Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo I: differenze tra le versioni
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Possiamo ora tentare di comprendere le difficoltà storiografiche incontrate dalla storiografia moderna nel trattare il terzo secolo, e le incertezze implicite di una sua corretta valutazione storica. Il III secolo è l'inizio di una decadenza ininterrotta, prolungatasi per secoli fino alla dissoluzione dell'Impero Romano (secondo Gibbon, che la fece protrarre fino alla caduta dell'impero bizantino, vero erede dell’''imperium'' universale)? Oppure, rifiutando il concetto "antistorico" di decadenza (e quindi, e più giustamente, quello anacronistico e vuoto del Medioevo), il III secolo fu un periodo di "crisi", un periodo di transizione posto tra due epoche di relativa prosperità, quasi una ''maladie'' che nel corso di tale secolo l'Impero dovette affrontare, venedone fuori rigenerato ed rinforzato, per poi cadere nuovamente e definitivamente sotto i colpi dei barbari germanici?<ref>A. Piganiol, ''L’Empire Chrétien'', 1947, p. 422. Tuttavia, si veda anche la sua spiegazione "economica" nel suo successivo ''Historie de Rome'', Parigi, 1962<sup>2</sup>, p. 522, in cui la rigidità della prima tesi viene molto ridotta: "Penso che la causa essenziale [della caduta di Roma] fosse lo spostamento dell'asse commerciale. Agli inizi, la ricchezza era concentrata intorno al Mediterraneo. Ma ora l'attività viene trasferita all'asse Reno-Danubio, lungo il quale nascono gli stati metà romani e metà barbari, ai confini tra Germania e Romania". Implicito è che la causa di tale spostamento sarebbe stata la necessità di evitare le minacce degli "assassini" barbari.</ref> E, inoltre, cambiando formula e finanche prospettiva: questa "crisi" del III secolo produsse un impero sostanzialmente immutato nelle sue strutture fondamentali – culturali e socioeconomiche – e nella sua natura essenziale, o segnò veramente la fine di un'epoca per il mondo antico e lo stabilimento, sulle ceneri del vecchio ordine, di un nuovo mondo, caratterizzato da peculiari strutture sociali, economiche e culturali?<ref>Si veda infine F. G. Maier, ''Die Verwandlung'', pp. 7segg.; 9</ref>
Dalla risposta a queste domande dipende in realtà l'interpretazione di questa epoca convulsiva di trasformazioni socioeconomiche e culturali, che convenzionalmente chiamiamo III secolo. In effetti, un problema di periodizzazione, come afferma giustamente K. F. Stroheker, è non solo un momento formale, estrinseco alla ricerca storica, ma costituisce anche e proprio la predicazione del problema.<ref>K.F. Stroheker, "Um die Grenze zwischen Antike und abendländischen Mittelalter", ''Saeculum'', 1950, pp. 433-465, aggiornato in ''Germanentum und Spätantike'', Zürich-Stuttgart, 1965, pp. 275-308 (studio fondamentale, ma molto difficile da capire nella versione originale tedesca). Si veda anche A.F. Harvighurst, ''The Pirenne Thesis. Analysis, Criticism and Revision'', Boston, 1958; Lynn White (cur.), ''The Trasformation of the Roman World'', Berkeley, 1966. Sulla "periodizzazione" cfr. A. Dopsch, ''Wirtschaftliche und soziale Grundlagen der europäischen Kulturenwicklung'', II ediz., Vienna, 1923-24.</ref> In sostanza, qui abbiamo a che fare con una valutazione storica di un'epoca e delle sue peculiarità, per le quali viene distinta da tutte le altre e costituisce un'entità determinata e in qualche modo autonoma. Per ragioni che spiegherò, non posso accettare la teoria di coloro che credono che, arrivati al IV secolo e particolarmente a [[w:Costantino I|Costantino]] (o a volte persino a [[w:Diocleziano|Diocleziano]]) il Medioevo occidentale sarebbe iniziato. La crescente critica del concetto "medievale", ed un'analisi ravvicinata dei "modi" e forme individuali tramite cui avvenne la transizione, in dati ambienti socioculturali, dall'unità dell’''imperium romanum'' alle neoformazioni romano-barbariche,<ref>Cfr. per es. la prospettiva "aperta" di Hermann Aubin, ''Vom Altertum zum Mittelalter'', München, 1949 (e la sua scuola).</ref> ha fortemente limitato la validità di una tale formulazione — che, tra l'altro, ha goduto del favore dei curatori di una storia "universale" di standard eccellente come il ''[[:en:w:The Cambridge Ancient History|Cambridge Ancient History]]''. Tuttavia, bisogna sottolineare, infatti che [[:en:w:Norman H. Baynes|Baynes]] (che fu l'ispiratore e coordinatore del Volume XII e del primo Volume del ''Cambridge Medieval History''),<ref>Cfr. ''Epilogue'' del Vol. XII, p. 705.</ref> quando propose la formula ''Crisis and Recovery'' per l'ultimo volume del ''CAH'', stava riconoscendo il fatto che l'interpretazione negativa, tutta "ombre" e incertezze, del Tardo Impero, non poteva, né doveva, essere più mantenuta; e che, come aveva già indicato nel suo breve ma
Tuttavia fu specialmente il riesame delle vicissitudini economiche da cui era emerso drammaticamente il Tardo Impero Romano, che impose una profonda revisione dell'attuale valutazione del terzo secolo. La scoperta di uno "stile" economico specifico della Tarda Antichità, contro le interpretazioni pessimiste di Lot, Rostovtzeff e [[w:Martin Persson Nilsson|Persson]] – e ancor prima da Meyer o M. Weber – comportò anche un'analisi più attenta delle fasi mediante le quali tale epoca era stata creata e delle sue forze concomitanti: proprio alla base delle "nuove" strutture dell'economia e società del tardo-romana stava quella perturbazione economica e sociale che gli storici, ancor troppo prevenuti dalle concezioni classiciste, avevano designato con espressioni tipo "decadenza" o "crisi". Nel 1926, quando Rostovtzeff espose la sua propria interpretazione della "crisi" imperiale, gli studi della storia monetaria dell'Impero Romano era ancora in una fase embrionica – o perlomeno, non erano ancora andati oltre la fase descrittiva; mancava ancora un'analisi in prodondità dell'inflazione del III secolo che, come oggi è assai evidente, poteva solo essere risolta con l'implementazione del sistema monetario di Costantino, connesso all'oro, al ''solidus'' aureo: la moneta più stabile di 4 ''grammata'' d'oro che avrebbe caratterizzato l'intera storia economica del mondo tardo-imperiale e "bizantino".<ref>Cfr. S. Mazzarino, ''Aspetti sociali del IV secolo'', pp. 107segg.; ''L’impero romano'', Bari, pp. 666segg., 694.</ref> Com'era, questo tema del rapporto tra economia e sistema monetario nel Tardo Impero fu alla base del libro che indubbiamente segnò un punto decisivo nell'interpretazione dell'economia tardo-imperiale, il famoso ''Geld und Wirtschaft im römischen Reich des vierten Jahrhunderts'' di [[:de:w:Gunnar Mickwitz|Gunnar Mickwitz]] (1932). In questo studio fondamentale, sebbene alquanto breve, – come anche in altre opere originali connesse a questo problema<ref>''Die Systeme des röm. Silbergeldes im IV Jhdt. n. Ch.'', Helsingfors, 1933; ecc.</ref> – il giovane studioso finlandese, reagendo alle interpretazioni "deprimenti" presentate da Persson<ref>A.W. Persson, "Staat u. Manifaktur im röm. Reiche", ''Skrifter utgivan av Vetenskaps-Societaten I Lund'', 3, 1923.</ref> e Rostovtzeff, insisteva sul fatto che l'economia privata del IV secolo era sempre fondata sullo scambio in moneta e che, in realtà il sistema monetario istituito da Diocleziano e stabilizzato da Costantino aveva tutti i requisiti per costituire un solido supporto alle strutture economiche e sociali del Tardo Impero. ''Contra'' Persson, che aveva interpretato le dinamiche economiche del IV secolo in termini della rioganizzazione di un'industria statale e la creazione di un sistema di economia dirigista che impediva la concorrenza (con la conseguente socializzazione dei prezzi di produzione e la relativa vittoria di un economia in natura) – modello in parte continuato dallo storico inglese [[:en:w:F. W. Walbank|F.W. Walbank]] in un libro di ispirazione marxista<ref>F.W. Walbank, ''The Decline of the Roman Empire in the West'', Londra, 1946, successivamente ripubblicato ed ampliato in ''The Awful Revolution. The Decline of the Roman Empire in the West'', Liverpool Univ. Press, 1969. Walbank, riguardo al sistema politico-amministrativo della Tarda Antichità, non esita ad usare, e giustamente, termini come "stato corporativo", "stato autoritario" (e nella prima ediz., persino "fascismo").</ref> – Mickwitz notò che non esisteva una documentazione sufficiente per comprovare un socialismo statale, una produzione di merce da parte delle fabbriche statali destinate al commercio privato; e che la base per gli scambi economici nell'economia privata del IV secolo era ancora fermamente radicata nel sistema monetario istituito da Costantino. In realtà, le dinamiche socioeconomiche del quarto secolo – e quelle del Tardo Impero – avrebbero dovuto essere analizzate in una chiave differente dalla dottrina perssoniana della vittoria del socialismo statale e la sparizione dell'impresa privata (e "la morte della coniatura" secondo l'economista [[w:Friedrich von Hayek|Hayek]]).<ref>Sul pensiero economico di Von Hayek, è sufficiente consultare i suoi scritti in ''Collectivist Economic Planning'', Londra, 1935.</ref> Mickwitz riprese e sviluppò in tutte le sue implicazioni la nota tesi di M. Weber, secondo cui la politica finanziaria del Tardo Impero "...con gli aumentati bisogni finanziari, assunse sempre più un carattere di economia in natura ed il fisco divenne un ''oikos'', che per le sue necessità si rivolse il meno possibile al mercato, rendendo difficile la formazione di patrimoni monetari con questo mezzo."<ref>M. Weber, ''Die soz. Gründe'', p. 304.</ref> Mickwitz, tuttavia, preferì sottlineare un contrasto basilare tra l'economia naturale, a cui erano legati lo stato e la burocrazia militare – secondo la dottrina weberiana che "il fisco è un ''oikos'' – e l'economia monetaria, possibilmente favorita in generale dai contribuenti. Iniziando dalla premessa di una continuità dell'economia monetaria con sostanziali tendenze inflazionistiche finanche nel IV secolo, e nel Tardo Impero generalmente, lo studioso finlandese credeva che i pagamenti in natura fossero vantaggiosi alla burocrazia e all'esercito, mentre i pagamenti in moneta inflazionata fossero indubbiamente più accettabili e vantaggiosi per i contribuenti. Pertanto, partendo dal famoso brano della ''Vita Claudii'' in ''HA'' già "scoperto" da Baynes,<ref>''HA'', ''Cl.'', XIV, 14 (nella famosa lettera di Valerianus a Zosimio ''proc. Siriae'', XIV, 2). Cfr. N.H. Baynes ''HA. Its Date and Its Purp.'' (e ''JRS'', 1929, pp. 229segg., anche in ''Byzantine Studies and Other Essays'', cit., pp. 307segg.). G. Mickwitz, ''Geld. u. Wirtschaft'', pp. 167-168; per una critica a Mickwitz, cfr. partic. S. Mazzarino, ''Aspetti sociali del IV secolo'', cit. pp. 57-71.</ref> egli interpretò i testi legislativi sulla ''aderatio'' veramente nel senso che la burocrazia e l'esercito richiedevano pagamenti in natura e quindi forzavano costantemente il contribuente a pagare le sue tasse in natura; mentre quest'ultimo di certo avrebbe voluto disperatamente scambiare in contanti, contanti svalutati, quelle tasse richieste dallo stato come servizi in natura. Pertanto, in tale attrito di classe tra burocrazia statale, che cercava di imporre un'economia naturale che la beneficiasse, e i ''collatores'' (specialmente i ''possessores''), generalmente favorevoli all'economia monetaria, si sarebbe sviluppata la dinamica socioeconomica del Tardo Impero. E nella vittoria dei contribuenti contro la burocrazia e l'esercito si riscontra la causa fondamentale, o perlomeno una delle cause fondamentali, della disintegrazione dell'organismo statale imperiale.<ref>G. Mickwitz, ''Geld. u. Wirtschaft'' cit., p. 191.</ref>
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