Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 4: differenze tra le versioni

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Quella luce sarà universalmente irresistibile nel futuro. Nel presente, la luce incompleta di Dio su Israele è in grado di attrarre solo individui casuali.<ref>Cfr. Zevahim 116a rif. {{passo biblico2|Esodo|18:1}} (l'opinione di R. Eleazar Ha-Moda’i); TG Berakhot 2.8/5b rif. {{passo biblico2|Cantico|6:2}}; anche, B. J. Bamberger, ''Proselytism in the Talmudic Period'' (New York, 1968), specialm. 174 segg. Cfr. TB Kiddushin 31a rif. {{passo biblico2|Salmi|138:4}}.</ref>
 
L'affermazione di questo futuro veramente trascendente che l'escatologia apocalittica comporta, realizza due cose importanti per il popolo ebraico qui e ora. In primo luogo, ci permette di vedere tutte le nostre decisioni normative come provvisorie, che l'interpretazione umana della Torah è solo finché sussiste questo mondo attuale non redento. Ciò emerge dal ruolo che il profeta [[w:Elia|Elia]], l'araldo del Messia, svolge nello stesso sistema halakhico. Le decisioni veramente difficili, quelle basate su una conoscenza incompleta, potrebbero benissimo essere tutte ribaltate dal giudizio escatologico di Elia.<ref>Cfr. M. Eduyot 8.7; Menahot 45a; Bemidbar Rabbah 3.13. Anche il famoso testo in TB Baba Metsia 59b rif. Deut. 30:12, dove la corte celeste segue la corte terrena, si riferisce solo al tempo premessianico. Inoltre, con rif. all'incertezza del giudizio umano qui e ora, cfr. TG Sanhedrin 1.1/18a e R. Moses Margolis, ''Penei Mosheh, s.v.'' "ve’atiyya", che cita Sanhedrin 6b rif. 1 Cronache 19:6. Cfr. Hullin 5a e ''Tos., s.v.'' "al-pi ha-dibbur" come interpretato da R. Zvi Hirsch Chajes, ''Hidduskei Maharats Chajes'' per un'opinione più conservatrice del ruolo halakhico di Elia; anche il suo ''Torat Ha-Neviim'', cap. 2: "Beirur Eliyahu", in ''Kol Kitvei Maharats Chajes'' (2 voll., B'nai B'rak, 1958), 1:17 segg.</ref> Ci ricorda ancora una volta che la redenzione, come la creazione e la rivelazione prima di essa, è l'atto della "giustiziadigiustizia di Dio che si manifesta" (''ve-tsidqati le-higgalot'') ({{passo biblico2|Isaia|56:1}}). Israele deve "fare il bene" (''va’asu tsedaqah'') a imitazione della giustizia di Dio, ma esso stesso non ha giustizia di fronte a Dio. "A te appartiene la giustizia, o Signore, a noi la vergogna sul volto (''bosket panim'')" ({{passo biblico2|Daniele|9:7}}). Come Abramo prima di lui, Israele non è giusto perché ha fede; piuttosto, "egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia (''lo tsedaqah'')" ({{passo biblico2|Genesi|15:6}}).<ref>Secondo Nahmanide, ''Commentario alla Torah'': Gen. 15:6. Per le fonti che seguono Nahmanide e le numerose fonti che, al contrario, qui interpretano ''tsedaqah'' come merito (''zekhut'') di Abramo per aver avuto fede nella promessa di Dio, cfr. Novak, ''The Theology of Nahmanides'', 42.</ref> E quando si tratta di ciò che Dio farà effettivamente in futuro, "Maimai prima nel tempo del mondo (''u-meolam'') mai si era udito, mai orecchio aveva sentito dire, mai occhio aveva visto che un altro Dio, all'infuori di Te, agisse in favore di chi confida in lui.|" ({{passo biblico2|Isaia|64:3}}).<ref>Seguendo TB Berakhot 34b.</ref>}}
 
In secondo luogo, questa affermazione fornisce una ragione teologica, e non solo storica, del perché gli ebrei non fanno proselitismo da molti secoli e perché pochissimi di noi vedono la necessità di farlo a questo punto della storia, anche quando è politicamente possibile in ogni luogo dove ora si trovano ebrei. La ragione è che il proselitismo è una forma suprema di orgoglio umano, e qualcosa che il più delle volte nella storia umana è andato di pari passo con la conquista e il dominio degli altri. In un modo o nell'altro, implica che abbiamo tutta la verità, che siamo già stati redenti e che non vogliamo che nulla al mondo contraddica ciò di cui siamo così orgogliosi. Ma a Israele Dio dichiarò "Voi siete i Miei testimoni ... che io Mi sono scelto perché Mi conosciate e crediate in Me
e comprendiate che sono Io. Prima di me nulla fu formato né dopo nulla ci sarà" {{passo biblico2|Isaia|43:10}}). Tale testimonianza è prima di tutto per noi stessi.<ref>Un buon esempio di ciò è la legge relativa all'esposizione delle luci di [[w:Chanukkah|Chanukkah]]. In condizioni ottimali, devono essere mostrate al mondo esterno per proclamare il miracolo (''parsumei nisa''). Tuttavia, in condizioni non ottimali, quando il mondo non solo è disinteressato alla nostra proclamazione ebraica ma ad essa ostile, è sufficiente esporli all'interno della propria casa ai soli membri della propria famiglia. Cfr. TB Shabbat 21b e Rashi, ''s.v.'' "mi-ba-huts" e ''Tos.'', ''s.v.'' "d'i"; R. Joel Sirkes, ''Bach'' on ''Tur'': Orah Hayyim'', 671, ''s.v.'' "u-ve-sh'at ha-sakkanah".</ref> La testimonianza dei testimoni deve prima di tutto essere autoconsistente.<ref>Cfr. M. Sanhedrin 5.1 segg.</ref>
Significa che dobbiamo renderci conto positivamente che, se la presenza di Dio non fosse stata con noi, saremmo morti come popolo. La nostra unica vita autentica, collettivamente e individualmente, è quando testimoniamo la nostra elezione a noi stessi. Come disse Mosè a Dio: "Se la Tua presenza non viene con noi, non farci partire da questo deserto" ({{passo biblico2|Esodo|33:15}}). Tuttavia, ora la nostra testimonianza alle nazioni del mondo non è positiva ma negativa. È per ricordare loro con la nostra vita molto vulnerabile e incompleta che Dio non è presente nel mondo, che la redenzione non è da aspettarsi secondo criteri umani, che la redenzione arriverà solo quando Dio deciderà con i Suoi stessi misteriosi criteri che è il momento giusto per noi e per loro insieme a noi. E quindi la nostra testimonianza è smentire coloro che dicono che il mondo è redento e insistere affinché il mondo aspetti con Israele il suo redentore. "Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si ergerà sulla polvere!" ({{passo biblico2|Gb|19:25}}).<ref>Seguendo Robert Gordis, ''The Book of God and Man'' (Chicago, 1965), 264.</ref>
 
{{Immagine grande|El nombre de Dios adorado por los angeles.jpg|840px|''La Gloria, o Adorazione del Nome di Dio'', di [[w:Francisco Goya|Francisco Goya]] (1772)}}
Con questa base nella Scrittura ora in una visione più chiara davanti a noi, possiamo procedere ad esaminare come l'immaginazione e la ragione dei rabbini abbiano elaborato la dottrina ebraica centrale dell'elezione di Israele da parte di Dio.