Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 6: differenze tra le versioni

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Perché il tempo in questo senso è durata: quella in cui si verifica una sequenza di eventi. Così tutta l'esistenza è temporale.<ref>Penso che Maimonide si trovi in ​​un dilemma teologico quando afferma la dottrina della ''creatio ex nihilo'', insistendo contemporaneamente sul fatto che anche il tempo è "una cosa creata" (''mi-khlal ha-nivra’im'') in ''[[Guida dei perplessi]]'', 2.13, nella trad. {{en}} di S. Pines (Chicago, 1963; trad. {{Lingue|he}} di Samuel ibn Tibbon), 281. Qui segue la visione scientifica di Aristotele secondo cui "il tempo è conseguente al movimento" (''ibid.'') senza, tuttavia, seguire la conclusione metafisica di Aristotele dell'eternità del moto celeste, cioè "che esiste una certa materia che è eterna (''qadmon'') come è eterna la divinità; e che senza di essa Egli non esiste, né esiste senza di Lui" (''ibid.'', 283; cfr. ''Fisica'' 251b10 segg.). Si differenzia da Aristotele perché la concezione di Aristotele correla Dio e la materia in modo tale da compromettere l'assoluta trascendenza di Dio: "Poiché lo scopo di ogni seguace della Legge di Mosè e di Abramo nostro Padre o di coloro che seguono la via di questi due, è credere che non ci sia nulla di eterno in alcun modo esistente simultaneamente (''qadmon im Ha-Shem yitbarakh'')" (''ibid.'', 285). Ciononostante, se la creazione non è essa stessa un atto/evento temporale perché il tempo è totalmente correlato allo spazio e quindi esso stesso qualcosa di creato come lo è lo spazio, allora in che modo la trascendenza di Dio dalla sua creazione è qualcosa di più che una priorità logica (che di per sé non può essere considerata libera) piuttosto che una vera priorità (cfr. ''Guida'', 2.30)? Cos'altro potrebbe essere, secondo Maimonide, il non essere né spaziale né temporale? Cfr. R. Isaac Abrabanel, ''Rosh Amanah'', cap. 16, che intuisce il problema ma che, tuttavia, rifiuta di criticare direttamente Maimonide.</ref> Anche la creazione stessa può essere considerata un evento nella vita di Dio — anche se ovviamente non nella vita dell'uomo, perché è l'esperienza preistorica di Dio.<ref>Si noti Kant, ''Critique of Pure Reason'', B50, trad. {{en}} N. Kemp Smith (New York, 1929): "Time is nothing but the form of inner sense, that is, of the intuition of ourselves and of our inner state" (p. 77).</ref> Lo spazio, invece, è esterno in quanto può essere costituito come qualcosa di separato dal soggetto esperiente.<ref>Cfr. ''ibid.'', A27: "we can indeed say that space comprehends all things that appear to us as external, but not all things in themselves, by whatever subject they are intuited, or whether they are intuited or not" (p.72).</ref> Quindi tutta l'esistenza non può essere confinata nello spazio.<ref>Il detto rabbinico: "Egli è il luogo del suo mondo (''meqom olamo''), ma il mondo non è il suo luogo (''meqomo'')" (''Bere’sheet Rabbah'' 68.9 rif. {{passo biblico2|Genesi|28:11}}, cur. Theodor-Albeck, 777-778 e si veda la relativa nota) sta certamente usando il termine spaziale "luogo" come metafora. Si tratta essenzialmente di affermare la priorità assoluta di Dio sul mondo: il mondo ha bisogno di essere in relazione con Dio, ma Dio non ha bisogno di essere in relazione con il mondo. Pertanto, Dio localizza il suo mondo ogniqualvolta lo voglia o lo desideri, ma non si trova mai in quel mondo. Cfr. {{passo biblico2|1Re|8:27-30}}; {{passo biblico2|2Cronache|2:4-5}}.</ref> Questo si manifesta con il pensiero, che quando è creativo non è ''localizzato'' ma ''localizzante''.<ref>C'è un perenne dibattito filosofico sul fatto che il pensiero sia anteriore al linguaggio o il linguaggio al pensiero. Nel caso dell'uomo, la Scrittura insegna che il linguaggio è anteriore al pensiero. Gli esseri umani non raggiungono il livello del pensiero finché non vengono apostrafati ''in situ'': "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose (va-yannihehu) nel giardino di Eden ... Il Signore Dio comandò l'uomo dicendo (''l’emor'')" ({{passo biblico2|Genesi|2:15-16}} — cfr. in merito ''Targumim''; inoltre, {{passo biblico2|Genesi|3:9;22:1}}; {{passo biblico2|Es|3:4}}; {{passo biblico2|1Samuele|3:4}}; {{passo biblico2|Isaia|6:5}}). I linguaggi "naturali" emergono da luoghi particolari e non li trascendono mai del tutto. Le lingue "artificiali" sono solo astrazioni dalle lingue naturali e non sono in alcun modo "trascendentali" (cfr. [[w:Ludwig Wittgenstein|Ludwig Wittgenstein]], ''Philosophical Investigations'', 2a ed., 1.18, trad. {{en}} G.E.M. Anscombe [New York, 1958], 8). Ma nel caso di Dio, al contrario, poiché la Scrittura insegna che Egli è prima dello spazio (quindi di ogni luogo), i suoi pensieri precedono le sue espressioni creative (cfr. {{passo biblico2|Is|55:8}}) "Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell'alto dei cieli. Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere. Lodatelo, sole e luna, lodatelo, voi tutte, fulgide stelle. Lodatelo, cieli dei cieli, voi acque al di sopra dei cieli. Lodino tutti il nome del Signore, perché egli disse e furono creati. Li ha stabiliti per sempre (''l’ad l’olam''), ha posto una legge (''hoq'') che non passa" ({{passo biblico2|Salmi|148:4-5}}; cfr. {{passo biblico2|Salmi|33:9}}).</ref>
 
Inoltre, come ho già notato, il tempo illimitato di Dio non è la stessa cosa dell'"Essere Eterno", poiché tale idea è stata costituita dai filosofi dal tempo in cui la filosofia è sorta in Grecia.<ref>Si veda l'[[Israele – La scelta di un popolo/Appendice 3|Appendice 3]] di seguito.</ref> Nell'ebraismo biblico-rabbinico, non fa senso parlare di eternità. Anche Dio non è eterno ma, piuttosto, "perenne". Un Dio "eterno", nel senso filosofico classico di Essere immutabile e quindi insensibile, ha poca o nessuna somiglianza con il Dio creatore che si associa ad Abramo, Isacco e Giacobbe e alla loro progenie, che, nell'indimenticabile caratterizzazione del mio compianto venerato maestro [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Joshua Heschel]], è un "Dio del [[w:pathos|pathos]]".<ref>Cfr. ''The Prophets'' (Philadelphia, 1962), 221 segg.</ref>
 
Tuttavia, c'è un filone della teologia rabbinica da cui sembra si possa dedurre il contrario, cioè sembra suggerire che l'elezione di Israele comporti l'idea dell'eternità. Anche se in primo luogo discuterò contro tale inferenza, in questo Capitolo poi mostrerò come l'idea greca di eternità abbia influenzato le teorie dell'elezione di Israele proposte da due dei più importanti teologi filosofici ebrei nel Medioevo: [[w:Yehuda Ha-Levi|Yehuda Ha-Levi]]<ref>La grafia di questo nome è spesso variata, a seconda dei sistemi linguistici adottati: '''Yehuda Ben Šmu’el Ha-Levi''' (יהודה בן שמואל הלוי), '''Yehuda Ha-Levi, Yehuda Halevi, Judah Halevi''' (יהודה הלוי), e in italiano '''Giuda Levita''' — mi scuso se nel testo a volte li alterno.</ref> e [[Mosè Maimonide]]. Sosterrò infine che le loro rispettive opinioni comportano seri problemi sia teologici che filosofici, specialmente per gli ebrei che tentano di recuperare l'antica dottrina in questo frangente della nostra storia.
 
Il defunto studioso rabbinico israeliano [[:en:w:Ephraim Urbach|Ephraim Urbach]] acutamente individuò due diverse visioni rabbiniche dell'elezione di Israele. Il primo punto di vista lo chiamò "cosmico-eterno (''nitsheet'')" definendolo come uno che insegna che "l'elezione di Israele fu concepita insieme alla creazione del mondo", rendendolo così "qualcosa di assoluto (''le-muhletet'') e non contingente su qualsiasi clausola (''be-tena’im'') di sorta." Il secondo punto di vista lo chiamò "storico-relativo (''yahaseet'')" definendolo come quello che insegna che l'elezione è "collegata a stipulazioni e condizioni (''u-ve-nesivot''), e in cui il popolo svolge un ruolo attivo in cui è anche l'elettore (''ha-boher'')."<ref>''Hazal'' (Gerusalemme, 1971), 468-469. Cfr. anche Solomon Schechter, ''Some Aspects of Rabbinic Theology'' (New York, 1936), 59-60.</ref> Questo secondo punto di vista, rispetto al primo indubbiamente costituisce un precedente molto più forte per la comprensione della visione rabbinica dell'elezione e delle sue conseguenze pratiche, come stata proposta nel Capitolo precedente. Ma che dire del primo punto? È uno da cui l'argomentazione teologica finora proposta in questo libro deve voltare le spalle? Oppure, è uno che non implica davvero un'ontologia dell'eternità come sembrano pensare alcuni studiosi?
 
[[File:Akiva.png|240px|thumb|right|Rappresentazione di Rabbi Akiva sull’''[[w:Haggadah|Haggadah]]'' di [[w:Mantova|Mantova]] (1568)]]
La visione cosmica-eterna dell'elezione di Israele è attribuita da Urbach all'insegnamento del saggio [[w:Rabbi Akiva|Rabbi Akiva]] del II secolo e.v. Egli vede il ''locus classicus'' di questo insegnamento nel famoso detto di R. Akiva: "Amato è Israele che sono chiamati figli di Dio ... Amato è Israele perché il vaso attraverso il quale è stato creato il mondo fu dato loro".<ref>M. Avot 3.14. "Israele" è usato come plurale, ad includere appunto tutti i "figli di Dio".</ref> Ciò esprime il punto di vista, a sua volta coi precedenti nella prima teologia ebraica ellenistica, che sia Israele che la Torah sono entità primordiali.<ref>Cfr. Urbach, ''Hazal'', 469, citando IV Esdra 6:56-59. Per la questione della preesistenza in generale e della Torah in particolare, si veda H. A. Wolfson, ''Philo'' (2 voll., Cambridge, Mass., 1947), 1:182 segg.; anche, Louis Ginzberg, ''The Legends of the Jews'' (7 voll., Philadelphia, 1909-1938), 6:30, n. 177.</ref> Da questo tipo di affermazione, è facile dedurre, per chiunque abbia studiato filosofia classica, che Israele e la Torah sono essenzialmente eterne e non temporali in verità.
 
Questa inferenza, tuttavia, comporta seri problemi teologici e filosofici. Cosa fare con i numerosi passi della Torah, sia narrativi che legali, che sono chiaramente storici? E cosa fare con l'ovvia contraddizione tra eternità e libera scelta?<ref>Per il problema teologico, cfr. [[Maimonide]], ''[[Mishneh Torah]]'': Teshuvah, 5.5. Cfr. R. Hayyim ibn Attar, ''Or Ha-Hayyim'' su {{passo biblico2|Genesi|6:5}}.</ref> Praticamente tutte le narrazioni e comandamenti della Torah non presuppongono che ci sia una responsabilità umana? Ma può esistere responsabilità umana senza libera scelta, che, come abbiamo appena visto, presuppone essa stessa la temporalità?
 
Ciononostante, c'è una possibile soluzione a questi problemi, problemi che sono assai centrali per il recupero filosofico della dottrina dell'elezione, e questa soluzione può essere derivata dalla stessa tradizione rabbinica senza l'aggiunta di presupposti metafisici che sembrano incoerenti con la dottrina biblica-rabbinica.
 
La soluzione deriva dall'apprezzamento della nozione rabbinica di retroattività (''bereira''). In questa nozione, qualcosa che è stipulato in un certo momento dopo che è stato successivamente realizzato, è considerato tale in anticipo. In altre parole, è retroattivamente proiettato nel passato ''come se'' fosse ''sempre'' stato così.<ref>Cfr. ''Encyclopedia Talmudit'' (22 voll., Gerusalemme, 1946-1993), 4:217ff.</ref> Il ''locus classicus'' di questa nozione si trova in questo passaggio della [[w:Mishnah|Mishnah]] circa il modo in cui si può stipulare il domicilio limitato che si deve stabilire prima dello Shabbat per lo Shabbat che sta arrivando. "Si può stipulare (''matneh'') il suo domicilio sabbatico (''eruvo'') e dichiarare ... se un saggio è venuto a oriente, il mio domicilio sabbatico sia a oriente; se da occidente, che sia a occidente."<ref>M. Eruvin 3.5.</ref> Poiché si può camminare solo all'interno dei recinti (= circoscrizioni) di una città e in un raggio circostante di duemila cubiti (''tehum''), e si può avere solo un vero domicilio, senza questa clausola si potrebbe non essere in grado di camminare abbastanza per andar a sentire un particolare saggio predicare lo Shabbat in arrivo.<ref>Cfr. TB Eruvin 51a rif. {{passo biblico2|Esodo|16:29}}.</ref> Quindi, se uno stabilisce il suo possibile domicilio sia a duemila cubiti a est della città sia parimenti a duemila cubiti a ovest della città, può allora scegliere qual è il suo vero domicilio quando lo scopre proprio in quello stesso Shabbat dove il saggio che vuole udire sta in realtà predicando. Dopo aver fatto questa scoperta, è come se in origine avesse fatto da solo questa stipulazione desiderata, ed è come se non avesse mai fatto la stipulazione indesiderata. Chiaro? Che il lettore non si preoccupi: il ragionamento diventa chiaro rileggendo i riferimenti citati.
 
=== Volontà e scelta in Ha-Levi ===