Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 4: differenze tra le versioni

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Questo contesto tradizionale primario del e per il testo scritturale soddisfa un terzo prerequisito filosofico. Cioè, il ''datum'' per la riflessione filosofica deve essere un'unità sufficientemente integra in modo che la riflessione su di essa non lo frammenti irrevocabilmente, portando così alla perdita della sua presenza costantemente integrale e di tutto ciò che essa comporta. Questa affermazione può essere fatta oggi solo se si sottolinea il ruolo della tradizione nella redazione e canonizzazione del testo della Scrittura. Ciò significa evitare gli estremi dello storicismo da un lato e del fondamentalismo dall'altro. Poiché, come abbiamo appena visto, l'errore dello storicismo è atomizzare il contesto e quindi suggerire una frattura normativa tra ciò che è stato scritto nel passato e il lettore nel presente. Nel contesto della tradizione, tuttavia, il lettore non arriva mai al testo come un estraneo sotto le spoglie di un archeologo. È legato al testo in virtù della comunità a cui partecipa, ancor prima che il testo venga da lui aperto alla lettura. E l'errore del fondamentalismo è di presumere che l'unità che il testo biblico assume successivamente ''dentro e dalla'' tradizione sia evidente anche quando il testo viene esaminato al di fuori di quella tradizione. Presuppone che l'unità del testo possa essere assunta come evidente in qualsiasi contesto perché si presume che sia inerente al testo ''prima'' che sia correlato a qualsiasi contesto.<ref>Su questo si veda George A. Lindbeck, ''The Nature of Doctrine'' (Philadelphia, 1984), 65 segg.</ref> Ma nel contesto della lettura esegetica tradizionale (''midrash''), è in definitiva inutile delimitare esattamente dove finisce il testo e dove iniziano i lettori. Letto in altri contesti, il testo biblico assume altri significati, sia nel suo insieme che in ciascuna delle sue parti.
 
Ironia della sorte, sia lo storicista che il fondamentalista si uniscono nel loro isolamento dal testo biblico. E si uniscono nella preclusione di una lettura filosofica del testo biblico. Il fondamentalista la esclude perché la riflessione filosofica sul testo minaccia l'unità letterale e immediatamente evidente che egli postula dogmaticamente. Non sopporta la sospensione radicale della semplice certezza che la filosofia richiede.<ref>Cfr. Paul Ricoeur, ''Hermeneutics and the Human Sciences'', cur. e trad. {{en}]} J. B. Thompson (Cambridge, 1981), 112 segg.</ref> Lo storicista la esclude perché la riflessione filosofica presuppone che vi sia un'unità intelligibile essenziale del testo da scoprire costantemente.<ref>Si veda per es., ''Sifra'': Vayiqra, cur. Weiss, 3b (rif. il tredicesimo principio ermeneutico di Rabbi Ishmael); anche, TB Baba Kama 41b rif. {{passo biblico2|Deuteronomio|10:20}}.</ref> Come specie di nominalismo, tuttavia, lo storicismo non può accettare alcun presupposto di intelligibilità essenziale al di fuori della propria invenzione. A questo punto della storia, il fondamentalismo implica l'idea che possiamo ora leggere la Scrittura come se Spinoza e i suoi eredi non fossero mai esistiti. Lo storicismo implica l'idea che Spinoza e i suoi eredi – almeno a livello di studi biblici – non possano mai essere superati. Il recupero filosofico della Scrittura in generale e della sua dottrina dell'elezione di Israele in particolare, richiede un percorso che eviti accuratamente la [[:en:w:between Scylla and Charybdis|Scilla]] dell'uno e la [[:en:w:between Scylla and Charybdis|Cariddi]] dell'altro.
 
=== Creazione e Elezione ===
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L'alleanza stessa deve essere l'oggetto del desiderio umano. Questo desiderio come bene ne è una componente essenziale. Quindi, nel presentare le norme positive dell'alleanza, Mosè fa appello al desiderio del popolo per il suo bene.
{{citazione|Il Signore ci ordinò di mettere in pratica (''la’asot'') tutte queste leggi, temendo il Signore nostro Dio così da essere sempre felici (''tov lanu'') ed essere conservati in vita (''le-hayyotenu''), come appunto siamo oggi. Questa sarà la nostra giustizia (''tsedaqah''): l'aver cura di mettere in pratica tutti questi comandamenti, davanti al Signore Dio nostro, come ci ha ordinato.|{{passo biblico2|Dt|6:25}}}}
E poco prima di questo brano, a ciascuno del popolo è comandato: "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" ({{passo biblico2|Dt|6:5}}). Ma può esserci amore senza desiderio? E il desiderio non è forse sperimentato, di certo in modo involontario, prima ancora che arrivi il suo ''desideratum''?<ref>C'è un importante dibattito sul ruolo dell’''eros'', cioè del desiderio, nel rapporto Dio-umano tra i teologi cristiani che mi permetto di confrontare qui perché aiuta ad acquisire una migliore prospettiva filosofica sul ruolo del desiderio nella stessa alleanza biblica (cfr. M. Avot 4.1 rif. Salmi 119:99 e Maimonide, ''Commentario alla Mishnah'': introd., trad. {{en}} Y. Kafih [3 voll., Gerusalemme, 1976], 1:247). I principali protagonisti sono Agostino e Paul Tillich, che sottolineano la componente erotica, e Karl Barth e Anders Nygren, che la negano. Direi che senza il fattore del desiderio umano inerente per Dio, la relazione di alleanza tra Dio e gli esseri umani può essere vista solo come essenzialmente una di Dio con se stesso piuttosto che una tra Dio e i suoi partner di alleanza non-divini. Pertanto, mi sembra che i teologi ebrei dell'alleanza abbiano più cose in comune con Agostino e Tillich che con Barth e Nygren su questo punto chiave. Si veda Agostino, ''Confessioni'', 7.10; Paul Tillich, ''Systematic Theology'' (Chicago, 1951), 1:282; Karl Barth, ''Church Dogmatics'', 2/2, sez. 37, pp. 555 segg.; Anders Nygren, ''Eros and Agape'', trad. {{en}]} P. Watson (Chicago, 1982), 160 segg.</ref> "O Signore, ogni mio desiderio (''kol ta’avati'') è davanti a te" ({{passo biblico2|Salmi|38:9}}).<ref>Seguendo R. Judah Halevi, "Adonai Negdekha Kol Ta’vati", in ''Selected Religious Poems of Jehudah Halevi'', cur. H. Brody (Philadelphia, 1924), 87.</ref> E il desiderio non implica forse la speranza, che è essenzialmente un'anticipazione di qualcosa in sé sconosciuto nel presente? Inoltre, può esistere qualche desiderio che non intenda il bene per colui che lo prova?<ref>Cfr. Aristotele, ''Etica Nicomachea'' 1094a1; ''Metafisica'' 1O72a25. Per il riconoscimento del desiderio universale di Dio, cfr. Mal. 1:11 e R. Solomon ibn Gabirol, "Keter Malkhut", in ''Selected Religious Poems of Solomon ibn Gabirol'', cur. I. Davidson (Philadelphia, 1924), 86. I cabalisti chiamavano ''eros'' umano ''it’aruta dil-tata'' ("risveglio dal basso" - vedi ''Zohar'': Vayetse, 1:164a) per Dio. Ma senza un'adeguata teologia della rivelazione, il Dio tanto desiderato rimane intrappolato come un oggetto eterno pari al dio intransitivo di Aristotele (cfr. ''Metafisica'' 1072a20 segg.) o qualcosa di simile ad ''esso''.</ref> O come dice il salmista: "Chi ho io in cielo fuori di te? E sulla terra non desidero (''lo hafatsti'') che te ... Ma quanto a me, il mio bene (''li tov'') è stare unito a Dio ..." (Psalms 73:25, 28). Dio non deve forse esser servito da un'"anima desiderosa" (''nefesh hafetsah'') ({{passo biblico2|1Cronache|28:9}})?
 
[[File:Abraham Lilien.jpg|240px|thumb|right|''Abramo contempla le stelle'', di [[:en:w:Ephraim Moses Lilien|Ephraim Moses Lilien]] (1908)]]
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Pensando in questo senso, si può vedere perché la Scrittura richieda al popolo di Israele, quando è a casa nella Terra d'Israele e sazio di un raccolto abbondante, di ricordare le proprie origini beduine dichiarando di Abramo (e forse anche degli altri patriarchi): "Mio padre era un Arameo errante" ({{passo biblico2|Dt|26:5}}).<ref>Si vedano i relativi commenti di Ibn Ezra e Rashbam.</ref> Infatti, anche nella Terra d'Israele, che è contemporaneamente alla stessa elezione di Abramo, eletta a patria, a dimora del suo popolo, a questo popolo è ricordato nelle Scritture che "la terra è Mia e voi siete presso di Me come forestieri e inquilini (''gerim ve-toshavim'')" ({{passo biblico2|Levitico|25:23}}).<ref>Cfr. {{passo biblico2|Salmi|119:19}}; {{passo biblico2|1Cronache|29:15}}.</ref> In effetti, lo scopo di una casa è di essere il luogo in cui le persone possono coesistere, un luogo di autentico ''mitsein''. Non è parte di loro, e loro non ne fanno parte come nel caso dei primi due atteggiamenti che abbiamo rilevato sopra. Sebbene Dio abiti con il popolo d'Israele ovunque si trovi, la più completa dimora di Dio e del suo popolo è solo nella Terra d'Israele.<ref>Cfr. Nahmanide, ''Commentario alla Torah'': {{passo biblico2|Dt|8:10}}; inoltre, Novak, ''The Theology of Nahmanides'', 89 segg.</ref> Il resto della terra è creato; la Terra d'Israele come il popolo d'Israele è eletto nella storia. È selezionato tra molteplici possibilità.
 
Sulla base di questa teologia, il tempo e lo spazio devono essere costituiti come astrazioni dall'evento e dal luogo.<ref>"And even as prayer is not in time but time in prayer, the sacrifice not in space but space in the sacrifice — and whoever reverses the relation annuls the reality" (Martin Buber, ''I and Thou'', trad. {{en}]} W. Kaufmann [New York, 1970], 59).</ref> Il tempo è ordinato dagli eventi in cui Israele viene eletto e l'alleanza con lui ne dà il contenuto. Questi eventi sono il primo punto di riferimento temporale; non sono nel tempo, ma tutto il tempo è legato a loro. Come dice la Scrittura nella prima narrazione stessa della creazione: "Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni(''le’otot u-le-mo’adim''), per i giorni e per gli anni»" ({{passo biblico2|Genesi|1:14}}).<ref>Cfr. il relativo commentario di Rashi.</ref> E lo spazio è ordinato in base alla sua relazione con la Terra d'Israele. È l’''axis mundi'', il primo punto di riferimento spaziale.<ref>Cfr. Nahmanide, ''Commentario alla Torah'': Gen. 14:18; Deut. 16:20.</ref> Non è nello spazio, ma tutto lo spazio è in relazione con esso. Come dice la Scrittura poco prima che il popolo d'Israele entrasse in Terra d'Israele: "Quando l'Altissimo diede alle nazioni la loro eredità (''be-hanhel''), quando separò i figli degli uomini, egli fissò i confini (''gevulot'') dei popoli, tenendo conto del numero (''le-mispar'') dei figli d'Israele." ({{passo biblico2|Deuteronomio|32:8}}).<ref>Cfr. nello specifico, ''Targum Jonathan ben Uziel''.</ref>
 
Tornando di nuovo all'osservanza da parte di Abramo della "via del Signore per fare ciò che è equo (''tsedaqah'') e giusto (''u-mishpat'')", ora siamo in una posizione migliore per discernere il motivo della sua – e nostra – accettazione dell'elezione di Dio Va subito ricordato che la preoccupazione di Abramo per ''tsedaqah u-mishpat'' è in connessione con le nazioni del mondo che devono essere benedette attraverso di lui. In effetti, la sua preoccupazione qui è che sia resa giustizia al popolo di Sodoma e Gomorra, che la Scrittura poco prima ha descritto come " perversi e grandi peccatori (''ra’im ve-hat’im'') contro il Signore" ({{passo biblico2|Genesi|13:13}}). Abramo è preoccupato che sia resa giustizia a queste persone secondo il giusto processo di legge che anche loro meritano, indipendentemente dal fatto che il verdetto finale sia colpa o innocenza. La sua risposta al suo essere conosciuto e scelto da Dio è di voler imitare nel microcosmo il modo in cui Dio si relaziona al mondo intero nel macrocosmo. Sia Dio che Abramo ora si occupano della terra e specialmente di tutti i popoli in essa contenuti. Quindi la preoccupazione di Abramo è che si faccia ''mishpat''. Questo di per sé è un atto di giustizia; agisce come loro avvocato difensore cercando in loro qualche merito. E il fatto stesso che si coinvolga nel loro caso, quando non deve loro nulla, è un atto di ''tsedaqah''. Sapendo di essere conosciuto da Dio, Abramo è ora in grado di agire veramente come ''imitator Dei''.<ref>Cfr. TB Shabbat 133b rif. {{passo biblico2|Esodo|15:2;34:7}}; [[Maimonide]], ''[[Guida dei perplessi]]'', 3.54 rif. {{passo biblico2|Geremia|9:23}}.</ref> Il suo essere conosciuto da Dio non è solo qualcosa di cui gode e può celebrare; è qualcosa su cui può agire.
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gli esseri umani e Dio saranno cambiati in futuro. Come abbiamo visto, quel punto di riferimento è l'Esodo. "Pertanto, ecco, verranno giorni – dice il Signore – nei quali non si dirà più: Per la vita del Signore che ha fatto uscire gli Israeliti dal paese d'Egitto, ma piuttosto: Per la vita del Signore che ha fatto uscire e che ha ricondotto la discendenza della casa di Israele dalla terra del settentrione e da tutte le regioni dove li aveva dispersi; costoro dimoreranno nella propria terra" ({{passo biblico2|Geremia|23:7-8}}). C'è un primo dibattito rabbinico sul fatto se l'Esodo non sarà più un punto di riferimento, o se rimarrà come un punto di riferimento secondario (''tafel'').<ref>T. Berakhot 1.10; TB Berakhot 12b. Cfr. Kasher, ''Haggadah Shlemah'', pt. 1, pp. 118-119. Si veda anche ''Vayiqra Rabbah'', 3.13; ''Midrash Mishlei'', 9, cur. Buber, 31a; R. Solomon ibn Adret, ''Teshuvot Ha-Rashba'', 1, no. 93; Ginzberg, ''Legends of the Jews'', 5:47-48, n. 139. Maimonide, coerentemente con la sua "estensiva" escatologia, rifiutò tutta questa linea di pensiero rabbinico e optò per la visione rabbinica opposta. In effetti, postulò la non-abrogazione di qualsiasi comandamento come un dogma dell'ebraismo (cfr. ''Commentario alla Mishnah'': Sanhedrin, cap. 10/Heleq, principio 9). Su questo punto fu opposto da R. Joseph Albo (cfr. specialm., ''Iqqarim'', 3.16) e difeso da R. Isaac Abrabanel (cfr. ''Rosh Amanah'', cap. 13).</ref> L'opinione maggioritaria è l'opinione più conservatrice, quella che vede ancora qualche connessione tra la vita dell'alleanza presente e quella del futuro. Tuttavia, anche per quest'ultimo punto di vista più conservatore, dovrebbero esserci ancora molti comandamenti di culto che non rientrerebbero più nell'ambito dell'osservanza ebraica a causa dell'assenza delle loro necessarie precondizioni. La Torah del futuro redento (''l’atid la-vo'') potrebbe non essere del tutto diversa da quella attuale.<ref>Si veda l'[[Israele – La scelta di un popolo/Appendice 3|Appendice 3]].</ref> Ma anche in questa prospettiva sarà radicalmente cambiata.
 
Inutile dire, tuttavia, che anche i fautori di questa visione apocalittica erano in guardia contro qualsiasi pseudo-messianismo che dichiarasse che il regno di Dio è ora con noi e che gran parte dell'attuale Torah, quindi, deve essere presto abrogata.<ref>Il precedente insegnamento rabbinico che molti, se non tutti, i comandamenti commemorativi sarebbero stati abrogati nel futuro messianico (''mitsvot betelot l’atid la-vo''), avendo adempiuto alla loro funzione, fu reinterpretato nel successivo insegnamento rabbinico a significare: "i comandamenti non si ottengono quando una persona è morta" (Niddah 61b rif. {{passo biblico2|Salmi|88:6}}; cfr. ''Tos.'', ''s.v.'' "amar R.Joseph" e R. Zvi Hirsch Chajes, ''Hiddushei Maharats Chajes''). Mi sembra che questo avrebbe potuto benissimo far parte di una polemica controcristiana, vale a dire, non solo Gesù di Nazareth non è il Messia, ma anche se fosse il Messia, non avrebbe avuto l'autorità di abrogare nessuno dei comandamenti (cfr. {{passo biblico2|Mt|12:8}}; {{passo biblico2|Rom|10:4}}). Questa profilassi rabbinica contro le affermazioni antinomiche cristiane trovò una rinnovata funzione polemica nel contrastare le affermazioni antinomiche dei seguaci del falso Messia [[w:Sabbatai Zevi|Sabbatai Zevi]] dal 1666 in poi. Cfr. Gershom Scholem, ''Sabbatai Sevi: The Mystical Messiah'', trad. {{en}]} R. J. Z. Werblowsky (Princeton, 1973), 802 segg.</ref>
 
Per loro, il futuro redento deve essere un evento così messianicamente evidente da non comportare il tipo di disputa che portò allo scisma della comunità cristiana.<ref>Cfr. Nahmanide, "Disputation", in ''Kitvei Ha-Ramban'', cur. C. B. Chavel (2 voll., Gerusalemme, 1963), 1:315-316; inoltre, R. Chazan, ''Barcelona and Beyond'' (Berkeley, Calif., 1992), 172 segg.</ref> Inoltre, c'erano esplicite prove profetiche per ritenere che qualunque cambiamento sarebbe avvenuto nel futuro redento, qualunque "nuova alleanza" ci sarebbe allora stata, quel futuro sarebbe comunque stato per lo stesso popolo d'Israele, passato e presente. "Così dice il Signore che ha fissato il sole come luce del giorno, le leggi (''huqqot'') della luna e delle stelle come luce della notte ... Quando verranno meno queste leggi dinanzi a Me, allora anche la progenie di Israele cesserà di essere un popolo per sempre" ({{passo biblico2|Geremia|31:34-36}}). "Sì, come i nuovi cieli e la nuova terra, che io farò, dureranno per sempre davanti a Me – dice il Signore – così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome" ({{passo biblico2|Isaia|66:22}}). Anche in quel nuovo mondo, Israele, come Dio stesso, conserverà la sua identità.<ref>Si veda per es., {{passo biblico2|Esodo|32:9}} segg.</ref>
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<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" ><references/></div>
 
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