Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 6: differenze tra le versioni

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Poiché la profezia ha cessato da tempo di manifestarsi in Israele, Ha-Levi deve basare le sue attuali affermazioni sull'ebraismo sulla tradizione dei profeti.<ref>''Ibid.'', 3.24.</ref> Quindi scrive:
{{citazione|Nessuno in nessun luogo può avvicinarsi a Dio, sia Egli esaltato, se non per mezzo dei comandamenti di Dio, sia Egli esaltato. E non c'è accesso (''mav’o'') alla conoscenza dei comandamenti di Dio se non attraverso la profezia (''be-derekh ha-nevu’ah''), ma non per mezzo (''at yedei'') di ragione o opinione ... Quegli uomini che attraverso la tradizione (''be-qabbalah'') ci hanno consegnato questi comandamenti non erano individui solitari ma erano, piuttosto, una grande assemblea, tutti grandi saggi, che la ricevettero dai profeti. Ma in assenza di profezia (''u-ve-he'ader ha-nevu’ah''), l'hanno ricevuta da coloro che portano la Torah... Dai giorni di Mosè la tradizione non è mai cessata in Israele.|''Kuzari'', 3.53, pp. 139-140}}
 
Se, però, in Israele non c'è più profezia immediata ma solo tradizione mediata, allora in che modo il popolo ebraico è diverso da qualsiasi altra comunità religiosa fondata sulla rivelazione, cioè in che modo è diverso dai cristiani e dai musulmani? Se tutto ciò che ci rimane sono le tradizioni della rivelazione profetica, allora il cristianesimo e l'islam non hanno forse tradizioni della rivelazione profetica coerenti quanto la tradizione degli ebrei? In altre parole, dov'è la dimostrabile superiorità dell'ebraismo su cristianesimo e islam? Anche l'argomentazione precedente che cristianesimo e islam basano le loro affermazioni su una precedente rivelazione ebraica non è molto conclusivo, in quanto sia il cristianesimo che l'islam affermano che le loro rispettive tradizioni sono più vicine all'essenza della profezia originale di quanto non lo sia la tradizione ebraica. Dal momento che gli ebrei fanno le stesse affermazioni per la propria tradizione, e tutto ciò che abbiamo sono tradizioni, non c'è quasi alcun modo per dimostrare quale tradizione sia vera o anche più vera delle altre. Solo una rivelazione immediata potrebbe risolvere questo problema, e come Ha-Levi ammette a proposito della sua epoca, citando la Scrittura stessa, "nessuna visione (''hazon'') è sorta" ({{passo biblico2|1Samuele|3:1}}).<ref>''Kuzari'', 3.1, p. 98.</ref> Solo una religione pagana come l'[[w:induismo|induismo]], senza un autorevole ''libro'' rivelato e quella che sembra (almeno a ebrei, cristiani e musulmani) una tradizione incoerente, risulta essere meno plausibile al confronto.<ref>Cfr. ''ibid.'', 1.61.</ref> Pertanto, il ''Kuzari'' ha solo mostrato realmente che le religioni basate sulla rivelazione e sulla tradizione, essendo forme di sapienza divina, sono superiori alla filosofia, che è una forma di saggezza umana, nel mettere in relazione gli uomini con Dio (la preoccupazione teorica) e gli uomini tra loro (la preoccupazione pratica). Perché, a differenza delle religioni pagane, queste religioni di rivelazione e tradizione incorporano tutti i veri punti di forza della filosofia e poi li trascendono. Tuttavia, Ha-Levi non ha dimostrato la superiorità dell'ebraismo, che è dopo tutto l'intento originario della sua opera teologica. Ha solo dimostrato la superiorità religiosa della religione rivelata di per sé sulla filosofia metafisica.<ref>Cfr. Strauss, ''Persecution and the Art of Writing'', 140-141.</ref> (E in un'epoca come la nostra, in cui la maggior parte dei filosofi ha da tempo perso interesse per la "questione di Dio", le argomentazioni di Ha-Levi hanno un suono in gran parte antiquario.)
 
Infine, riguardo alla questione della palesemente maggiore santità degli ebrei, Ha-Levi sa bene che ciò non può essere dimostrato; in effetti, è dubbio che possa essere creduto anche da chiunque tranne che da uno sciovinista, cosa che egli certamente non era. Inoltre, poiché la profezia ha cessato da tempo di funzionare, Ha-Levi vede il peso della religione gravare su coloro che collettivamente possono essere definiti "i santi" (''he-hasid''). Sono quelli che sono appena al di sotto del livello dei profeti, quelli che il Talmud descrive come in grado di udire "l'eco celeste" (''bat qol'').<ref>''Kuzari'', 3.11. Cfr. per es., TB Eruvin 1315 rif. ''bat qol''.</ref> Non solo sono i veri capi di Israele, ma in realtà Ha-Levi dice su di loro che sono esemplificati
{{citazione|...dall'uomo (''adam'') che afferma (''ha-modeh'') queste cose con completa apprensione (''hakarah gemurah''), egli è il vero (''amiti'') israelita. Ed è giusto che aspiri ad unirsi (''le-hitdabqut'') alla presenza divina. Lui solo (''rag'') è unito ai figli d'Israele come distinto dal (''mi-bein'') il resto delle nazioni.|''Kuzari'', 3.17, pp. 113-114}}
Tuttavia, il cristianesimo e l'islam non possono fare le stesse identiche affermazioni sui loro saggi e santi? E, a differenza dei filosofi, che secondo Halevi funzionano sempre come individui isolati, questi "santi" – siano essi ebrei, cristiani o musulmani rispettivamente – non formano comunità sacre, che fanno fisicamente parte del più ampio corpo religioso, ma a tutti gli effetti e scopi spiritualmente separati da esso?<ref>''Ibid.'', 3.1. Cfr. ''ibid.'', 4.3.</ref> Non è questo, dunque, il problema insormontabile del tentativo di Ha-Levi di conferire al popolo ebraico lo ''status'' di sostanza separata in senso ontologico?<ref>Per la metafisica neoplatonica che sembra essere alla base del sostanzialismo di Ha-Levi, cfr. Guttmann, ''Philosophies of Judaism'', 130.</ref>
 
=== Indifferenza di Maimonide alla distintività ===