Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 2: differenze tra le versioni

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Ciò non significa, ovviamente, che non si possano vedere beni interumani evidenti intesi da molti dei comandamenti che riguardano le relazioni interumane. Tuttavia, come sottolineò [[Maimonide]] nella sua critica a Saadyah e al [[:en:w:Jewish Kalam|Kalam ebraico]] in generale, l'intelligibilità ultima di tutti i comandamenti deve essere vista nel primato del rapporto umano con Dio, che, trascendendo i limiti del reame specificamente morale, è quindi irriducibile ad esso.<ref>Cfr. ''Shemonah Peraqim'', cap. 6; ''[[Mishneh Torah]]'': Melakhim, 8.11.</ref> L'universalismo morale di Cohen, d'altra parte, non è quindi sufficiente a costituire propriamente il primato di Dio sentito religiosamente (e non solo costituito filosoficamente). E questo è il terreno indispensabile sia della rivelazione della Torah che dell'elezione di Israele.
 
Ciò che Cohen ha fatto nella sua teologia è ridurre la dottrina dell'elezione di Israele alla dottrina della rivelazione della Torah, cioè la Torah concepita principalmente nei termini del suo contenuto morale, la Torah come ''mishpatim'' (leggi razionali). Sembrerebbe che per lui solo coloro che moralmente meritano di essere d'Israele – il simbolo dell'umanità ideale – siano in realtà gli eletti di Dio. Perché solo loro hanno veramente eletto Dio loro stessi. Eppure la tradizione ebraica ha affermato continuamente che anche quegli ebrei la cui apostasia potrebbe rimuoverli dalla comunicazione con gli ebrei normativi in ​​questo mondo e nel Mondo a venire, anche loro fanno ancora parte di Israele, il popolo eletto di Dio, finché sono vivi.<ref>Cfr. TB Sanhedrin 44a rif. {{passo biblico2|Giosuè|7:11}}; TB Yevamot 47b.</ref> Quindi non possono essere considerati già morti – non importa quanto malvagia sia stata la loro negazione dell'alleanza – e non sono mai al di là della chiamata da parte di Dio di ritornare (''[[w:Teshuvah|teshuvah]]''). I singoli ebrei, anche gruppi di ebrei, possono negare la loro elezione nei modi più audaci, ma dal punto di vista di Dio come presentato nella rivelazione scritturale e nella tradizione rabbinica, non possono annullare un'alleanza che essi stessi non hanno né iniziato né mai sono in grado di terminare. L'alleanza è reale. È già stata stabilita per elezione e il suo contenuto dato nella rivelazione. Solo il suo compimento redentore è ideale, vale a dire ciò che non è ancora venuto ad essere. Ma anche tale ideale è una nuova creazione divina la cui realizzazione è promessa all'uomo piuttosto che una proiezione umana destinata a Dio. [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]] nel XV secolo riportò nel suo ''[[:en:w:Sefer HaIkkarim|Sefer Ha-Ikkarim]]'' (ספר העיקרים "Libro dei Principi") le basi fondamentali (''ikkarim'' appunto) del rapporto Dio-uomo nell'ebraismo, coi principi derivativi prodotti dall'alleanza.<ref>{{en}} "Thus the number of primary and secondary principles of divine law in general, according to this, are eleven: existence of God, and the four secondary principles derived from it, viz., unity, incorporeality, independence of time, freedom from defects. Then divine revelation and the three secondary principles depending upon it, viz., God’s knowledge, prophecy, and the authenticity of the prophet’s mission. Finally, reward and punishment, and the secondary principle based upon it, viz., providence. If we combine divine knowledge and providence into one, as Maimonides does, the number will be ten... On the other hand we count God’s knowledge and providence as two separate dogmas, because they are different, as Maimonides explains in the Guide, and as all later authorities agree, though Maimonides himself combines them into one" — [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]], ''Sefer HaIkkarim: Joseph Albo's Fundamentals of Judaism'' (pp. 90-91) cur. & trad. ingl. [[:en:w:Isaac Husik|Isaac Husik]], 1929. Cfr. peranche, ''int. esal.'', TB Berakhot 34b rif. {{passo biblico2|Isaia|64:3}}.</ref>
 
Anche coloro che desiderano convertirsi all'ebraismo devono impegnarsi con il popolo ebraico nella reale situazione storica presente, almeno nella misura in cui devono accettare l'ideale di praticare tutti i comandamenti della Torah Scritta e della Tradizione Orale.<ref>TB Yevamot 47a.</ref> E come lo stesso popolo d'Israele, i convertiti non entrano a far parte di Israele per propria scelta. La loro scelta è solo una condizione preliminare in quanto nessuno può essere veramente convertito senza la sua volontaria conformità.<ref>TB Ketubot 11 a.</ref> Invece, come Israele stesso, divengono eletti perché sono ''stati eletti''.<ref>Cfr. TB Yevamot 22a; TB Kiddushin 70b, [[w:Rashi|Rashi]], ''s.v.'' "yisra'el ketiv".</ref> I membri del [[w:Beth Din|tribunale ebraico]] che li accolgono, operando come agenti della corte divina, hanno sempre la possibilità di non accettarli. La loro scelta è libera; non agiscono per nessuna necessità/obbligo. Sebbene, non essendo Dio, le loro scelte debbano essere giustificate da alcuni criteri oggettivi.<ref>Cfr. TB Yevamot 24b.</ref>