Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Italia: Marina 1: differenze tra le versioni

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m Bot: Correggo errori comuni (tramite La lista degli errori comuni V 1.0)
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L’Italia iniziò l’era del 'più pesante dell'aria' proprio con la Marina quando l'ufficiale Mario Caldelara, il 12 settembre 1909, ottenne il brevetto di pilota (il N.1) direttamente dai fratelli Wright, durante la loro visita a Brescia. Appena due anni dopo, una variopinta accozzaglia di aerei e dirigibili vennero inviati il Libia per quello che fu il loro primo impiego bellico, nonostante che l’Italia non fosse propriamente all’avanguardia nel settore. Ma la guerra con la Turchia fu un'occasione di mostrare la nuova risorsa della tecnologia, giusto come di lì a poco vennero usati aerei per azioni armate in Messico e in Romania. Nel 1914 vi fu la conversione dell’incrociatore protetto ELBA in rudimentale una porta-idrovolanti, con 3-4 Curtiss Flying Boat. Però nell’immediato non vi furono altri sviluppi, fino a che nel '22 l’Italia chiese alla conferenza di Washington la possibilità di costruire 60.000 t di portaerei. Richiesta accettata, ma per realizzarla saranno necessari 85 anni! Già nel '23 venne completata la nave porta-idrovolanti GIUSEPPE MIRAGLIA. Ma nel marzo di quell’anno venne costituita la Regia Aeronautica e tutto si bloccò. Anche la Francia non fece molti passi avanti, con la costruzione della C.nte TESTE, una grossa porta-idrovolanti dotata persino di squadriglie di idrosiluranti Laté 298, e la portaerei BEARN, piuttosto lenta e insoddisfacente. Solo nei tardi anni '30 verranno impostate due nuove portaerei leggere, mai completate per l’attacco tedesco. In Italia questo passò piuttosto inosservato, nonostante la serrata competizione con i Francesi, dovuta al riconoscimento della ‘parità’ a Washington tra le due nazioni, che causò attriti a non finire piuttosto che una stabilizzazione pacifica, anche per via del fatto che all’epoca era in carica un aggressivo e poco rassicurante regime di destra, quello dell’allora giovane Mussolini. Fu lui che fece la famosa affermazione che l’Italia è una portaerei naturale che si protende nel Mediterraneo. Il che è vero, ma forse non così vero all’epoca dei fatti, con una tecnologia e un addestramento che non consentivano alla Regia Aeronautica di operare bene sul mare come avrebbe dovuto. Proprio quell’aviazione che aveva fatto scalpore con le navigazioni in formazione sopra l’Atlantico, non si dimostrerà adatta a contrastare la Royal Navy a due ore di volo dalle proprie basi (e anche meno, come a Punta Stilo). Così in Italia, come in Germania, l’aviazione di marina venne schiacciata quasi totalmente a pro dell’aeronautica. Anche in Francia, e persino in Gran Bretagna, le cose andarono solo marginalmente meglio e con la guerra alle porte, restava poco tempo per porre rimedio agli errori fatti. Nel ’41, dopo la disfatta di Matapan, si accelerarono molti programmi, specie i due fondamentali che facevano la differenza con la Royal Navy, non meglio armata ma equipaggiata con radar e portaerei, che da allora si cercò di realizzare anche in Italia con la massima sollecitudine.
 
I risultati non furono particolarmente positivi. Mentre la Miraglia ebbe una carriera incolore , senza eventi di rilievo; nel contempo si procedette alla trasformazione in portaerei delle due motonavi ROMA e AUGUSTUS, che divennero rispettivamente AQUILA e SPARVIERO. La prima era una nave da 24.000 t, 216 m di lunghezza per 30 di larghezza (al ponte di volo), capace di portare alcune decine di aerei come i Reggiane 2001 navalizzati, e con un potente armamento di cannoni (inclusi quelli da 65 mm) che di fatto non divennero disponibili. L’espediente di trasformare navi passeggeri è più che comprensibile, tecnicamente parlando: la velocità e la capacità di carico sono sufficienti, e abbondante il bordo libero (l'altezza sopra la linea di galleggiamento). Ma una nave passeggeri è pur sempre di costruzione leggera, con standard mercantili. Ovviamente anche la protezione era tutta da costruire: vennero installate controcarene e posizionate protezioni leggere, anche piastre di cemento armato per risparmiare l'acciaio della cintura(i dati sono piuttosto confusi). La nave che ne venne fuori era simile esteticamente alla Ark Royal britannica, ma per l’appunto, era più che altro apparenza data la fragilità complessiva e i rischi enormi dati da colpi a bordo, in mancanza di sufficienti protezioni di depositi e motori. Anche i giapponesi del resto, iniziavano all’epoca a trasformare navi passeggeri in portaerei con discreti risultati, in questo caso per incrementare il numerosi portaerei e compensare le perdite subite. L’AQUILA era pronta al 90% per scafo e motore, 70% per l’allestimento, quando l’8 settembre 1943 arrivò l’Armistizio, almeno 6, forse 12 mesi prima che potesse entrare in servizio. La Sparviero era una nave molto più modesta e a più bassa priorità, e nonostante si trattasse di un progetto meno impegnativo, era in maggior ritardo. Ci si potrebbe chiedere come mai navi più grandi come il REX non siano state modificate, e forse la spiegazione molto semplice era che non si vollero ‘rovinare’ navi dal grande valore commerciale per il dopoguerra. Il Rex andò perduto comunque per un attacco aereo, mentre l’AQUILA fu affondata da incursori subacquei che la colpirono nella notte del 19-20 aprile 1945 prima che venisse usata per bloccare l’ingresso del porto di Genova.
 
Questo fu l’epilogo mesto delle portaerei italiane dell’epoca. Nel dopoguerra non vi furono possibilità concrete di ripartire, dato che il Trattato di Parigi del 1947 dichiarò senza mezzi termini che l’Italia aveva perso la guerra (nonostante l’impegno per valorizzare la Resistenza e soprattutto i ‘Cobelligeranti’ del Sud), dandole solo dei termini meno aspri di quelli subiti da Germania e Giappone e non tanto diversamente da quanto accaduto alla Finlandia, per esempio. La Marina non avrebbe potuto avere portaerei (due unità leggere erano messe a disposizione da parte americana per i Francesi e altrettante lo sarebbero state per gli italiani se le cose avessero avuto un altro esito). Furono soprattutto i Britannici che insistettero per ricordare che l’Italia aveva perso la guerra, e del resto era difficile dar torto a loro, che avevano combattuto in Mediterraneo per quasi 5 anni. Così le due corazzate ‘Littorio’ vennero demolite pezzo per pezzo (erano l’altro ‘piatto forte’ che la Marina sperava di salvare) come accadde anche agli scafi delle due portaerei, entro gli anni ’50. Il resto lo fecero le rivalità con l’Aeronautica (tanto per cambiare) che avocava a sé tutti i velivoli militari, inclusi quelli dell’Esercito, che era costretto inizialmente a volare con aerei dipinti di giallo, ufficialmente come mezzi civili. Poi le cose divennero meno rigide, perché c’erano delle difficoltà obiettive che andavano risolte nell’ambito delle singole Forze Armate. Così all’Esercito vennero presto concessi velivoli leggeri, e lo stesso accadde alla Marina, che anzi, nel dopoguerra ebbe anche aerei Helldiver americani, rimasti però in servizio per pochissimo tempo. Gli elicotteri cominciarono ad apparire con i tipi Agusta-Bell AB-47 (c’erano anche dei minuscoli progetti nazionali monoposto, interessanti ma rimasti prototipi), AB-204, AB-212. Le prime navi che ebbero capacità elicotteristiche erano le ‘Alpino’, fregate antisommergibili, ma presto seguirono i due ‘Doria’, incrociatori armati di un lanciamissili Terrier a lungo raggio a prua, una batteria di cannoni a mezzanave e 2-4 elicotteri a poppa. Questi apprestamenti, più che essere l’equivalente di quelli delle portaerei, erano i discendenti degli idrovolanti su corazzate e incrociatori dell’era bellica. In ogni caso, l’idea degli incrociatori portaelicotteri ‘Doria’ era già qualcosa di interessante e, nel suo piccolo (6.500 t) innovativo. Però erano troppo piccoli e allora venne costruito il V.VENETO da oltre 9.000 t e per il resto una copia pantografata dei precedenti, ma con un massimo di 8-9 elicotteri AB212 o un minor numero di SH-3. Detto questo, l’era delle portaerei non era ancora giunta, e cominciò a manifestarsi solo con la legge navale, la 57/1975, che per potenziare la Marina, negli anni ’70 in decadenza netta (nonostante dei settori di ‘eccellenza’ come i nuovi cacciatorpediniere, sottomarini e fregate classe Lupo), stanziò fondi che servirono tra le altre cose, a finanziare extra bilancio della difesa le 8 fregate 'Maestrale', i due caccia 'Audace migliorata' e la nave portaeromobili, definita tuttavia come incrociatore. La GARIBALDI venne autorizzata il 21 novembre 1977 ma il progetto venne completato solo nel febbraio 1980. Era una nave davvero controversa: abbandonato il sistema missilistico a lungo raggio di prua, estendendo il ponte di volo per tutto lo scafo (come nel caso delle ‘Invincible’ britanniche, che però erano più grandi e potevano permettersi anche i missili Sea Dart, peraltro quasi l’unico armamento previsto a bordo), si otteneva una nave che a tutti gli effetti era una portaelicotteri pura, ma armata anche con una batteria di missili antinave, sonar e lanciasiluri ASW e un robusto armamento di difesa ravvicinata. Era insomma una portaelicotteri, ma armata e definita come incrociatore (C 551). Lo Sky-jump di prua, aggiunto durante la progettazione, era però qualcosa che non aveva senso in nessuna delle due categorie. Era chiaro che si volessero anche degli aerei da caccia a bordo, pensando agli Harrier britannici. La nave venne varata il 4 giugno 1983 e consegnata il 30 settembre 1985. C’era stato tutto il tempo di valutare l’importanza dei velivoli di bordo alle Falklands e per questo il ponte di volo venne incurvato verso prua, sia pure in maniera modesta, onde valorizzare meglio la limitata lunghezza (circa180 m) della nave. Alla Dragon Hammer ’90 vi appontarono Harrier americani e spagnoli. Passato il tempo in cui si pensava soprattutto a combattere i sottomarini russi, era giunto il momento di concepire una Marina più offensiva e dopo avere lottato a lungo contro l’Aeronautica, ferocemente critica verso il programma Harrier, la MMI si sdoganò dal giogo imposto dall’Arma Azzurra. E sì che quest’ultima avrebbe avuto una carta pesante da giocare per impedirlo. Gli Atlantic, i 18 pattugliatori marittimi gestiti per conto della Marina. Per qualche ragione difficile da comprendere a fondo, sono stati passati definitivamente (con i relativi costi) alla Marina. L'idea era che se la Marina aveva la volontà di dotarsi di velivoli ad ala fissa, allora non avrebbe avuto senso 'privarla' della costosa gestione diretta degli aerei impiegati dall’Aeronautica per appoggiarla. Forse questo da solo avrebbe affondato letteralmente il programma Harrier, dato l’onere del mantenimento di una flotta di pattugliatori marittimi, e avrebbe liberato al contempo l’Aeronautica da compiti non suoi. Ma per qualche ragione, l’AMI decise di non privarsi degli Atlantic e di lasciare la Marina libera di comprarsi 18 Harrier (esattamente lo stesso numero). Questi all’inizio erano molto meno definiti di quello che può sembrare adesso: si trattò di scegliere tra i veloci Sea Harrier e i più capaci AV-8B, e lo stesso accadde tra i radar 'Blue Vixen' e APG-65 (interessante notare come apparentemente non ci sia stato interesse per il Grifo, che pure è un sistema nato proprio per quegli aerei così piccoli da non potersi permettere grossi radar di bordo). Come le cose siano andate è oramai storia nota, anche se l’APG-65 è stato adattato con un’antenna più piccola e con una certa difficoltà d’integrazione dei sistemi d’arma.
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1 radar navigazione
* Sistemi difensivi ESM\ECM: 1 ESM Abbey Hill, 2 lanciatori di chaff/flare SCLAR,
*Armamento: 8 cannoni OTO Melara da 76 mm tipo MMI; 3 CIWS Breda Dardo; 4 missili OTOMAT; 1 lanciatore Mk 20 con 60 missili Standard /ASROC (generalmente , 40+20); 2 lanciasiluri tripli ILAS-3 da 324mm per siluri Mk 46 e A244.
*Mezzi aerei: 6 elicotteri Sikorsky SH-3 Sea King o 9 Agusta-Bell AB 212
* Motto: 'Victoria nobis vita'
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====La CAVOUR<ref> Peruzzi, Luca: ''La Portaerei Cavour'', A&D Giugno 2008 p. 44-4</ref>====
Il 27 marzo 2008 è stata consegnata la nuova ammiraglia della flotta italiana, prevista l'entrata in servizio nel 2009 quando la collega Garibaldi avrà già ben 24 anni. La CAVOUR, ex- tante cose, come Mazzini, NUM, NUMA etc., ha visto gli anni '90 pieni di contrordini su come realizzarla. Per esempio come unità ibrida portaerei-anfibia. Alla fine , nel gennaio 1998 è stata data l'autorizzazione alla sua costruzione da parte della Commissione Parlamentare, relativa al progetto 168, la cosiddetta NUMA (Nuova Unità Maggiore Anfibia), e infatti aveva anche un bacino allagabile. Poi nel luglio 2000 venne trasformata in una NUM, che significava la rinuncia ai compromessi che avrebbe comportato la presenza di capacità anfibie estese. Certo che le 3 S.Giorgio non devono essere considerate tanto 'performanti' se per trasportare un'unità minuscola come il S.Marco si chiedeva e si chiede ancora la presenza di una grande nave anfibia aggiuntiva. Nave nata per compiti di difesa aerea, comando e controllo e anche con la capacità di ospitare 300 fanti di marina, da 27.500 t, ha visto le capacità anfibie limitate al supporto con gli elicotteri di bordo e al trasporto di veicoli leggeri nei ponti hangar in caso di necessità. IL NUM 1 era il contratto iniziale per la costruzione e allestimento, poi sono seguiti (questo venne assegnato alla Fincantieri nel novembre 2000, da qui le critiche di Berlusconi verso 'la portaerei dell'Ulivo, che ci è costata 13 miliardi'), i successivi due contratti erano il NUM 2.1 e 2.2 per integrare i vari sottosistemi dentro la nave, come quello di combattimento, e vennero assegnati rispettivamente in luglio del 2002 e novembre 2003. Nel trattempo le lamiere del nuovo gigante dei mari vennero tagliate a far tempo dal giugno 2001, e la nave venne realizzata in due tronconi, quello di prua era lungo 70 m e vene dato da costruire al cantiere Muggiano di La Spezia, mentre la zona Centro-Poppiera era a Riva Trigoso e venne varata nel luglio del 2004, per poi essere trasferita a La Spezia dopo una solenne cerimonia con tanto di mega- bandierone italiano con sopra scritto Fincantieri (che copriva in buona sostanza la mancanza della sezione di prua. A presenziare alla cerimonia c'era anche un caccia 'Audace', allora alle ultime battute della sua carriera. Il Muggiano non era molto distante, solo 46 km e nel dicembre 2004 i due tronconi sono stati uniti per formare lo scafo. Solo dopo due anni, il 19 dicembre 2006 ha iniziato i collaudi in porto prima, e le prove in mare poi.
 
Questa nave, con un dislocamento quasi doppio rispetto a quello del Garibaldi e più lunga di 60 m, ha una struttura piuttosto simile, anche come dimensioni, a quella delle 'Invincible' inglesi, inclusa una sovrastruttura molto lunga, ma soprattutto uno sky-jump singolo, sulla parte sinistra del ponte, è una nave lunga 244 m e larga 39 m (non lo scafo, incluso il ponte di volo), alta 39 m, costruita in acciaio ad alta resistenza, ha nove ponti e altri 5 per l'isola laterale, al solito sistemata a destra. Il ponte di volo 234 m, larga 34,5 m, con una superficie di 6.800 m2, due elevatori a dritta, sky jump da 12 gradi (come per la PRINCIPE DE ASTURIAS spagnola), che completa una pista lunga 183 m di decollo, con 6 spot di decollo per elicotteri medi e pesanti. I due elevatori sono da 30 t, dei Mc Taggart-Scott, davanti e dietro l'isola e siccome sono laterali, non causano interferenza con le operazioni di volo. VI sono anche due altri più piccoli da 15 t usati soprattutto per le munizioni. Quanto all'hangar, è lungo 134 m, largo 21 m e alto 7,2 il che consente di ospitare 12 AW- 101 o 8 aerei STOVL. Non moltissimo in effetti: La CLEMENCEAU era più grande ma aveva 152x24x 7 m. Il ponte hangar è rinforzato per portare anche mezzi che chiaramente non volano: carri come l'Ariete, per esempio, il tutto sbarcabile su di un porto, da due rampe d'accesso che sono a poppa e sul lato destro al centro della nave.