Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 2: differenze tra le versioni

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Nel campo dell'etica, Cohen è alquanto letterale nella sua accettazione della nozione di autonomia di Kant.<ref>Cfr. ''ibid.'', 321 segg.</ref> Le uniche regole morali che sono razionalmente valide sono quelle che il soggetto morale ha voluto per se stesso insieme a ogni altro possibile soggetto morale. L'autonomia, quindi, non è "autogoverno" nel senso di soggettivismo pratico ("faccio le mie cose / faccio da me", nel linguaggio popolare odierno); piuttosto, è il sé che dà voce all'idea della stessa legge razionale creando un mondo ideale attraverso la sua pura volontà — un "regno dei fini", nelle parole di Kant.<ref>Cfr. ''Groundwork of the Metaphysic of Morals'', trad. {{en}} H. J. Paton (New York, 1964), 100 segg.</ref> Questo reame ideale è costruito con l'assunzione della dignità primaria di soggetti morali, che secondo il criterio della coerenza universale determinano un sistema di regole fatte da loro stessi e solo per se stessi.<ref>Cfr. ''Ethik'', 341. La seconda formulazione dell'imperativo categorico di Kant, cioè il soggetto morale come ''Zweck an sich selbst'', è per Cohen "der tiefste und machtigste Sinn" (''ibid.'', 322).</ref> Così l'autonomia funziona come origine (''Ursprung'') dell'etica allo stesso modo in cui la logica funziona come origine della scienza. Ma il vantaggio dell'origine etica è che è meno ingombrante dell'origine scientifica; è meno condizionata (''unbedingt'').<ref>Cfr. ''ibid.'', 425. Cfr. anche, ''ibid.'', 14, dove Cohen considera l'idealismo etico come "von der Tyrannei der Erfahrung sich frei macht."</ref>
 
Poiché Cohen segue Kant nel rimuovere Dio dalla costruzione del suo sistema di ragion teoretica, e poiché elimina il Dio postulato kantiano ("il dispensatore di felicità") dal suo sistema etico, sembrerebbe che non ci sia proprio posto per Dio nella sua filosofia sistematica. Tuttavia, a dir il vero, Cohen conserva il meglio per ultimo. E cioè invoca l'idea di Dio come risposta alla questione sulla correlazione tra scienza ed etica.<ref>Cfr. ''ibid.'', 425.</ref> Il peso essenziale della domanda è dal lato dell'[[w:etica|etica]].
 
L'etica, pur ponendo l'origine più idealmente creativa nell'idea di autonomia, non può ancora rispondere da sola alla domanda di efficacia, cioè, alla fine, è qualcosa di più che un elaborato ''corpus'' di buone intenzioni? L'etica non sembra spiegare nulla nel mondo fenomenico, governato com'è da una causalità totalmente deterministica.<ref>Cfr. Kant, {{en}} ''Critique of Practical Reason'', 117 segg.</ref> In questo mondo, libertà e teleologia, i due elementi indispensabili per qualsiasi etica, semplicemente non esistono in alcun senso significativo.<ref>Cfr. Kant, ''Critique of Pure Reason'', B395 e relativa nota; ''Critique of Judgment'', trad. {{en}} J . H. Bernard (New York, 1951), sez. 68.</ref> Come tale, in fondo l'etica non è semplicemente una forma di interiorità eterea? L'etica non è in definitiva assurda se non può volere ciò che è realizzabile?
 
Anche Kant affronta questa domanda e cerca di rispondere postulando Dio come l'ultimo dispensatore di felicità per i soggetti morali. Cohen, come abbiamo visto, rifiuta questa risposta alla questione dell'efficacia morale perché implica l'assunto che un'esperienza sia la causa finale della stessa capacità umana che dovrebbe trascendere l'esperienza e i suoi limiti. Cohen vede questo come un ritorno inaccettabile al tipo di [[w:eudemonismo|eudemonismo]] oltre il quale l'intera filosofia pratica di Kant intende portarci. Pertanto, per Cohen, Dio non è il dispensatore della felicità postulata ''nell'ambito'' dell'etica; piuttosto, Dio è l'origine di tutte le origini, l'idea primaria che permette all'etica di essere realmente efficace, cioè di governare in definitiva tutti i fenomeni.<ref>"Der Gott, welcher die Wahrheit ist; welcher die Harmonie der Naturerkenntnis und der Sittlichen Erkenntnis bedeutet" (''Ethik'', 455).</ref> In questo modo, dunque, Dio trascende l'ambito morale – inteso come attività umana – e non solo l'ambito fisico, sebbene Cohen non sembri vedere alcun significato dell'essere divino che non sia correlato alla moralità umana.<ref>Cfr. ''ibid.'', 470, dove Cohen sostiene che Dio trascende la natura e la moralità quando ''ciascuna'' viene presa ''separatamente''. Tuttavia, Dio è concepito nel punto in cui "die Transzendenz zwischen Natur und Sittlichkeit aufgehoben wird". Resta la domanda, tuttavia, se Cohen possa ipotizzare che ci sia ''più'' di questo riguardo a Dio, anche se non può costituirlo — come la posizione di Kant del ''Ding an sich'', che non poteva costituire (cfr. ''Critique of Pure Reason'', B306). In un brano di ''Religion of Reason'', Cohen dice degli attributi dell'azione predicati da Dio dalla Scrittura, "queste norme sono contenute nell'essenza di Dio, ma è impossibile immaginare (''nicht auszudenken'') che potrebbero esaurire (''erschöpfen'') questa essenza: potevano essere stati concepiti solo per l'uomo, potevano valere solo per le azioni dell'uomo" (95 = ''Religion der Vernunft aus den Quellen des Judentums'', II ediz. [Darmstadt, 1966], 110). Inoltre, la nota di chiusura di Cohen a questo passo (nota 16, p. 464) cita [[Maimonide]], ''[[Guida dei perplessi]]'', 1.54, dove Maimonide afferma chiaramente che Dio trascende i suoi attributi di azione. Sebbene il significato del brano di cui sopra in Cohen sembri chiaro, è certamente atipico per lo stesso Hermann Cohen. Molto più tipico della sua teologia è un'affermazione come questa: "nicht Gott allein und an sich, sondern immer nur in Korrelation zum Menschen" (''Der Begriff der Religion'', 32). Cfr. anche, ''Ethik'', 591: "Innere Beziehungen der Kantischen Philosophic zum Judentum", ''Jüdische Schriften'', 1:294.</ref> Quindi la causalità ontologica primaria è noumenale, crea i propri scopi, ma non è uno qualsiasi di quegli stessi scopi.<ref>Per la distinzione tra ''Zweck'' come "fine" e ''Absicht'' come "scopo" nella filosofia di Kant, cfr. D. Novak, ''Suicide and Morality'' (New York, 1975), 91-92.</ref> In quanto ideale infinito di tutti gli ideali, Dio è al di là del raggiungimento teleologico da parte di qualsiasi entità finita. Non ci può mai essere alcuna unificazione del finito e dell'infinito, anche nell'Era Messianica. Dio è sempre trascendente, sia all'inizio in quanto idea, sia alla fine in quanto ideale. Quindi Dio è ciò che rende in definitiva possibile la completa correlazione tra mondo dell'etica e mondo della scienza.<ref>Cfr. ''Ethik'', 466 segg.</ref> Così facendo, Cohen è convinto di aver salvato lo ''status'' assoluto di Dio, senza compromettere in alcun modo la funzione più specificatamente originatrice dell'autonomia nell'etica e della logica nella scienza.
 
Attraverso questo tipo di costruzione filosofica sistematica, Cohen ha salvato Dio come l'assoluto. Può quindi reintrodurre la classica distinzione ontologica tra essere e divenire. Per Cohen, Dio è l'Essere, ciò che è perfetto in sé e per sé e da cui si misura ogni cosa che è di meno. Tutto il meno, quindi, è in uno stato di sviluppo, cioè sta ''diventando'' ciò che aspira a essere.<ref>Cfr. ''Der Begriff der Religion'', 47 segg.; ''Religion of Reason'', 59 segg.</ref> Pertanto, anche se l'Essere di Dio fonda i reami sia della scienza che dell'etica, ha l'effetto più diretto sull'etica. Perché è qui che si trova lo sforzo teleologico, l'aspirazione cosciente di diventare ''ad essere'' la sua perfezione. Questo sforzo è visto come il passaggio dal particolare e contingente all'universale e necessario.
 
Adottando la classica designazione ontologica di Dio come Essere, Cohen ha rimosso dal reame del divino i tre elementi ontologici che, come abbiamo visto nel Capitolo precedente, sono necessari in ogni costituzione filosofica della dottrina teologica classica dell'elezione. Questi elementi sono: possibilità, relazione reciproca e scopo.
 
Nella sua adozione della classica distinzione ontologica tra essere e divenire, l'ontologia di Cohen è diversa da quella di Spinoza. Costituire una relazione ontologica tra l'essere e il divenire è costituire una relazione che è essenzialmente teleologica. L'essere funziona come il ''telos'' o l'ideale del divenire. Su questo punto Cohen è molto nella tradizione del [[w:platonismo|platonismo]].<ref>Cfr. ''Religion of Reason'', 67. L'identificazione di Dio e dell'Essere entra per la prima volta nell'ebraismo con la traduzione LXX di {{passo biblico2|Esodo|3:14}} ("[[w:Io sono colui che sono|Io Sono Colui che Sono" ebr. אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה‎, ''ʾehyeh ʾašer ʾehyeh'') come "eimi ho ōn": "Io sono l'Essere". Per una discussione completa sulle ramificazioni teologiche dell'identificazione del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe con il Dio dei filosofi, cfr. D. Novak, "Buber and Tillich," ''Journal of Ecumenical Studies'' (1992), 29:159 segg.</ref> Spinoza, invece, che è molto nella tradizione monistica di [[w:Parmenide|Parmenide]], non costituisce tale relazione sul piano ontologico.<ref>Per la presentazione fatta da Cohen di una linea di panteismo da Parmenide a Spinoza, si veda ''Religion of Reason'', 59 segg.</ref> Tutto è quello che è, cioè ''sub specie aeternitatis'', dal punto di vista della natura in sé (''natura naturans''). Il mutamento, al contrario, sono solo le modalità dell'apparire che sperimentiamo ''sub specie durationis''.<ref>Cfr. ''Ethics'', V, prop. 7.</ref> Inoltre, gli esseri (''natura naturata'') non aspirano ad essere ciò che non sono ora; piuttosto, seguono solo il loro innato corso d'azione (''conatus'') che è sempre stato determinato come tale.<ref>Cfr. ''ibid.'', III , prop. 7.</ref>
 
=== L'unicità di Israele nella correlazione divino-umana ===