Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 2: differenze tra le versioni

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== IL CONCETTO DI ELEZIONE SECONDO HERMAN COHEN ==
 
=== Spinoza e Cohen ===
[[File:Baruch Spinoza, Nederlandse filosoof en lenzenslijper. Zijn bekendste werk is Et, Bestanddeelnr 935-0842.jpg|thumb|left|200px|Ritratto di Baruch Spinoza]]
[[File:Hermann Struck Grafik JMBerlin GDR 98 1 6.jpg|thumb|200px|right|''Ritratto di Hermann Cohen'', acquaforte di [[w:Hermann Struck|Hermann Struck]] (1903)]]
=== Spinoza e Cohen ===
È difficile immaginare che un filosofo abbia un'avversione maggiore per qualsiasi altro filosofo di quanto Hermann Cohen avesse per Spinoza. Questa avversione derivava dai due aspetti più importanti della vita di Cohen: il suo essere un ebreo e il suo essere un filosofo. Credeva che Spinoza avesse fatto un danno grave e quasi irrevocabile alle due istituzioni culturali che Cohen amava di più: l'ebraismo e la filosofia.
 
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=== L'unicità di Israele nella correlazione divino-umana ===
Si può comprendere meglio la costituzione filosofica di Hermann Cohen in merito alla dottrina ebraica classica dell'elezione di Israele se si ricorda che nella sua teologia la Torah è prioritaria per l'importanza che ha per il popolo di Israele. L'elezione è costantemente subordinata alla rivelazione. L'essenza della Torah, per Cohen, è la legge morale primordiale del cosmo, una legge razionale che ora è ideale, ma che Dio nell'età messianica renderà pienamente efficace.
 
La vera Torah, quindi, è la legge morale universale. Come afferma chiaramente Cohen, "La Legge (''das Gesetz''), quindi, è principalmente chiamata insegnamento (''Lehre'') ... l'unico scopo della legge è la sua [dell'uomo] perfezione morale, il suo compimento come uomo".<ref>''Religion of Reason'', 338 = Tedesco, 393-394. Lì Cohen fa la distinzione ebraica liberale tra l'origine divina della Torah insieme alla specificazione umana dei suoi effettivi doveri. "Es ist ... eine theoretische Unterweisung, die daher dem Menschen zur Pflicht gemacht werden kann."</ref> Tuttavia, cosa si fa con la maggior parte della Torah che è così chiaramente particolaristica, relativa alla vita unica del popolo ebraico? Per essere più vicino a gran parte dello stimolo determinante della tradizione ebraica, un teologo-filosofo ebreo non dovrebbe costituire il particolare come anteriore all'universale, o per dirla nei termini più originariamente ontologici, non dovrebbe costituire l'esistenza prima dell'essenza?<ref>Su questo punto, cfr. D. Novak, ''Jewish-Christian Dialogue'' (New York, 1989), 1 i5ff. Cfr. Franz Rosenzweig, ''The Star of Redemption'', trad. {{en}} W. W. Hallo (New York, 1970), 12 segg.</ref> Questa, tuttavia, è una mossa troppo radicale per essere compiuta dal filosofo Cohen. Infatti la sua ontologia è derivata da Kant – e più originalmente da Platone – e poi applicata all'ebraismo. In questa ontologia, l'essenza è prima dell'esistenza, fondando così un'epistemologia in cui l'universale è prima del particolare. Pertanto, la domanda che Hermann Cohen doveva affrontare come teologo ebreo è come il particolarismo del popolo ebraico, endemico della dottrina dell'elezione di Israele, potesse essere giustificato dai criteri universalistici che come filosofo aveva accettato da Platone tramite Kant. Senza tale giustificazione, Cohen non poteva portare in modo convincente la sua filosofia sistematica ad influenzare la sua reinterpretazione delle fonti storiche della teologia ebraica. E sullo sfondo, a dire il vero, c'era la sfida di Spinoza secondo cui la continua esistenza dell'ebraismo è antitetica alla costruzione di una società razionale degna di persone razionali.
 
Su basi puramente kantiane, il particolarismo della dottrina dell'elezione di Israele sembra essere imbarazzante.<ref>Per la difficoltà che i liturgisti della prima Riforma (per lo più tedeschi) ebbero con la dottrina classica, si veda Jakob J. Petuchowski, ''Prayerbook Reform in Europe'' (New York, 1968), capp. 9, 11, 12.</ref> Cohen affronta la questione in modo onesto e diretto:
{{citazione|Rimane quindi la domanda come potrebbe questo pensiero di un Dio unico (''ein einzigen Gottes'') manifestarsi unicamente e solo (''einzig und allein'') allo spirito di questo popolo? ... questo universalismo non mette forse in discussione non solo Israele ma ogni popolo nella sua particolarità (''seiner Sonderheit'')? ... Come ci deve apparire incomprensibile l'origine del Messianismo nel mezzo di una coscienza nazionale, in quanto ha dovuto pensare e sentire l'"elezione" (''Enwählung'') di Israele come un scelta (''Auserwählung'') per il culto di Dio.<ref>''Religion of Reason'', 243 ( = Tedesco, 284). Per il tipo di critica perenne del particolarismo ebraico a cui Cohen stava tentando di rispondere (in questo caso, in anticipazione), si veda Eric Voegelin, ''Order and History'' (Baton Rouge, La., 1957), 1:327. Per un trattamento percettivo di come l'imbarazzo nei confronti della singolarità degli eventi storici nella relazione Dio-uomo sia avvenuto a pieno vigore nel deismo del diciottesimo secolo, su veda Charles Taylor, ''Sources of the Self'' (Cambridge, Mass., 1989), 273-274.</ref>}}
 
Per comprendere correttamente questo brano, bisogna essere consapevoli del significato delle categorie di "singolarità" (''Einzigkeit'') e "unità" (''Einheit'') nella filosofia di Cohen.
 
Per Cohen, la designazione di Dio come "uno" (''ehad'') non significa che Dio sia "uno" tra molti come il numero uno, né significa che Dio sia un'entità composta da varie parti. Se Dio fosse semplicemente uno tra i tanti, sarebbe meno dell'assoluto, e il monoteismo (la continua designazione di Cohen della vera religione, di cui l'ebraismo è l'epitome) sarebbe in definitiva un banale [[w:enoteismo|enoteismo]] (gr. εἷς/''heîs'' "uno" e θεός/''theós'' "dio"). E, se Dio fosse un'unità di più parti, la distinzione tra Dio e natura si dissolverebbe in una sorta di [[w:panteismo|panteismo]] (πάν/''pán'' = tutto e θεός/''theós'' = Dio, letter. "Dio è Tutto" e "Tutto è Dio") , che è il punto che Cohen non si stancherà mai di usare per condannare filosoficamente Spinoza. Dio è, quindi, ''einzig'', cioè l'unica singolarità totalmente trascendente. Dio solo è l'Essere di per sé.<ref>Cfr. "Einheit oder Einzigkeit Gottes" (1917), in Jüdische Schriften, 3:87 segg.; anche, ''Logik'', 169-170, 474.</ref> Il divenire umano, che si pone come compito infinito della perfezione morale, è di condurre all'unificazione (''Einheit'') dell'umanità in correlazione con l'Essere di Dio quale ideale singolare ma irraggiungibile di tutti gli ideali.
 
Seguendo questa linea di pensiero, quindi, sembrerebbe che qualsiasi individuo che rivendichi per sé la vera ''Einzigkeit'' (singolarità) confonderebbe, in effetti, radicalmente il divenire umano con l'Essere divino. ''Einheit'' (unità universale) è il fine umano ultimo verso il quale ogni popolo deve progredire e dal quale nessun popolo dovrebbe mai deviare. Ma non sembra che il popolo ebraico, con il suo continuo autoisolamento, si stia muovendo nella direzione opposta? I moderni antisemiti, con cui Cohen era fin troppo familiare, non hanno ragione nell'accusare gli ebrei non solo di essere fuori dalla tendenza progressista e universale della storia ma, peggio ancora, di essere un grosso ostacolo ad essa?<ref>Cfr. per es., "Ein Bekenntnis in der Judenfrage" (1880), in ''Jüdische Schriften'', 2:73 segg.</ref> Tuttavia, nonostante la gravità di questa accusa e la sua ampia accettazione da parte di non-ebrei ed ebrei assimilazionisti (che detestava), Cohen credeva di avere una risposta a questa accusa di particolarismo antiprogressista. Nel presentare la sua risposta, fece appello a tutta la sua forza filosofica e alla sua ampia e profonda conoscenza della tradizione ebraica. La sua risposta è un ''tour de force'' significativo nel pensiero ebraico moderno.
 
 
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