Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 4: differenze tra le versioni

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Infine, per quanto riguarda il rapporto di Israele con le nazioni del mondo, c'è una differenza cruciale tra l'escatologia ebraica "estensiva" e quella "apocalittica". Ciò emerge nell'interpretazione del seguente passo biblico:
{{citazione| Così dice il Signore Dio che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alla gente che la abita e l'alito a quanti camminano su di essa: "Io, il Signore nella mia grazia (''ve-tsedeq''), ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo (''le-vrit am'') e luce delle nazioni (''or goyyim''), perché tu apra (lifqoah) gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre.|{{passo biblico2|Isaia|42:5-7}}}}
L'ampia visione dell'escatologia di solito legge la frase "luce delle nazioni" (''or goyyim'') come se fosse scritta "luce per le nazioni" (''or la-goyyim''), e la frase "apra gli occhi ciechi" (''lifqoah aynayim ivrot'') per significare ciò che Israele, come luce delle nazioni, deve fare qui e ora per amore della redenzione.<ref>Cfr. T. Sotah 8.6 e TB Sotah 35b rif. {{passo biblico2|Dt|27:8}}.</ref> In questa prospettiva, la vocazione di Israele, o almeno una parte della vocazione di Israele, ''è quella di essere'' "una luce per le nazioni". Israele ha una missione.<ref>Per una discussione di questa idea, specialmente tra ebrei liberali, cfr. Novak, ''Jewish Social Ethics'', 225 segg. Per il suo uso da parte di cristiani liberali, cfr. Rowley, ''The Biblical Doctrine of Election'', 59 segg.; 93, 164, che sostiene il punto di vista supercessionista secondo cui Israele non ha compiuto la sua missione.</ref> E in un modo o nell'altro, quando si segue la logica di questo punto di vista, c'è un certo senso di imperativo di proselitismo. Sia che il proselitismo avvenga attraverso il monoteismo del cristianesimo e dell'Islam come credeva [[Maimonide]], o attraverso il solo cristianesimo come credeva Rosenzweig, o attraverso un monoteismo etico universalista come credeva Cohen, l'implicazione è che è compito di Israele essere il primo veicolo per la rivelazione, che poi verrà portata a tutte le nazioni. In alcune versioni della visione estensiva, l'implicazione sembra essere che Israele dominerà le nazioni del mondo sia politicamente che spiritualmente.<ref>Cfr. per es., ''Bere’sheet Rabbah'' 44.23 rif. {{passo biblico2|Genesi|15:19-21}}; R. Saadia Gaon, ''Emunot Ve-De’ot'', 8.6.</ref> In quelle che penso siano versioni filosoficamente più sensibili da questo punto di vista, sarà la persuasione o l'ispirazione, non la forza, che alla fine riconcilia Israele e il mondo sotto Dio.<ref>Così Maimonide sottolinea la persuasione teologica che gli ebrei devono esercitare sui gentili per il bene del futuro messianico. Cfr. inoltre la ''[[Serie maimonidea]]''. Per la discussione delle varie visioni dello ''status'' e del ruolo dei gentili nell'era messianica, vedere Menachem Kellner, ''Maimonides on Judaism and the Jewish People'' (Albany, N.Y., 1991), 33 segg.
</ref>
 
Naturalmente, il suggerimento che ci sia un programma di proselitismo nell'ebraismo colpirà la maggior parte dei non-ebrei e ancor più gli ebrei come bizzarro. Non corrisponde affatto all'esperienza degli ebrei e dell'ebraismo da parte di estranei o degli stessi ebrei. Tuttavia, nonostante la sua assenza da anni di storia ebraica, non è un'impossibilità nell'ebraismo normativo.<ref>Pertanto, il divieto di insegnare la Torah ai gentili (TB Sanhedrin 59a; B. Avodah Zarah 3a) non si applicherebbe se fatto allo scopo di preparare un candidato alla conversione all'ebraismo (cfr. TB Yevamot 47a). L'entità di tale preparazione e quando può effettivamente iniziare sono certamente soggette a una latitudine interpretativa.</ref> In effetti, la sua assenza potrebbe benissimo essere dovuta al fatto che l'ebraismo ha perso la lotta per i proseliti pagani con il cristianesimo (e l'Islam) e perché gli interessi dell'immediata sopravvivenza dell'ebraismo di fronte al severo divieto di proselitismo da parte della Chiesa costrinse gli ebrei ad abbandonare quella che nei primi secoli dell'[[w:Era volgare|era volgare]] era già un'attività pericolosa.<ref>Cfr. B. Blumenkranz, ''Juifs et chrétiens dans le monde occidental'' (Parigi, 1960), 320.</ref> Tuttavia, non vi è alcun effettivo divieto halakhico contro di esso, cosa di cui Maimonide in particolare sapeva bene nel suo apparente suggerimento di un ruolo proselitario per gli ebrei. L'imperativo di fare proselitismo, quando possibile, era quello che egli includeva nel comandamento generale di "santificare il nome di Dio" (''kiddush ha-shem'').<ref>''Sefer Ha-Mitsvot'', pos. no. 9. Tuttavia, la pratica ebraica più consueta era quella di distinguere tra l'accettazione dei convertiti (''meqabtei gerim'') e il proselitismo attivo di per sé (''mas’in otan le-hitgayyer''). Cfr. per es., TB Yevamot 109b e ''Tos., s.v.'' "ra'ah".</ref> Sebbene non ci fosse praticamente nessuno dopo di lui che lo seguisse nel constatare un tale imperativo halakhico (Cohen e Rosenzweig lo fecero teologicamente piuttosto che in termini halakhici formali), non c'è, tuttavia, alcun argomento halakhico convincente che si possa sollevare contro di esso.
 
[[File:Second Temple.jpg|thumb|240px|right|Modello del [[w:Secondo tempio di Gerusalemme|Secondo Tempio di Gerusalemme]]]]
Sebbene non vi sia alcun argomento halakhico che possa essere sollevato contro il programma di proselitismo implicito nella visione estensiva dell'escatologia, c'è comunque un argomento teologico contro di esso. E tale argomento teologico è, credo, implicito nella visione apocalittica dell'escatologia. Ciò può essere visto meglio se torniamo ai versetti di Isaia 42:5-7 che abbiamo esaminato sopra. Perché lì non è che Israele stesso debba essere una luce per le nazioni. In effetti, nel Talmud ''kiddush ha-shem'' (e, in particolare, nel suo antonimo ''hillul ha-shem'' – "profanare il nome di Dio") significa più modestamente che gli ebrei non devono comportarsi in un modo che getterebbe diffamazioni morali sulla Torah.<ref>Cfr. per es., TB Baba Kama 113b; TG Baba Metsia 2.5/8C; anche, Novak, ''The Image of the Non-Jew in Judaism'', 90 segg.</ref> Invece, è ciò che Dio ''farà per'' Israele in futuro che impressionerà a tal punto i gentili che saranno attirati dall'opera di Dio al [[w:Tempio di Gerusalemme|Tempio di Gerusalemme]], che sarà poi "una casa di preghiera per tutti i popoli" ({{passo biblico2|Isaia|56:7}}). Un'interpretazione molto plausibile di questo versetto è che predice conversioni di massa all'ebraismo alla Fine dei giorni.<ref>Si veda il relativo commento di R. David Kimhi (Radaq). Per precedenti rabbinici, cfr. TB Avodah Zarah 24a rif. {{passo biblico2|Isaia|60:7}} e {{passo biblico2|Sofonia|3:9}}; inoltre, R. Nissim Gerondi, ''Derashot'', no. 7, cur. Feldman, 120-121. Cfr. TB Yevamot 24b, dove si afferma che "i convertiti non saranno accettati nell'Era Messianica". Tuttavia, è importante notare che Maimonide non codifica questa sentenza nella ''[[Mishneh Torah]]''.</ref> Tuttavia non è la luce di Israele, ma la luce di Dio su Israele che sarà parte integrante della sua redenzione. Non è compito di Israele portare la sua luce alle nazioni ma, piuttosto, che Dio le porterà alla sua luce che risplenderà su Israele come un faro:
{{citazione|Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te.|{{passo biblico2|Isaia 60:1-4}}<ref>Cfr. Ahad Ha’Am, "Shinui He'Arakhin", in ''Kol Kitvei Ahad Ha Am'', II ediz. (Gerusalemme, 1949), 156-157.</ref>}}
Quella luce sarà universalmente irresistibile nel futuro. Nel presente, la luce incompleta di Dio su Israele è in grado di attrarre solo individui casuali.<ref>Cfr. Zevahim 116a rif. {{passo biblico2|Esodo|18:1}} (l'opinione di R. Eleazar Ha-Moda’i); TG Berakhot 2.8/5b rif. {{passo biblico2|Cantico|6:2}}; anche, B. J. Bamberger, ''Proselytism in the Talmudic Period'' (New York, 1968), specialm. 174 segg. Cfr. TB Kiddushin 31a rif. {{passo biblico2|Salmi|138:4}}.</ref>
 
L'affermazione di questo futuro veramente trascendente che l'escatologia apocalittica comporta, realizza due cose importanti per il popolo ebraico qui e ora. In primo luogo, ci permette di vedere tutte le nostre decisioni normative come provvisorie, che l'interpretazione umana della Torah è solo finché sussiste questo mondo attuale non redento. Ciò emerge dal ruolo che il profeta [[w:Elia|Elia]], l'araldo del Messia, svolge nello stesso sistema halakhico. Le decisioni veramente difficili, quelle basate su una conoscenza incompleta, potrebbero benissimo essere tutte ribaltate dal giudizio escatologico di Elia.<ref>Cfr. M. Eduyot 8.7; Menahot 45a; Bemidbar Rabbah 3.13. Anche il famoso testo in TB Baba Metsia 59b rif. Deut. 30:12, dove la corte celeste segue la corte terrena, si riferisce solo al tempo premessianico. Inoltre, con rif. all'incertezza del giudizio umano qui e ora, cfr. TG Sanhedrin 1.1/18a e R. Moses Margolis, ''Penei Mosheh, s.v.'' "ve’atiyya", che cita Sanhedrin 6b rif. 1 Cronache 19:6. Cfr. Hullin 5a e ''Tos., s.v.'' "al-pi ha-dibbur" come interpretato da R. Zvi Hirsch Chajes, ''Hidduskei Maharats Chajes'' per un'opinione più conservatrice del ruolo halakhico di Elia; anche il suo ''Torat Ha-Neviim'', cap. 2: "Beirur Eliyahu", in ''Kol Kitvei Maharats Chajes'' (2 voll., B'nai B'rak, 1958), 1:17 segg.</ref> Ci ricorda ancora una volta che la redenzione, come la creazione e la rivelazione prima di essa, è l'atto della "giustiziadi Dio che si manifesta" (''ve-tsidqati le-higgalot'') ({{passo biblico2|Isaia|56:1}}). Israele deve "fare il bene" (''va’asu tsedaqah'') a imitazione della giustizia di Dio, ma esso stesso non ha giustizia di fronte a Dio. "A te appartiene la giustizia, o Signore, a noi la vergogna sul volto (''bosket panim'')" ({{passo biblico2|Daniele|9:7}}). Come Abramo prima di lui, Israele non è giusto perché ha fede; piuttosto, "egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia (''lo tsedaqah'')" ({{passo biblico2|Genesi|15:6}}).<ref>Secondo Nahmanide, ''Commentario alla Torah'': Gen. 15:6. Per le fonti che seguono Nahmanide e le numerose fonti che, al contrario, qui interpretano ''tsedaqah'' come merito (''zekhut'') di Abramo per aver avuto fede nella promessa di Dio, cfr. Novak, ''The Theology of Nahmanides'', 42.</ref> E quando si tratta di ciò che Dio farà effettivamente in futuro, "Mai prima nel tempo del mondo (''u-meolam'') mai si era udito, mai orecchio aveva sentito dire, mai occhio aveva visto che un altro Dio, all'infuori di Te, agisse in favore di chi confida in lui.|{{passo biblico2|Isaia|64:3}}<ref>Seguendo TB Berakhot 34b.</ref>}}
In secondo luogo, questa affermazione fornisce una ragione teologica, e non solo storica, del perché gli ebrei non fanno proselitismo da molti secoli e perché pochissimi di noi vedono la necessità di farlo a questo punto della storia, anche quando è politicamente possibile in ogni luogo dove ora si trovano ebrei. La ragione è che il proselitismo è una forma suprema di orgoglio umano, e qualcosa che il più delle volte nella storia umana è andato di pari passo con la conquista e il dominio degli altri. In un modo o nell'altro, implica che abbiamo tutta la verità, che siamo già stati redenti e che non vogliamo che nulla al mondo contraddica ciò di cui siamo così orgogliosi. Ma a Israele Dio dichiarò "Voi siete i Miei testimoni ... che io Mi sono scelto perché Mi conosciate e crediate in Me
e comprendiate che sono Io. Prima di me nulla fu formato né dopo nulla ci sarà" {{passo biblico2|Isaia|43:10}}). Tale testimonianza è prima di tutto per noi stessi.<ref>Un buon esempio di ciò è la legge relativa all'esposizione delle luci di [[w:Chanukkah|Chanukkah]]. In condizioni ottimali, devono essere mostrate al mondo esterno per proclamare il miracolo (''parsumei nisa''). Tuttavia, in condizioni non ottimali, quando il mondo non solo è disinteressato alla nostra proclamazione ebraica ma ad essa ostile, è sufficiente esporli all'interno della propria casa ai soli membri della propria famiglia. Cfr. TB Shabbat 21b e Rashi, ''s.v.'' "mi-ba-huts" e ''Tos.'', ''s.v.'' "d'i"; R. Joel Sirkes, ''Bach'' on ''Tur'': Orah Hayyim'', 671, ''s.v.'' "u-ve-sh'at ha-sakkanah".</ref> La testimonianza dei testimoni deve prima di tutto essere autoconsistente.<ref>Cfr. M. Sanhedrin 5.1 segg.</ref>
Significa che dobbiamo renderci conto positivamente che, se la presenza di Dio non fosse stata con noi, saremmo morti come popolo. La nostra unica vita autentica, collettivamente e individualmente, è quando testimoniamo la nostra elezione a noi stessi. Come disse Mosè a Dio: "Se la Tua presenza non viene con noi, non farci partire da questo deserto" ({{passo biblico2|Esodo|33:15}}). Tuttavia, ora la nostra testimonianza alle nazioni del mondo non è positiva ma negativa. È per ricordare loro con la nostra vita molto vulnerabile e incompleta che Dio non è presente nel mondo, che la redenzione non è da aspettarsi secondo criteri umani, che la redenzione arriverà solo quando Dio deciderà con i Suoi stessi misteriosi criteri che è il momento giusto per noi e per loro insieme a noi. E quindi la nostra testimonianza è smentire coloro che dicono che il mondo è redento e insistere affinché il mondo aspetti con Israele il suo redentore. "Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si ergerà sulla polvere!" ({{passo biblico2|Gb|19:25}}).<ref>Seguendo Robert Gordis, ''The Book of God and Man'' (Chicago, 1965), 264.</ref>
 
Con questa base nella Scrittura ora in una visione più chiara davanti a noi, possiamo procedere ad esaminare come l'immaginazione e la ragione dei rabbini abbiano elaborato la dottrina ebraica centrale dell'elezione di Israele da parte di Dio.
 
== Note ==