Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 2: differenze tra le versioni

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Adottando la classica designazione ontologica di Dio come Essere, Cohen ha rimosso dal reame del divino i tre elementi ontologici che, come abbiamo visto nel Capitolo precedente, sono necessari in ogni costituzione filosofica della dottrina teologica classica dell'elezione. Questi elementi sono: possibilità, relazione reciproca e scopo.
 
Nella sua adozione della classica distinzione ontologica tra essere e divenire, l'ontologia di Cohen è diversa da quella di Spinoza. Costituire una relazione ontologica tra l'essere e il divenire è costituire una relazione che è essenzialmente teleologica. L'essere funziona come il ''telos'' o l'ideale del divenire. Su questo punto Cohen è molto nella tradizione del [[w:platonismo|platonismo]].<ref>Cfr. ''Religion of Reason'', 67. L'identificazione di Dio e dell'Essere entra per la prima volta nell'ebraismo con la traduzione LXX di {{passo biblico2|Esodo|3:14}} ("[[w:Io sono colui che sono|Io Sono Colui che Sono" ebr. אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה‎, ''ʾehyeh ʾašer ʾehyeh'') come "eimi ho ōn": "Io sono l'Essere". Per una discussione completa sulle ramificazioni teologiche dell'identificazione del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe con il Dio dei filosofi, cfr. D. Novak, "Buber and Tillich," ''Journal of Ecumenical Studies'' (1992), 29:159 segg.</ref> Spinoza, invece, che è molto nella tradizione monistica di [[w:Parmenide|Parmenide]], non costituisce tale relazione sul piano ontologico.<ref>Per la presentazione fatta da Cohen di una linea di panteismo da Parmenide a Spinoza, si veda ''Religion of Reason'', 59 segg.</ref> Tutto è quello che è, cioè ''sub specie aeternitatis'', dal punto di vista della natura in sé (''natura naturans''). Il mutamento, al contrario, sono solo le modalità dell'apparire che sperimentiamo ''sub specie durationis''.<ref>Cfr. ''Ethics'', V, prop. 7.</ref> Inoltre, gli esseri (''natura naturata'') non aspirano ad essere ciò che non sono ora; piuttosto, seguono solo il loro innato corso d'azione (''conatus'') che è sempre stato determinato come tale.<ref>Cfr. ''ibid.'', III , prop. 7.</ref>
 
In una relazione di essere e divenire, c'è posto per l'elemento di possibilità. Perché se il divenire sul livello morale, che è il livello in cui l'ontologia di Cohen funziona più pienamente, implica delle scelte, allora gli oggetti della scelta funzionano come possibilità. Queste possibilità sono opzioni consapevoli di cui i soggetti morali sono consci in anticipo delle loro effettive scelte. I soggetti morali si trovano di fronte a possibili alternative che devono giudicare per agire razionalmente. Tuttavia, va ricordato che non ci possono essere possibilità per Dio come Essere di per sé. La possibilità, comunque in questo modo di pensare, funziona all'interno del solo divenire. (Nel [[Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 4|Capitolo 4]], cercherò di costituire la possibilità, la relazionalità e la finalità divine senza l'assunto del Divenire divino che sembra implicare per Cohen e gli aderenti a questo tipo di ontologia.)
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Per comprendere correttamente questo brano, bisogna essere consapevoli del significato delle categorie di "singolarità" (''Einzigkeit'') e "unità" (''Einheit'') nella filosofia di Cohen.
 
Per Cohen, la designazione di Dio come "uno" (''ehad'') non significa che Dio sia "uno" tra molti come il numero uno, né significa che Dio sia un'entità composta da varie parti. Se Dio fosse semplicemente uno tra i tanti, sarebbe meno dell'assoluto, e il monoteismo (la continua designazione di Cohen della vera religione, di cui l'ebraismo è l'epitome) sarebbe in definitiva un banale [[w:enoteismo|enoteismo]] (gr. εἷς/''heîs'' "uno" e θεός/''theós'' "dio"). E, se Dio fosse un'unità di più parti, la distinzione tra Dio e natura si dissolverebbe in una sorta di [[w:panteismo|panteismo]] (πάν/''pán'' = tutto e θεός/''theós'' = Dio, letter. "Dio è Tutto" e "Tutto è Dio") , che è il punto che Cohen non si stancherà mai di usare per condannare filosoficamente Spinoza. Dio è, quindi, ''einzig'', cioè l'unica singolarità totalmente trascendente. Dio solo è l'Essere di per sé.<ref>Cfr. "Einheit oder Einzigkeit Gottes" (1917), in Jüdische Schriften, 3:87 segg.; anche, ''Logik'', 169-170, 474.</ref> Il divenire umano, che si pone come compito infinito della perfezione morale, è di condurre all'unificazione (''Einheit'') dell'umanità in correlazione con l'Essere di Dio quale ideale singolare ma irraggiungibile di tutti gli ideali.
 
Seguendo questa linea di pensiero, quindi, sembrerebbe che qualsiasi individuo che rivendichi per sé la vera ''Einzigkeit'' (singolarità) confonderebbe, in effetti, radicalmente il divenire umano con l'Essere divino. ''Einheit'' (unità universale) è il fine umano ultimo verso il quale ogni popolo deve progredire e dal quale nessun popolo dovrebbe mai deviare. Ma non sembra che il popolo ebraico, con il suo continuo autoisolamento, si stia muovendo nella direzione opposta? I moderni antisemiti, con cui Cohen era fin troppo familiare, non hanno ragione nell'accusare gli ebrei non solo di essere fuori dalla tendenza progressista e universale della storia ma, peggio ancora, di essere un grosso ostacolo ad essa?<ref>Cfr. per es., "Ein Bekenntnis in der Judenfrage" (1880), in ''Jüdische Schriften'', 2:73 segg.</ref> Tuttavia, nonostante la gravità di questa accusa e la sua ampia accettazione da parte di non-ebrei ed ebrei assimilazionisti (che detestava), Cohen credeva di avere una risposta a questa accusa di particolarismo antiprogressista. Nel presentare la sua risposta, fece appello a tutta la sua forza filosofica e alla sua ampia e profonda conoscenza della tradizione ebraica. La sua risposta è un ''tour de force'' significativo nel pensiero ebraico moderno.