Israele – La scelta di un popolo/Appendice 3: differenze tra le versioni

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L'inclusione dell'idea di eternità nella teologia ebraica, qualunque siano le sue origini storiche, presuppone la nozione di immutabilità divina. Tale nozione, tuttavia, non è né biblica né rabbinica (vedi Franz Rosenzweig, "Der Ewige", in ''Kleinere Schriften'', cur. E. Rosenzweig [Berlino, 1937], 197). Così il versetto: "Io, il Signore, non cambio (''lo shaniti'')" ({{passo biblico2|Malachia|3:6}}) non significa che Dio non cambi nel contesto della Sua relazione di alleanza. Perché se così fosse, Dio non potrebbe rispondere ai suoi partner dell'alleanza, che è un aspetto essenziale della reciprocità dell'alleanza. La risposta è un atto transitivo (cfr. {{passo biblico2|Genesi|6:6;8:21}}; {{passo biblico2|Esodo|32:14}}; {{passo biblico2|Zaccaria|1:3}}). Ciò che significa il versetto, penso, è che ''Dio non si trasforma in qualcos'altro''. Dio non perde mai la sua identità personale (cfr. Y. Sanhedrin 1.1/18a rif. {{passo biblico2|Isaia|44:6}}). L'immutabilità di Dio per noi è la sua fedeltà alle promesse dell'alleanza (cfr. Y. Ta'anit 2.1/65a rif. {{passo biblico2|Numeri|23:19}}), una delle quali è che Dio cambierà dall'esercitare severa giustizia all'esercitare misericordia (''ibid.'', rif. {{passo biblico2|Isaia|26:21}}) quando il suo popolo torna veramente a lui (''ibid.'', rif. {{passo biblico2|Gioele|2:13}}).
 
Dio è eterno, abbraccia il tempo del mondo (''l’olam'') ma non è limitato da esso (''va’ed'') (cfr. {{passo biblico2|Esodo|15:18}} e la traduzione di Martin Buber e Franz Rosenzweig, ''Die Fünf Bücher der Weisung'' [Olten, 1954], 193). Le creature sì, anche le creature umane, ''si trasformano in qualcos’altro''. Perdono la loro identità personale; diventano "polvere" senza nome (cfr. {{passo biblico2|Genesi|3:19}}; {{passo biblico2|Salmi|49:10}} segg.; {{passo biblico2|Ecclesiaste|12:7}}). E gli esseri umani perdono anche la loro identità personale perché, a differenza di Dio, sono infedeli all'alleanza. Poiché inevitabilmente peccano, muoiono (cfr. B. Shabbat 55a rif. {{passo biblico2|Ezechiele|18:20}}; inoltre, B. Sanhedrin 10a e Rashi, ''s.v.'' "malqot"). Inoltre, essendo esseri generativi, le creature lasciano parte di sé nei loro discendenti, che li trascendono biologicamente nel tempo futuro come i loro antenati li trascendono nel tempo passato (cfr. {{passo biblico2|Genesi|38:8}}; {{passo biblico2|Dt|25:5}} segg.). Ma Dio non è un essere generativo; non c'è niente prima di Lui e nulla dopo di Lui nel tempo (cfr. {{passo biblico2|Isaia|43:10}}; Arakhin 31b rif. {{passo biblico2|Levitico|25:30}} e Rashi, ''s.v.'' "she’ayn lo dorot"). Pertanto, se c'è vita dopo la morte, per le creature umane è la risurrezione corporea, cioè Dio che restituisce loro ciò che hanno realmente perso (cfr. B. Pesahim 68a rif. {{passo biblico2|Dt|32:39}}). L'immortalità, invece, che molti teologi ebrei successivi accettarono, si basa sull'idea dell'eternità. E comporta le stesse difficoltà ontologiche per la teologia ebraica dell'idea su cui si basa. Un Dio creatore è immutabile, non eterno, e solo un Dio creatore può effettuare la risurrezione dei morti (cfr. [[Maimonide]], ''Ma’amar Tehiyyat Ha-Metim'', in ''Igrot Ha-Rambam'', ed. I. Shailat [2 voll., Gerusalemme, 1987] , 1:366-367).
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico}}
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