Il buddhismo cinese/La storia: differenze tra le versioni

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== Introduzione del buddhismo in Cina (I-IV secolo) ==
L’introduzione del buddhismo in Cina risalirebbe alla metà del I secolo d.C.<ref>{{quote|Una delle prime menzioni del buddhismo da parte delle fonti cinesi si trova in un testo storico, peraltro oscuro e mutilo, in cui si parla di un letterato che nell'anno 2 a.C. avrebbe ricevuto l'insegnamento delle Scritture buddhiste da un principe o da un ambasciatore Yuezhi, cioè degli Indo-sciti, che allora governavano ai confini indoiranici|in: Paul Demieville. ''Il buddhismo cinese'', in Henri-Charles Puech (a cura di) ''Storia del buddhismo''. Bari, Laterza, 1984, pagg. 160-1}}</ref> durante la Dinastia Han orientale (25-220, capitale: Luòyáng), la quale aveva esteso il suo protettorato su una parte dell'Asia centrale. Non si hanno notizie certe su questo avvenimento ma solo leggende, la principale delle quali vorrebbe che l'imperatore Míng (明, conosciuto anche come Liú Zhuāng, 劉莊, regno:57-75 d.C.) sognò un uomo d'oro. Particolarmente colpito dall'accaduto, un suo consigliere suggerì che potesse essere un dio straniero di nome Buddha. Míng inviò alcuni ambasciatori verso Occidente, che tornarono insieme a due monaci indiani, Kāśyapa Mātaṇga (conosciuto anche col nome cinese di 攝摩騰 Shè Móténg) e Gobharaṇa (cinese: 竺法蘭 Zhú Fǎlán), condotti su di un cavallo bianco. I monaci portarono con loro testi delle scuole del buddhismo dei Nikāya, tra cui il ''Sutra in quarantadue capitoli'' (四十二章經, ''Sìshíèrzhāngjīng'', T.D. 784.17.722-724), che tradussero nel 67 d.C. a Luòyáng dove fondarono il Monastero del Cavallo Bianco (白馬寺, ''Báimǎ Sì''). Risulta comunque che anche il fratellastro dell'imperatore Míng, Liú Yīng (劉英, ?-71) principe di Chu, proteggesse alcune nascenti comunità buddhiste<ref>{{quote|La prima precisa menzione del Buddha figura in un editto del 65, riguardante un principe imperiale, Ying di Chou, il quale manteneva presso la sua corte di Pengcheng (un importante centro commerciale della Cina orientale dove gli stranieri dovevano essere numerosi) una comunità di monaci (sicuramente stranieri) e di laii indicati con la loro denominazione tecnica indiana; e il testo precisa che il principe "sacrificava al Buddha"|In: Paul Demieville. ''Il buddhismo cinese'', in Henri-Charles Puech (a cura di) ''Storia del buddhismo''. Bari, Laterza, 1984, pagg. 160-1}}</ref>. Abbiamo notizie più certe a partire dal II sec. grazie alle cronache monastiche cinesi<ref>Il ''Gāosēng zhuàn'' (高僧傳, Biografie di monaci eminenti , giapp. ''Kōsō den'', T.D. 2059), composto in 14 fascicoli da Huìjiǎo (慧皎, 497-554) nel 519 mentre risiedeva nel monastero di Jiaxiang. Contiene la biografia di 257 tra monaci e monache vissuti in Cina tra il 67 e il 519 ed è conservato nello ''Shǐchuánbù''.
</ref>. Intorno al 150 d.C. giunse in Cina, come ostaggio, Ān Shìgāo (安世高), un principe persiano buddhista il quale avrebbe tradotto diversi sutra (le cronache parlano di 35 testi) delle scuole del buddhismo dei Nikāya. Nel 181 giunse il persiano Ān Xuán (安玄), un mercante il quale, divenuto discepolo di Ān Shìgāo, tradusse altri testi sempre delle scuole del buddhismo dei Nikāya e predicò attivamente la dottrina buddhista. Poi, sempre nel II secolo, è la volta di Lokakṣema (cinese: 支婁迦讖, Zhī Lóujiāchèn) un vero e proprio missionario Mahāyāna proveniente dall’impero Kushan che tradusse moltissimi testi ma di scuole del buddhismo Mahāyāna. L'opera di Lokakṣema fu seguita da un altro missionario kushan, Zhī Qiān (支謙), agli inizi del III secolo. Zhī Qiān, era un monaco poliglotta, discendente di una famiglia che si era stabilita un secolo prima a Luòyáng (divenuta capitale del Regno di Wèi, 曹魏, 220-265, uno dei Tre Regni in cui era suddivisa la Cina dopo il crollo della Dinastia Han orientale). Quindi da Hanoi (oggi capitale del Vietnam) e sempre nel III sec., giunse in Cina un giovanissimo sogdiano, Kāng Sēnghuì (康僧會). La famiglia di Kāng Sēnghuì visse prima in India per alcune generazioni trasferendosi quindi ad Hanoi dove svolsero l'attività di mercanti e da lì migrarono in Cina. Kāng Sēnghuì prese i voti da novizio (''sramanera'', cinese: 沙彌 ''shāmí'' ) a soli dieci anni, imparò il cinese e cominciò la sua opera di traduzione. Il più importante traduttore del III sec., anche lui un kushan, fu tuttavia Dharmarakṣa (cinese: 竺法護 Zhú fǎhù, ). La sua famiglia si era stabilità da tempo a Dūnhuáng (敦煌). Lì nacque Dharmarakṣa che entrò in un monastero buddhista a soli 8 anni. I buddhisti cinesi e gli stranieri buddhisti residenti in Cina sentirono tuttavia la necessità di acquisire direttamente nuovi testi religiosi, quindi Dharmarakṣa accompagnò il suo maestro, un monaco indiano conosciuto con il suo nome cinese, Zhú Gāozuò (竺高座), in un viaggio verso l'Occidente dove visitarono numerosi regni incontrando ben 36 idiomi diversi e raccogliendo sutra buddhisti. Tornato in Cina, Dharmarakṣa si occupò della loro traduzione. Ne tradusse ben 149 prima di morire, in età molto avanzata, nel 316 d.C.