava.
 
Se insegnamento vi fu, e ve ne fu, in Mesopotamia e in Egitto, fu insegnamento di eletti ad eletti, in un segreto naturalissimo, in quanto nessuno degli estranei si sarebbe mai sognato di ‘scoprire’ i segreti delle attività grafologiche.
 
Il lavoro, durissimo, impegnava operai e contadini.
 
Il faraone, la casta sacerdotale, i funzionari statali, gli scribi si dedicavano alla attività esclusiva e naturalmente sconosciuta alle ‘masse’ della scrittura.
 
Scriba insegnava allo scriba.
 
Faraone istruiva il faraone.
 
Funzionario trasmetteva dati al funzionario, sacerdote al sacerdote.
 
Scriba, faraone, funzionario, apprendevano quasi da se stessi.
 
Dai propri simili.
 
L’insegnamento non esisteva, in quanto attività specifica ed isolata dal contesto, faceva parte dell’attività stessa dell’uomo, del gruppo sociale.
 
Era il modo per vincere il tempo, per essere in un certo senso presenti anche dopo la fine della vita, negli allievi.
 
Esisteva l’apprendimento, il divenire uguale o superiore rispetto al maestro.
 
Essere come lui.
 
Essere lui.