Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 2: differenze tra le versioni
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Israele non è solo l'inizio storico (''Anfang'') del messianismo monoteistico, ma anche il custode del puro messaggio di questo futuro ideale nella realtà presente (''Wirklichkeit''). Così Cohen sottolinea la necessità storica della sua continua esistenza in questo futuro. "Fin dall'inizio questo simbolismo presagiva (''Vorbedeutung'') la chiamata messianica di Israele, la sua elevazione (''Aufhebung'') a un'unica umanità (''Menschheit'')".<ref>''Ibid.'', 260 (= [[w:lingua tedesca|Tedesco]], 303).</ref> Il compito incompiuto, quindi ancora giustificato, di Israele è "la realizzazione messianica (''Durchführung'') del monoteismo".<ref>''Ibid.'', 267 (= [[w:lingua tedesca|Tedesco]], 312).</ref> La responsabilità sempre presente di Israele è quella di diffondere la conoscenza di Dio che "rende il Messianismo capace di un'espansione illimitata (''unbeschränkte Ausdehnung'')".<ref>''Ibid.'', 254 (= [[w:lingua tedesca|Tedesco]], 297).</ref> Qui abbiamo quella che è senza dubbio la presentazione filosofica più astuta della nozione ebraica distintamente moderna della "Missione di Israele".<ref>Per un'analisi critica di questa nozione, si veda D. Novak, ''Jewish Social Ethics'' (New York, 1992), 225 e segg. Per la critica di questa nozione da parte del primo teorico sionista [[w:Ahad Ha'am|Ahad Ha'Am]] (morto nel 1927), si vedano i suoi "Kohen Ve-Navi" e "Shinui Ha'Arakhin", in ''Kol Kitvei Ahad Ha’Am'', II ediz. (Gerusalemme, 1949), 92 e 156. Ahad Ha'Am non negò il ruolo distintivo del popolo ebraico. La sua critica alla nozione ebraica europea occidentale della missione di Israele era che fosse troppo legata alle nozioni liberali occidentali di individualismo e democrazia.</ref>
Ciò che è importante vedere qui con Cohen, da vero filosofo che era e quindi che formulava i suoi termini con cura precisa, è che il termine che usa per il compimento ultimo della missione storica di Israele è ''Aufhebung''. Questo termine, naturalmente, è il più significativo nella teoria hegeliana della manifestazione progressiva dello Spirito.<ref>Cfr. Kaufmann, ''Hegel'', 144; anche, S. Avineri, ''The Social and Political Thought of Karl Marx'' (Cambridge, 1968), 37.</ref> Ora Cohen era di solito piuttosto contrario a Hegel, specialmente a quella che considerava l'ingiustificata fusione fatta da Hegel dell'infinito/ideale e del finito/reale, anche se tale fusione non avrà luogo fino alla fine della Storia.<ref>Si veda per es., la sua critica della sintesi fatta da Hegel di ''Idee'' (infinito) e ''Begriff'' (finito) in ''Logik'', 314; anche, ''Ethik'', 254. Cfr. Franz Rosenzweig, ''Briefe'', cur. E. Rosenzweig (Berlino, 1935) no. 221, p. 299.</ref> In effetti, il suo impressionante debutto nella filosofia accademica tedesca a metà del diciannovesimo secolo fu di far distogliere l'attenzione da Hegel e riportarla a Kant.<ref>Questo può esser visto nella sua prima opera importante (nel 1871), ''Kants Theorie der Erfahrung''. Si veda
In effetti, con imponenti mezzi filosofici Cohen precluse la giustificazione intellettuale moderna più prevalente dell'assimilazione ebraica, vale a dire che il particolarismo ebraico doveva essere superato ("aufgehoben") dalle forme più universali della società e della cultura moderne. Si possono vedere le forme più individualistiche di questa giustificazione dell'assimilazione che derivano dal liberalismo di Spinoza; e si possono vedere le forme più collettiviste derivanti da Marx (che, naturalmente, derivò gran parte della sua visione del carattere evolutivo della storia umana da Hegel). Ognuno aveva molti seguaci ebrei moderni. Ma lungo linee filosofiche, Hermann Cohen era senza dubbio convinto di avere una valida replica a entrambi questi rinnegati dall'ebraismo e dal popolo ebraico, e a tutti coloro che rispettivamente avevano influenzato. Quindi Cohen credeva sicuramente che solo lui avesse salvato con mezzi filosofici la dottrina ebraica classica dell'elezione di Israele. Tuttavia, questa impresa filosofica non avvenne senza notevoli tensioni.
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