Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 6: differenze tra le versioni

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{{citazione|Quando tutti questi fondamenti (''ha-yesodot'') sono perfettamente compresi e creduti da una persona, egli entra nella comunità (''kelal'') di Israele ... Anche se commettesse ogni possibile trasgressione, a causa della lussuria e dell'essere sopraffatto dall'inclinazione al male, egli sarà punito secondo la sua ribellione, ma ha una porzione [del Mondo a venire]; è uno dei peccatori d'Israele (''mi-posh'ei yisra’el''). Ma se un uomo dubita di qualcuno di questi fondamenti, egli lascia la comunità (''yatsa min ha-kelal'') perché ha negato il fondamentale (''kafar b’iqqar'') ... È necessario odiarlo e distruggerlo.|''[[w:Pirush Hamishnayot|Commentario alla Mishnah]]'': Sanhedrin, cap. 10, intro., pp. 144-145<ref>Tradotta da Kellner, ''Maimonides on Judaism and the Jewish People'', 5-60. Inoltre si veda Menachem Kellner, ''Dogma in Medieval Jewish Thought'' (Oxford, 1986), 21 segg.</ref>}}
Come sottolinea lo studioso americano-israeliano [[w:Menachem Kellner|Menachem Kellner]] nel suo studio sulle opinioni di Maimonide riguardo all'identità ebraica: "That Maimonides took this theological answer to the question: ‘Who is a Jew?’ seriously is evidenced by the fact that he attaches to the acceptance of his principles the ''halakhic'' rights that Jews may demand of their fellows."<ref>''Maimonides on Judaism and the Jewish People'', 60.</ref>
 
Il rifiuto di Maimonide di includere gli apostati, che negano volontariamente, nella stessa categoria dei peccatori ordinari, che peccano più per appetito che per volontà, è illuminante.<ref>Cfr. TB Avodah Zarah 26b; Hullin 5a; ''[[Mishneh Torah]]'': Avodah Zarah, 10.1.</ref> Dovremmo confrontare questo punto di vista con il punto di vista di [[w:Rashi|Rashi]] e di altri halakhisti medievali, che è stato discusso nel Capitolo precedente. Poiché estendono la frase talmudica "anche se ha peccato, è sempre ebreo" (''af-al-pi she-hata yisra’el hu'') agli apostati. In altre parole, si rifiutano di riconoscere che ''qualsiasi'' ebreo può allontanarsi da Israele volontariamente — almeno in questo mondo. Il loro punto di vista, come abbiamo visto, sebbene non sia il significato letterale del brano talmudico che esso invoca, è comunque più vicino all'intero insegnamento rabbinico sull'identità ebraica di quello di Maimonide esemplificato dall'affermazione di cui sopra. Per Maimonide, ci si può allontanare da Israele anche in questo mondo e non solo nel Mondo a venire.
 
Tuttavia, va notato che anche Maimonide non può portare la sua visione di ciò che potremmo chiamare "ebraismo volitivo" alla sua piena conclusione logica. Perché se così fosse, dovrebbe ammettere che si può optare per un'altra religione ''piuttosto che'' per l'ebraismo ed essere effettivamente riconosciuto come un vero membro di quell’''altra'' comunità religiosa, per quanto tale apostasia non possa essere fatta impunemente. Per quanto ne so, Maimonide non trasse mai questa conclusione. Si può vedere l'apostata solo ''come se'' facesse parte di un'altra comunità religiosa, ma anche quel riconoscimento è ''fictio juris'', ed è limitato ad alcune aree in cui l'Halakhah assegna determinati diritti specifici agli ebrei dai loro correligionari ebrei.<ref>Cfr. ''[[Mishneh Torah]]'': Teshuvah, 3.14, dove ventiquattro tipi di peccatori (incluso gli apostati, ''ibid.'', 3.9) sono sempre considerati parte "di Israele" (''me-yisra’el'') e solo "come un gentile" (''ke-goy'' - ''ibid.'', 3.12); inoltre, cfr. Shehitah, 4.14; Hovel U-Mazeeq, 7.6.</ref> Tale opzione di cambiare la propria comunità religiosa è una cosa che egli è disposto a concedere solo ai gentili.<ref>Cfr. ''ibid.'', Melakhim, 8.7; 10.9.</ref> ​​L'onere della tendenza schiacciante della tradizione ebraica che non consente agli ebrei alcuna via d'uscita dall'ebraismo è semplicemente troppo onnipresente per essere interpretata diversamente, anche da uno brillante come Maimonide.
 
I presupposti dietro l'evitamento da parte di Maimonide di costituire la dottrina dell'elezione di per sé sono ancora più problematici oggi di quanto non lo fossero ai suoi tempi. Sono problematici teologicamente, filosoficamente e politicamente. Teologicamente, come abbiamo già visto, sono problematici in quanto si discostano dalla tendenza di tutta la tradizione, sia dalla Scrittura che dagli insegnamenti dei rabbini. Filosoficamente, sono problematici perché Maimonide vede la validità dell'ebraismo in quanto è la migliore combinazione di eccellenza intellettuale e pratica, una combinazione che è gerarchica: prima ''theoria'', poi ''praxis''. Tuttavia, come ho sostenuto altrove, questa ipotesi si basa su una visione del rapporto gerarchico tra metafisica ed etica che presuppone essa stessa un'irrimediabile scienza naturale aristotelica.<ref>Nella storia della filosofia, ci sono stati tre grandi tentativi di costituire questa relazione gerarchica di ''theoria'' e ''praxis'', cioè dove ''praxis'' è in definitiva per amore di ''theoria'': quelli di Platone, Aristotele e Spinoza. La costituzione di Aristotele è la più convincente e allo stesso tempo la più vulnerabile perché, a differenza delle altre due, cerca di derivare la meta-fisica dalla fisica. Quindi la metafisica ha un punto di riferimento palesemente oggettivo. Nel caso di Platone e Spinoza, il problema con le rispettive costituzioni di questa relazione è che possono essere facilmente liquidate come proiezioni fantasiose e soggettive di una realtà immaginata sull'universo esterno. (Anche l'affermazione di Spinoza di ragionare ''more geometrico'' si basa su un'analogia con la matematica, non su qualcosa di scientificamente dimostrabile.)</ref> L'eccellenza intellettuale (''aretē'') riguarda Dio, la cui esistenza è dimostrata da un fisica teleologica irrecuperabile. Senza questo fondamento, tuttavia, si perde la superiorità gerarchica della ''theoria'' sulla ''praxis'', e con ciò si perde anche la loro combinazione di lavoro. Quindi, se si vuole ancora una giustificazione razionalistica dell'ebraismo nel mondo moderno, è meglio argomentata da Hermann Cohen che da chiunque altro proprio perché la sua visione di Dio non è fondata su una scienza naturale così irrecuperabile. Ma, come abbiamo già visto, la stessa filosofia e teologia di Cohen comportano difficoltà per noi oggi altrettanto problematiche di quelle di Maimonide.
 
L'ultimo e, credo, il problema più serio per la visione dell'elezione sostenuta da Maimonide è politico. Ai tempi di Maimonide, tutte le società erano basate sulla religione. L'idea che si possa vivere filosoficamente senza fedeltà a una religione storica era solo una vera opzione per individui solitari, e anche questi individui solitari avrebbero dovuto nascondere attentamente le loro convinzioni individuali per rimanere parte delle società in cui anche loro avrebbero dovuto vivere.<ref>Cfr. Strauss, ''Persecution and the Art of Writing'', intro.</ref> Tuttavia, al tempo di Spinoza e dell'ascesa degli stati ''laici'', una tale doppia vita non era più l'unica opzione. Si poteva praticare l'eccellenza intellettuale della filosofia individualmente (e per Spinoza ciò implicava ancora una relazione con Dio) e l'eccellenza pratica socialmente, e nessuno dei due modi di vita richiede più fedeltà a ''una qualsiasi'' religione storica. Quindi la religione storica non è più la necessità politica che Maimonide pensava che fosse.
 
In questa realtà specificamente moderna di una vita politica secolare, Maimonide non ha davvero una giustificazione soddisfacente per il ruolo unico dell'ebraismo nel mondo. Cosa c'è ''adesso'' che sia ancora caratteristico dell'ebraismo e degli ebrei in questo mondo se rimaniamo con la teologia filosofica di Maimonide?
 
Nonostante la riverenza per lui che condivido praticamente con tutti gli altri ebrei tradizionali, non riesco a vedere come anche i suoi discepoli contemporanei più devoti possano trarre una risposta dalla sua teologia a questo problema moderno di primaria importanza. Gli ebrei ora hanno la reale possibilità di partecipare a società laiche anonime nella Diaspora, o di essere partecipanti alla propria società laica nello Stato di Israele. E sebbene si possa sostenere che una di queste due opzioni politiche è coerente con l'adesione alla religione ebraica storica, nessuna di esse (almeno nessuna finora) può effettivamente essere ''basata'' sulla religione ebraica storica. Nella migliore delle ipotesi, si può solo sostenere che un fondamento in una religione storica offre ''un approccio migliore'' alla questione della vita politica rispetto a un approccio puramente laico (e oggi un tale approccio laicista è inevitabilmente ateo, cosa che sicuramente non era il caso di Spinoza). Ma non si può sostenere che l'approccio religioso sia ''il'' miglior approccio ora disponibile, come Maimonide poteva ancora dire ai suoi tempi. Così, almeno allo stato attuale, i maimonidei non hanno una risposta soddisfacente agli spinozisti.<ref>Ai nostri giorni, il compianto [[w:Leo Strauss|Leo Strauss]], con la sua grande abilità filosofica, sostenne meglio di chiunque altro la plausibilità dell'opzione politica maimonidea. La sua argomentazione contro Spinoza e i suoi seguaci moderni era che le democrazie liberali, in cui riponevano tale speranza, non hanno la forza interiore per costituire una società virtuosa, né hanno la forza interiore per resistere alla trasformazione pubblica della filosofia in ideologia statalista. Strauss sembrava suggerire che una società basata su una legge rivelata potesse fornire una base migliore per l'eccellenza sia pratica (exoterica) che teorica (esoterica). A parte il fatto che non poteva suggerire come una tale società potesse mai essere recuperata nel mondo moderno, e a parte il fatto che non sviluppò un ''Gotteslehre'' (come fecero Maimonide e Spinoza) per costituire la ''vita contemplativa'', i suoi argomenti sono nel migliore dei casi plausibili solo per il beneficio politico di una rivelazione, ma non per qualcosa di singolarmente ebreo. (Questo probabilmente spiega l'attrazione di Strauss per un certo numero di conservatori politici e culturali di oggi.) Si veda la sua nuova introduzione alla traduzione inglese di E. M. Sinclair del suo libro del 1925, ''Spinoza's Critique of Religion'' (New York, 1965), e il suo libro del 1935, ''Philosophy and Law'', trad. {{en}} F. Baumann (Filadelfia, 1987), spec. 5 segg. Una risposta ebraica a Spinoza e ai suoi seguaci moderni deve, quindi, derivare da un recupero filosofico di fonti ebraiche più elementari, in cui incontriamo il Dio singolare di Israele, piuttosto che dalla teologia filosofica di Maimonide.</ref> Ma, come abbiamo visto all'inizio, il recupero filosofico dell'ebraismo stesso, e specialmente della dottrina dell'elezione di Israele, richiede una tale risposta. Abbiamo così chiuso il cerchio. Il nostro ritorno alle fonti deve essere più radicale di un punto fermo nel Medioevo.
 
== Note ==