Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 2: differenze tra le versioni

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{{Doppia immagine verticale|right|"Sefer ha-Ikkarim" by Rabbi Joseph Albo.jpg|Page from "Sefer ha-Ikkarim" by Rabbi Joseph Albo.jpg|240|Frontespizio del ''[[:en:w:Sefer HaIkkarim|Sefer Ha-Ikkarim]]'' (ספר העיקרים "Libro dei Principi") di [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]], stampato a [[w:Rimini|Rimini]] da [[w:Soncino (famiglia)#Gershom Soncino|Gershom Soncino]] nel 1522|Pagina del ''Sefer Ha-Ikkarim'' stampato a [[w:Rimini|Rimini]] da Gershom Soncino nel 1522}}
[[File:Sefer Ikarim by Joseph Albo 1853.jpg|thumb|240px|right|Frontespizio del ''[[:en:w:Sefer HaIkkarim|Sefer Ha-Ikkarim]]'' (ספר העיקרים "Libro dei Principi") di [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]], stampato a [[w:Presburgo|Presburgo]] nel 1853]]
È il kantismo di Cohen che lo costringe a fare quella che deve essere considerata una distorsione fondamentale della dottrina ebraica classica. Infatti Cohen non rifiuta mai, e neppure critica, il fondamentale principio kantiano che la legge morale si fonda sull'autonomia della volontà razionale.<ref>"Die Autonomie bedeutet das Prinzip der Deduktion in der Ethik ... Die deduktive Autonomie schliesst ebenso aber auch die absolute Spontanität aus" (''Logik'', 581-582). Cfr. ''Religion of Reason'', 339.</ref> A differenza sia della dottrina della legge rivelata che dell'idea classica di legge naturale, per Kant e per Cohen dopo di lui, la moralità non implica diventare parte di un ordine superiore che trascende il soggetto morale. Invece, la moralità è la propria volontà razionale che intende un ordine ideale, che deve ancora essere. In quanto tale, sebbene il ruolo di Dio nel sistema filosofico-teologico di Cohen sia molto più centrale di quanto non lo sia nel sistema di Kant, anche per Cohen Dio viene introdotto nel sistema dopo la piena costituzione dell'autonomia razionale.<ref>Cfr. ''Ethik'', 470.</ref> È quindi la piena realizzazione dell'autonomia morale che richiede Dio, ma non è mai Dio il primo a richiedere la libertà morale e l'ultimo a giudicarla. "Io sono il primo e sono l'ultimo, e fuori di me non c'è Dio (''elohim'') fuori di Me" ({{passo biblico2|Isaia|44:6}}).<ref>Per ''elohim'' come autorità, immediatamente umana e infine divina, cfr. TB Sanhedrin 56b.</ref> La relativa libertà morale relativa di rispondere ''a chi'' si confronta, ma ''ciò'' che non può mai realizzarefare o postulare, è essenzialmente diversa dalla libertà assoluta del creatore di qualsiasi mondo, reale o ideale.<ref>Cfr. ''Ethik'', 321 segg.; anche, Hannah Arendt, ''The Life of the Mind'' (2 voll., New York, 1978), 2:28-29, 89.</ref> Per Cohen, quindi, il soggetto umano come agente morale razionale può solo volere e scegliere, non può mai essere scelto da chi gli si rivolge dall'alto e quindi rispondere principalmente a quella scelta.
 
Per questo motivo, la subordinazione ebraica fondamentalmente liberale da parte di Cohen dei cosiddetti comandamenti "rituali" – cioè quelli che riguardano il rapporto diretto tra l'uomo e Dio (''bein adam le-maqom'') – ai cosiddetti comandamenti "morali" – cioè quelli che attengono al rapporto diretto tra uomo e uomo (''bein adam le-havero'') – è un'inversione del contenuto della rivelazione nella Scrittura e dell'insegnamento dei rabbini. In termini di fonte dei comandamenti, entrambi i tipi provengono ugualmente da Dio.<ref>Cfr. TB Hagigah 3b rif. {{passo biblico2|Esodo|20:1}} e {{passo biblico2|Ecclesiaste|12:11}}.</ref> In termini di soggetti dei comandamenti, entrambi i tipi sono ugualmente indirizzati agli esseri umani.<ref>Cfr. TB Kiddushin 54a e paralleli.</ref> La differenza sta tuttavia in termini di oggetti dei rispettivi tipi di comandamenti. Con i comandamenti tra l'uomo e Dio, Dio è l'oggetto diretto; con i comandamenti tra uomo e uomo, l'uomo è l'oggetto diretto.<ref>Ecco perché, mi sembra, Maimonide limitò la recita delle benedizioni prima dei comandamenti (''birkhot mitsvah'') ai comandamenti in cui Dio è l'oggetto diretto dell'atto, atti che ora (purtroppo) chiamiamo "rituali" in contrapposizione a quelli che noi ora chiama "morali". Cfr. ''[[Mishneh Torah]]'': Berakhot, 11.2 e Karo, ''Kesef Mishneh'' ''ad hoc''. Cfr. R. Solomon ibn Adret, ''Teshuvot Ha-Rashba'', 1, no. 1.</ref> Ma nel caso di quest'ultimo tipo di comandamenti, Dio è l'oggetto indiretto. Quindi entrambi i tipi di comandamenti in definitiva intendono Dio. E l'epitome della relazione Dio-umano in questo mondo è l'alleanza tra Dio e Israele, alleanza che è sempre iniziata dall'elezione di Israele da parte di Dio. Quindi i comandamenti interumani sono inclusi nel reame dei comandamenti divini-umani, dell'alleanza, ma non è il caso del contrario. Il miglior esempio di ciò, mi sembra, è che chi è colpevole di un peccato contro un altro essere umano è anche colpevole di un peccato contro Dio, ma chi è colpevole di un peccato contro Dio non è anche colpevole di un peccato contro altri esseri umani.<ref>Si veda per es., ''Sifra'': Vayiqra, cur. Weiss, 27d rif. {{passo biblico2|Levitico|5:21}}; T Sanhedrin 9.7 rif. {{passo biblico2|Deuteronomio|21:23}}; M. Yoma 8.9 e TB Yoma 87a rif. {{passo biblico2|1Samuele|2:25}}; TB Yevamot 6b rif. {{passo biblico2|Levitico|19:3}} e ''Tos.'', ''s.v.'' "kulkhem."</ref>
 
Ciò non significa, ovviamente, che non si possano vedere beni interumani evidenti intesi da molti dei comandamenti che riguardano le relazioni interumane. Tuttavia, come sottolineò [[Maimonide]] nella sua critica a Saadyah e al [[:en:w:Jewish Kalam|Kalam ebraico]] in generale, l'intelligibilità ultima di tutti i comandamenti deve essere vista nel primato del rapporto umano con Dio, che, trascendendo i limiti del reame specificamente morale, è quindi irriducibile ad esso.<ref>Cfr. ''Shemonah Peraqim'', cap. 6; ''[[Mishneh Torah]]'': Melakhim, 8.11.</ref> L'universalismo morale di Cohen, d'altra parte, non è quindi sufficiente a costituire propriamente il primato di Dio sentito religiosamente (e non solo costituito filosoficamente). E questo è il terreno indispensabile sia della rivelazione della Torah che dell'elezione di Israele.
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Ciò che Cohen ha fatto nella sua teologia è ridurre la dottrina dell'elezione di Israele alla dottrina della rivelazione della Torah, cioè la Torah concepita principalmente nei termini del suo contenuto morale, la Torah come ''mishpatim'' (leggi razionali). Sembrerebbe che per lui solo coloro che moralmente meritano di essere d'Israele – il simbolo dell'umanità ideale – siano in realtà gli eletti di Dio. Perché solo loro hanno veramente eletto Dio loro stessi. Eppure la tradizione ebraica ha affermato continuamente che anche quegli ebrei la cui apostasia potrebbe rimuoverli dalla comunicazione con gli ebrei normativi in ​​questo mondo e nel Mondo a venire, anche loro fanno ancora parte di Israele, il popolo eletto di Dio, finché sono vivi.<ref>Cfr. TB Sanhedrin 44a rif. {{passo biblico2|Giosuè|7:11}}; TB Yevamot 47b.</ref> Quindi non possono essere considerati già morti – non importa quanto malvagia sia stata la loro negazione dell'alleanza – e non sono mai al di là della chiamata da parte di Dio di ritornare (''[[w:Teshuvah|teshuvah]]''). I singoli ebrei, anche gruppi di ebrei, possono negare la loro elezione nei modi più audaci, ma dal punto di vista di Dio come presentato nella rivelazione scritturale e nella tradizione rabbinica, non possono annullare un'alleanza che essi stessi non hanno né iniziato né mai sono in grado di terminare. L'alleanza è reale. È già stata stabilita per elezione e il suo contenuto dato nella rivelazione. Solo il suo compimento redentore è ideale, vale a dire ciò che non è ancora venuto ad essere. Ma anche tale ideale è una nuova creazione divina la cui realizzazione è promessa all'uomo piuttosto che una proiezione umana destinata a Dio.<ref>Cfr. per es., TB Berakhot 34b rif. {{passo biblico2|Isaia|64:3}}.</ref>
 
Anche coloro che desiderano convertirsi all'ebraismo devono impegnarsi con il popolo ebraico nella reale situazione storica presente, almeno nella misura in cui devono accettare l'ideale di praticare tutti i comandamenti della Torah Scritta e della Tradizione Orale.<ref>TB Yevamot 47a.</ref> E come lo stesso popolo d'Israele, i convertiti non entrano a far parte di Israele per propria scelta. La loro scelta è solo una condizione preliminare in quanto nessuno può essere veramente convertito senza la sua volontaria conformità.<ref>TB Ketubot 11 a.</ref> Invece, come Israele stesso, divengono eletti perché sono ''stati eletti''.<ref>Cfr. TB Yevamot 22a; TB Kiddushin 70b, [[w:Rashi|Rashi]], ''s.v.'' "yisra'el ketiv".</ref> I membri del [[w:Beth Din|tribunale ebraico]] che li accolgono, operando come agenti della corte divina, hanno sempre la possibilità di non accettarli. La loro scelta è libera; non agiscono per nessuna necessità/obbligo. Sebbene, non essendo Dio, le loro scelte debbano essere giustificate da alcuni criteri oggettivi.<ref>Cfr. TB Yevamot 24b.</ref>
 
L'inadeguatezza specifica della teologia dell'elezione proposta da Cohen può essere vista nel suo uso delle [[w:leggi noachiche|leggi noachiche]]. Svolgono un ruolo centrale nella costituzione della moralità di Cohen a partire dalle fonti dell'ebraismo. Per Cohen, le leggi noachiche, che riguardano l'umanità in sé, sono il contenuto essenziale della Torah proprio perché sono esclusivamente morali (a suo avviso comunque) e l'essenza della Torah è la moralità. Tuttavia, non può costituire tutta la spinta dell'insegnamento rabbinico che sottolinea che la rivelazione a Israele è più alta e più completa della rivelazione al mondo in generale, che la Torah tratta molto di più della semplice moralità.
 
La dottrina delle leggi noachiche indica che il contenuto normativo della Torah è duplice: la parte maggiore relativa al rapporto tra Dio e Israele; la parte minore concernente i rapporti umani più generali. La parte maggiore della Torah consiste nei [[w:613 Mitzvot|613 comandamenti]]; la parte minore è costituita dai [[w:Noachismo|sette comandamenti di Noè]]. Il modo migliore per costituire la relazione di queste due parti è vedere la Torah noachica come la precondizione che rende possibile l'accettazione della Torah mosaica completa da parte delle persone razionali. L'accettazione della legge più alta presuppone che coloro che l'accettano stanno già vivendo secondo la legge divina e che la loro legge è aperta a una realizzazione più alta e più completa del suo pieno intento.
 
Questa legge precondizionale è incorporata intatta in quella legge superiore. Funziona come condizione morale – ma non come fondamento morale secondo Cohen – di quella legge superiore. È la norma per la creazione, quella mediata dall'ordine naturale. Tale norma emerge quando le persone umane accettano i loro limiti di creature, sia individualmente che collettivamente, come istituiti dal loro creatore.<ref>Cfr. D. Novak, ''Law and Theology in Judaism'' (2 voll., New York, 1974, 1976), 2:15 segg.</ref> Di conseguenza, ordinano formalmente la loro vita ''in base'' a questi limiti presi per natura, e il contenuto che è ''entro'' questi limiti lo sviluppano come storia. Ciò che è naturale è generale; ciò che è storico è singolare. E il singolare non è ''una'' particolarità sussunta dal generale ''qua'' universale, come lo è per Cohen che segue Kant e infine Platone. Non è solo un esempio.
 
Infine, questa legge collega Israele con il suo passato pre-sinaitico e la collega anche con i suoi vicini non ebrei. È l'unica base di una relazione moralmente significativa con loro. Tuttavia, è una relazione che riconosce che le sue somiglianze formali sono di gran lunga superate da quelle differenze sostanziali che non possono essere incluse in essa. Per Cohen, questa legge generale è ora la legge morale universale che deve essere il contenuto, la sostanza stessa dell'umanità messianicamente elevata e trasformata (''aufgehoben''). È l'umanità in cui non vengono mantenute singolarità storiche differenzianti. '''Nella visione ebraica più classica''', invece, questa legge generale manterrà la sua funzione formale, né più né meno. Ma la singolarità ebraica non sarà mai ''aufgehoben'' in qualcosa di più universale, nemmeno idealmente. Alla [[w:fine del mondo|fine dei giorni]], le nazioni del mondo diventeranno a tutti gli effetti una cosa sola con Israele in tutta la sua singolarità. Il contenuto della loro vita diventerà ebraico. Solo la singolarità di Israele, non la loro, durerà e sarà redenta. Pertanto, l'elezione di Israele – che la maggior parte dei comandamenti della Torah rivelata celebra in un modo o nell'altro – è sempre centrale nel rapporto tra Dio e l'uomo. Anche in relazione al riscatto finale, non è provvisorio come risulta essere per Cohen.
 
Oltre a sostenere una maggiore corrispondenza con le fonti ebraiche classiche, un'alternativa alla teologia dell'elezione di Cohen deve essere anche più coerente filosoficamente. Perché, come lo stesso Cohen riconobbe così bene, metodo e dati non possono essere separati in modo permanente.<ref>Cfr. ''Religion of Reason'', 4.</ref> Solo una tale alternativa può sperare di contrastare la teologia di un pensatore che era un tale maestro sia dei dati della tradizione ebraica che del metodo filosofico. Solo una tale alternativa può rispettare adeguatamente Hermann Cohen differendo efficacemente da lui su un livello di razionalità degno della sua vera grandezza.<ref>Un tale tentativo è stato fatto da [[w:Mordecai Kaplan|Mordecai Kaplan]] nel suo ''The Purpose and Meaning of Jewish Existence'' (Philadelphia, 1964). Ma la costituzione dell'ebraismo di Kaplan è molto meno convincente di quella di Cohen, sia in termini di corrispondenza con i dati della tradizione ebraica che di coerenza e rigore filosofico.</ref>
 
== Note ==