Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 4: differenze tra le versioni

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In risposta a tutto ciò, il Signore dice: "Questo è l'inizio (''hahillam'') della loro opera e ora quanto avranno in progetto (''yazmu'') di fare non sarà loro impossibile" ({{passo biblico2|Genesi|11:6}}). Una cosa importante da notare è che nel brano precedente, che tratta di ciò che in termini moderni potremmo chiamare "idolatria [[w:eteronomia|eteronoma]]", il ''nome'' cercato è ancora qualcosa di esterno agli stessi umani. Qui, invece, trattando di ciò che potremmo chiamare in termini moderni "idolatria [[w:autonomia (teoria dei sistemi)|autonoma]]", il ''nome'' cercato è quello della fattispecie umana.
 
Il collegamento tra questa idolatria e la tirannia politica è ancora più evidente. Qui abbiamo il dominio del tecnocrate.<ref>Cfr. Jacques Ellul, ''The Technological System'', trad. {{en}} J . Neugroschel (New York, 1980), 145 segg.</ref> Qui l'esercizio del potere diventa fine a se stesso. Non c'è più nemmeno la pretesa di una giustificazione e uno scopo superiori per l'esercizio del potere umano. Quindi, nell'interpretazione rabbinica, [[w:Nimrod (Bibbia)|Nimrod]] è il vero fondatore di [[w:Shinar|Shinar]], il luogo dove fu costruita la Torre di Babele.<ref>Cfr. Louis Ginzberg, ''The Legends of the Jews'' (7 voll., Philadelphia, 1909-1938), 5:199 segg., nn. 81 segg.</ref> Di Nimrod si dice: "Costui iniziò (''hehel'') a essere potente sulla terra. Egli era valente guerriero (''gibor tsayid'') davanti al Signore" ({{passo biblico2|Genesi|10:8-9}}). E nella tradizione rabbinica, la ricerca di Dio da parte di Abramo sfidò rapidamente la tirannia di Nimrod e fu considerata da Nimrod una minaccia mortale.<ref>Cfr. ''Pirqei De-Rabbi Eliezer'', cap. 26.</ref> E, infine, poiché sto seguendo intuizioni rabbiniche, va notato che nel caso di Enosh, nel caso della Torre di Babele e, nel caso di Nimrod, si trova la parola che i rabbini consideravano connotasse l'idolatria (''hallel'').<ref>Cfr. ''Bere’sheet Rabbah'' 23.7.</ref>
 
Quanto alla terza possibilità, che è l'implorazione alla persona che sta dietro l'ordine cosmico di rivelarsi, abbiamo solo la nostra speculazione che la chiamata di Dio ad Abramo sia in verità una risposta a una domanda esistenziale. E c'è una lunga tradizione di speculazioni su quale sia questa domanda. In tale tradizione, Abramo inizia la sua carriera di filosofo.<ref>Cfr. Ginzberg, ''Legends of the Jews'', 5:210, n. 16; inoltre, [[Maimonide]], ''[[Mishneh Torah]]'': Avodah Zarah, 1.3 e ''[[Guida dei perplessi]]'', 3.29.</ref> L'errore, tuttavia, di molti in questa tradizione è stato quello di presumere che Abramo ''trovò'' Dio mediante quello che viene chiamato "l'argomento del disegno", vale a dire, che la percezione dell'ordine porta a ''concludere'' che c'è un ordinatore che l'ha realizzato.<ref>Il primo a proporre questa argomentazione fu [[w:Flavio Giuseppe]] in ''Antichità'', 1.155-156. Cfr. Novak, ''Law and Theology in Judaism'', 2:21-22.</ref> Ma come hanno sostenuto molti filosofi, tale conclusione non è necessaria. Si può considerare l'ordine stesso come ultimo, finale.<ref>Cfr. Platone, ''[[w:Eutifrone|Eutifrone]]'' 10E.</ref> E se esiste un tale ordinatore, allora il massimo che si può concludere razionalmente è che l'ordinatore e l'ordine sono essenzialmente identici, e che l'ordinatore non può essere inteso come trascendente il suo ordine in alcun modo, alla maniera della visione spinoziana di Dio quale ''causa sui'', come abbiamo già visto.<ref>Cfr. H. A. Wolfson, ''The Philosophy of Spinoza'' (2 voll., Cambridge, Mass., 1934), 2:346, che vede la divinità di Spinoza come un ritorno alla divinità di Aristotele, "un eterno paralitico", nelle ironiche parole di Wolfson.</ref> In altre parole, l'ordinatore non ha bisogno di essere preso come persona, cioè una persona impegnata consapevolmente in atti transitivi, per non parlare di relazioni reciproche.
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Il grido di Abramo affinché il Signore dell'universo si riveli, seguendo la speculazione di un noto ''midrash'', non è un esercizio di pensiero inferenziale.<ref>''Bere’sheet Rabbah'' 39.1: "Abramo diceva: ‘potrebbe essere che il mondo non abbia un capo(''manheeg'')?’ Dio guardò fuori e gli disse: ‘Io sono il capo e il signore (''adon'') di tutto il mondo.’"</ref> Senza la rivelazione con cui Dio lo elegge personalmente mediante una promessa e stabilisce con lui e la sua progenie un patto perpetuo, senza di ciò, il grido di Abramo sarebbe stato l'epitome della futilità, un grido inascoltato nell'oscurità, un rischio pericoloso, un esercizio di pio desiderio. La libera scelta di Dio, la Sua libertà di essere quando sarà, dove sarà, con chi sarà, non può in alcun modo essere la conclusione necessaria di una qualsiasi inferenza.<ref>Cfr. {{passo biblico2|Esodo|3:13}} e la relativa discussione filosofica in D. Novak, "Buber and Tillich", ''Journal of Ecumenical Studies'' (1992), 29:161 segg.</ref> Il massimo che Abramo o qualsiasi persona umana possono fare è prepararsi alla possibilità della rivelazione, sgombrare il terreno a Dio, ma senza alcuna certezza immanente che Dio verrà mai.
 
Si può ipotizzare, dalla riflessione filosofica sulla condizione umana stessa, che Abramo non potesse accettare il primo e il secondo approccio al cosmo (quello dell’''homo spectator'' e quello dell’''homo faber'') perché nessuno dei due poteva stabilire il cosmo come autentico luogo-dimora per gli umani. Abramo il beduino cerca la sua casa.<ref>Cfr. Rashbam, ''Commentario alla Torah'' e Hizquni, ''Commentary on the Torah: Gen. 20:13''.</ref>
 
Considerare l'ordine stesso come ultimo, come fa l’''homo spectator'', significa considerare gli esseri umani come anime di un altro mondo, anime il cui compito è "evadere e diventare come Dio".<ref>Platone, ''[[w:Teeteto|Teeteto]]'' 176A-B. Si vedano anche ''[[w:La Repubblica (dialogo)|La Repubblica]]'' 501B; ''[[w:Timeo (dialogo)|Timeo]]'' 68E-69A; ''[[w:Filebo|Filebo]]'' 63E; ''[[w:Leggi (dialogo)|Leggi]]'' 716c.</ref> E in questa prospettiva, Dio è un Essere eterno e immutabile. Ma non c'è relazione ''con'' l'Essere; non c'è reciprocità tra l'Essere e qualcosa minore di se stesso. C'è solo una relazione con l'Essere. Dio dimora solo con Se stesso. Ecco perché in questa visione delle cose, la più alta conquista degli esseri umani è raggiungere il livello in cui possono solo contemplare silenziosamente ciò che è eterno. Il filosofo, come Dio, è in definitiva al di là della comunità umana e del mondo.<ref>Cfr. Aristotele, ''Etica Nicomachea'' 1177b25 segg. Per le difficoltà di Platone con questo problema, cfr. ''La Repubblica'' 516c segg.</ref> E considerare l'ordine cosmico come un mero potenziale, una risorsa per il proprio uso, come fa ''homo faber'', qualcosa da superare in astuzia, significa in definitiva considerare il cosmo come spendibile, dispendabile. Tutto l'essere è inghiottito dalla ''technē'' umana. Non c'è, quindi, un autentico ''sentirsi a posto'' nel mondo. Uno è in continua lotta ''contro'' il mondo. Gli esseri umani dimorano solo con e tra di loro, ma questo non dà loro pace. Poiché la lotta contro il mondo si estende alla loro lotta reciproca per il dominio.<ref>Si veda per es., Ginzberg, ''Legends of the Jews'', 1:179.</ref> Per l’''homo faber'', non c'è abbastanza fiducia né nel mondo né nei propri simili in modo da poter godere della vulnerabilità di uno [[w:Shabbat|Shabbat]].
 
=== Obbligo dell'Alleanza e libertà ===