Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 3: differenze tra le versioni

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Le domande da porre ora al pensiero di Rosenzweig sono: (1) Quale esperienza umana non può essere sussunta in una precedente classe universale? (2) Perché non può essere così sussunta? (3) In che modo la trascendenza di questa esperienza umana è necessariamente collegata all'autotrascendenza di Dio nella rivelazione?
 
[[File:Martin Buber portrait.jpg|thumb|240px|right|[[w:Martin Buber|Martin Buber]], [[w:Stato di Israele|Israele]] 1950]]
L'esperienza umana che non può essere sussunta in una precedente classe universale è l'esperienza dell'essere direttamente confrontati da Dio. Per Rosenzweig questa è una possibilità quando, e solo quando, colui a cui Egli si rivolge è stato preparato a questa esperienza dalla più profonda consapevolezza della propria mortalità. Poiché tale consapevolezza è qualcosa che non può essere spiegato dalla generalità del mondo circostante; in effetti, quella generalità può essere utilizzata solo nel tentativo di spiegarla come epifenomenale.<ref>Cfr. ''Star'', 3 segg.; anche, W. Marx, "Die Bedeutung des Todes im ‘Stern der Erlosung’", in ''Der Philosoph Franz Rosenzweig'', cur. Schmied-Kowarzik, 2:611 segg.</ref> Tuttavia, Franz Rosenzweig, come i suoi contemporanei [[w:Karl Barth|Karl Barth]] e [[w:Martin Heidegger|Martin Heidegger]], fu risvegliato a questa consapevolezza primordiale sia dagli eventi annichilenti della Prima guerra mondiale che dagli scritti recentemente ritrovati di [[w:Soren Kierkegaard|Soren Kierkegaard]]. Ora sapeva che questa consapevolezza del significato unico della ''propria'' mortalità è tutt'altro che epifenomenale. È la condizione necessaria per l'autopresentazione di Colui (Dio) che è altro da sé. Quindi, è ciò che rende possibile l'esperienza umana veramente fondante. Si può essere così indirizzati da Dio solo quando uno è pienamente consapevole che questo evento potrebbe benissimo essere l'ultimo evento, cosicché non può essere preso come un punto all'interno di un processo continuo.<ref>{{en}} "God gives man the freedom to make the most significant decision, he gives freedom for just that - only for that. But giving it, he yet retains the powers of realization in his treasure-trove ... so at the end ... there is the driving force of the fear roused by God, the fear that perhaps this day will not be followed by a tomorrow. And through this fear the deed is born at last." ("A Note on a Poem by Judah Ha-Levi," citato in Nahum N. Glatzer, ''Franz Rosenzweig'', II ediz. riv. [New York, 1961], 291 = ''Jehuda Halevi'', 249.) L'intensità di queste parole, scritte da un uomo che soffriva di una malattia terminale, non può non essere qui evidenziata. Cfr. anche M. Avot 2.10 e TB Shabbat 153a rif. {{passo biblico2|Ecclesiaste|9:8}}.</ref> Solo la persona umana, che in e di per se stessa proviene essenzialmente dal vuoto della ''creatio ex nihilo'' ed è diretto verso il nulla della propria morte, solo tale persona è sufficientemente aperta per essere confrontata direttamente da Dio. Solo tale persona non ha un'armatura mediatrice per separare se stessa dall'autorivelazione di Dio.
 
Con questo in mente, diventa ora più chiaro perché l'esperienza diretta che Rosenzweig sta cercando non può essere che quella della rivelazione, cioè la rivelazione di Dio all'uomo. La rivelazione deve essere l'evento fondativo che poi determina il nuovo rapporto della persona trasformata in quanto anima (in opposizione al vuoto "sé" della modernità) sia con gli altri esseri umani che con il mondo circostante.<ref>Cfr. ''Star'', 176; anche, ''Jehuda Halevi'', 114.</ref>
 
[[File:Martin Buber portrait.jpg|thumb|240px|right|[[w:Martin Buber|Martin Buber]], [[w:Stato di Israele|Israele]] 1950]]
A differenza del suo collega Martin Buber, Rosenzweig non vide la trasformazione della persona umana dall'universalità alla particolarità a partire dalla relazione interumana ''Io-Tu'', che va oltre la relazione impersonale ''Io-esso'' e poi ascende fino alla relazione ''Io-Tu'' tra uomo e Dio.<ref>È molto importante notare qui che Buber non arriva alla relazione tra Dio e l'uomo fino alla Parte 3 del suo capolavoro ''[[w:Martin_Buber#Io e Tu (Ich und Du)|Ich und Du]]'', dopo aver costituito la relazione Io-Tu in sostanza a livello di ciò che è tra uomo e uomo.</ref> Sembrerebbe che per Rosenzweig, prima che la traiettoria di tale rapporto raggiungesse Dio, più probabilmente sarebbe ricaduto nella vecchia generalità di un universo etico (cioè kantiano). E lo stesso accadrebbe se la trasformazione della persona umana iniziasse nel rapporto con il mondo in quanto esperienza sensoriale. Perché anche qui, prima che la traiettoria di un tale rapporto raggiungesse Dio, molto probabilmente ricadrebbe nella generalità di un moderno universo scientifico. Nel mondo della scienza moderna (almeno come costituito da Hermann Cohen), Dio è essenzialmente il fondamento transpersonale del mondo. In questo mondo Dio è troppo remoto per rivelarsi direttamente; farlo comprometterebbe la purezza del Suo Essere assoluto. Per Rosenzweig, invece, ogni vera relazione (''Beziehung'') inizia con Dio.<ref>Cfr. ''Jehuda Halevi'', 49.</ref>
 
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Il problema di Rosenzweig è come si passa dall'evento della rivelazione vissuto dall'anima individuale al contenuto della rivelazione che funge da norma per la vita comunitaria? In effetti, c'è qualche contenuto di rivelazione diverso dall'evento della presenza stessa di Dio?
 
Sia Rosenzweig che Buber sembrano dire che la rivelazione è proprio questo, rivelazione e nient'altro.<ref>"Ciò che rivela è ciò che rivela. Ciò che è l'Essere è lì (''Das Seiende ist da''), niente di più (''nichts welter'')" (''I and Thou'', trad. {{en}} W. Kaufmann [New York, 1970], 157-158 = ''Ich und Du'', II ediz. [Heidelberg, 1962], 110-111). Cfr. ''Stern'', 205 (= ''Star'', 161), dove anche Rosenzweig parla di ''einer Offenbarung die nichts weiter als Offenbarung''. Ma, mentre Buber si atteneva a questa definizione con totale coerenza, Rosenzweig (felicemente) la modificò nel suo pensiero successivo.</ref> Solo la presenza di Dio è il vero contenuto dell'evento dell'autorivelazione di Dio. Pertanto, Dio per manifestarsi elegge la persona, il luogo e il tempo. Tuttavia, Rosenzweig e Buber giungono a conclusioni quasi opposte riguardo al rapporto tra la legge ebraica tradizionale ([[w:Halakhah|Halakhah]]) e questa rivelazione fondativa — la legge attraverso la quale la separazione del popolo ebraico che la sua elezione comporta si concretizza in atti specifici e ripetibili. Buber insiste sul fatto che la dicotomia tra il comandamento divino diretto (''Gebot'') agli individui – o anche a una comunità in un particolare evento – e la legge continua e trasmessa di una comunità (''Gesetz'') è incolmabile. Il primo appartiene al mondo di Io-Tu; la seconda appartiene al mondo dell'Io-esso — e mai i due si incontreranno.<ref>Cfr. ''I and Thou'', 156-157; anche, ''Two Types of Faith'', trad. {{en}} N. P. Goldhawk (New York, 1962), 57. Cfr. ''Franz Rosenzweig: On Jewish Learning'', trad. {{en}} W. Wolf, cur. Nahum N. Glatzer (New York, 1955), 115. (Questa è la traduzione integrale in inglese dello scambio di lettere tra Rosenzweig e Buber sulla questione della normatività chiamato ''Die Bauleute''. Cfr. ''Kleinere Seriften'', 106 segg.)</ref> Rosenzweig, d'altra parte, insiste sul fatto che la dicotomia è superabile, che la legge può diventare comandamento. La domanda è come ciò avvenga. Lo stesso Rosenzweig non fu del tutto chiaro al riguardo.<ref>Si veda l'[[Israele – La scelta di un popolo/Appendice 2|Appendice 2]].</ref> Tuttavia, penso che una risposta plausibile a tale domanda possa essere estrapolata da diverse dichiarazioni di Rosenzweig e questo, spero, ci porterà al cuore della sua visione dell'elezione di Israele.
 
 
 
=== L'elezione di Israele e la redenzione del mondo ===