Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 2: differenze tra le versioni

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Kant aveva bandito del tutto l'idea di Dio dalla sua filosofia teoretica, cioè dalla filosofia interessata alla nostra esperienza degli oggetti dei sensi in quanto fenomeni, e confinava ogni uso significativo dell'idea al reame della filosofia pratica, cioè all'etica. Nell'etica Dio funziona come un postulato di ciò che Kant chiama "[[w:Critica della ragion pratica|ragion pratica pura]]". Il postulato dell'esistenza di Dio è necessario per assicurare agli agenti morali che ancora vivono nel mondo fenomenico moralmente indifferente che la loro adesione alle massime formulate dall'imperativo categorico alla fine porterà loro risultati reali. Senza tali risultati, l'intenzionalità del ragionamento morale sarebbe assurdamente inefficace. Questi risultati realmente desiderati sono riassunti nel termine "felicità" (''Gluckseligkeit'').<ref>Cfr. ''[[w:Critica della ragion pratica|Critica della ragion pratica]]'', ''ad hoc''.</ref>
 
Il problema con questa idea di Dio, per Cohen, è che compromette il primato di Dio, riducendo Dio a funzionare come mezzo per il fine della felicità umana. Un tale "Dio" difficilmente soddisfa l'affermazione del primato di Dio su cui insistono tanto le religioni tradizionali – l'ebraismo in particolare – quanto l'ontologia classica.<ref>Cfr. "Innere Beziehungen der Kantischen Philosophic zum Judentum" (1910), in ''Jüdische Schriften'', 1:293, anche ''Der Begriff der Religion im System der Philosophie'' (Giessen, 1915). 51.</ref> Quindi, per quanto riguarda Cohen, solo un Dio che funziona da vera "origine" (''Ursprung'') è assolutamente degno del nome "Dio".<ref>Cfr. ''Religion of Reason Out of the Sources of Judaism'', trad. {{en}} S. Kaplan (New York, 1972), 63-64, dove Cohen constituisce la ''creatio ex nihilo'' quale espressione teologica di Dio come ''Ursprung''.</ref> E per "origine" Cohen non intende un inizio storico (''Anfang''), ma piuttosto un punto di partenza noetico, come una premessa in un'inferenza logica, o ciò che Spinoza chiamò ''causa sui'', vale a dire, causalità per definizione.<ref>Si veda ''Logik der reinen Erkenntnis'', III ediz. (Berlino, 1922), 79, dove Cohen definisce ''Ursprung'' quella che i filosofi greci chiamavano ''archē''. Si noti anche ''ibid.'', 36: "Denken ist Denken des Ursprungs. Dem Ursprung darf nichts gegeben sein ... Der Grund muss Ursprung werden." Cfr. ''Religion of Reason'', 69.</ref> La domanda è proprio come Dio funzioni quale ''origine'' nel sistema filosofico di Cohen. Questa domanda deve essere risolta prima di poter capire meglio come Cohen vede l'elezione come una relazione che coinvolge questo Dio ''originatore''.
 
La rottura di Cohen con Kant sul ruolo di Dio nella ragion pratica deriva dalla sua rottura con Kant sull'origine della ragion teorica. Nella sua costituzione della ragion teorica (''Erkenntnis''), Cohen rimuove la nozione di Kant della "cosa in sé" (''Ding an sich''), cioè l'insistenza di Kant sul fatto che ci sia una realtà transesperienziale che sta dietro a tutti i fenomeni che sperimentiamo, e che è una realtà che fonda gli oggetti dell'esperienza in un modo o nell'altro. Agli occhi di Cohen, tale insistenza è un ostacolo alla vera comprensione del ruolo che la ragione gioca nella ragion teorica, specialmente nelle scienze naturali.<ref>Cfr. ''Logik''376-377; e si noti 271: "Die Bedingung ist die Be Dingung ... Die Bedingung ist die Ding-Erzeugung." Cfr. anche ''Ethik'', 25.</ref> Non c'è dubbio che questa rottura con Kant sia stata resa plausibile dai progressi della scienza e soprattutto della matematica nel diciannovesimo secolo, progressi dai quali Cohen fu fortemente influenzato.<ref>Ciò è alquanto evidente in Cohen, ''Das Prinzip der Infinitesimal-Methode und seine Geschichte'' (Frankfurt-on-Main, 1968), per es., sez. 100.</ref> Questi progressi mostrarono che il ruolo della ragione è molto più costruttivo di quanto si pensasse prima. Inoltre, la nozione di "cosa in sé" sembrava essere una concessione eccessiva al tipo di [[w:empirismo|empirismo]] che Cohen pensava fosse stato così completamente screditato a suo tempo dall'[[w:idealismo|idealismo]].<ref>Cfr. ''Logik'', 596.</ref> (Anche se Cohen era molto antihegeliano, su quest'ultimo punto almeno lui ed [[w:Georg Wilhelm Friedrich Hegel|Hegel]] erano abbastanza vicini.<ref>Cfr. Walter Kaufmann, ''Hegel'' (Garden City, N.Y., 1966), 182-83; anche R. Plant, ''Hegel'' (Bloomington & Londra, 1973), 81-82.</ref>) Nell'empirismo, la funzione fondamentale della ragione è quella di essere una descrizione ''dell''’esperienza e, in definitiva, ad essa, quindi, subordinata.
 
Rimuovendo la "cosa in sé" dalla considerazione nella ragion teorica, Cohen ha spostato il luogo della ragion teorica dall'oggetto al soggetto pensante in modo più completo di quanto Kant fosse stato in grado di fare. Di conseguenza, i "dati" non sono più ciò che vien dato alla ragione, ma piuttosto ciò che la ragione seleziona dall'esperienza con i propri criteri e quindi ciò che la ragione si dà da sola.<ref>''Logik'', 81-82, 587.</ref> Anche gli oggetti della ragione, per non parlare della ragione stessa, non sono più presi come avessero la loro origine (''Ursprung'') nella "realtà" esterna, ma piuttosto nell'idea più basilare della ragione, l'idea di verità (''Wahrheit'').<ref>Cfr. ''Ethik'', 88 segg.</ref> La verità stessa, quindi, è l'origine di tutto ciò che conosciamo, anzi di tutto ciò che possiamo conoscere. Fonda i propri oggetti. All'interno della sua stessa portata, non è vincolata a nulla al di fuori di sé. La logica, che è la metodologia completa della verità, è all'opera in tutte le scienze. Dà loro la loro validità razionale.
 
Seguendo Kant, per costituire la priorità dell'etica sulla ragion teorica nel suo sistema filosofico, Cohen non può ritenere assolutamente originatoria l'idea di verità. Se così fosse, allora l'etica, che si occupa del bene, dovrebbe essere subordinata alla ragion teorica come è praticamente in tutte le filosofie prekantiane, a partire da Platone e Aristotele e fino a tutti coloro che hanno influenzato. Pertanto, quello che fa Cohen è mostrare che l'interesse per la verità deve essere correlato con un impegno per la verità (''Wahrhaftigkeit''), che è, ovviamente, una virtù morale. Senza un impegno fondamentale per la veridicità, nessuno farebbe lo sforzo prolungato che l'interesse per la verità richiede al fine d'essere intellettualmente produttivo. Solo la veridicità rende la verità degna di rispetto. D'altra parte, senza il rigore della verità, la veridicità rimarrebbe un istinto meramente virtuoso, ma lo sarebbe senza alcun collegamento con la ragione.<ref>Cfr. ''ibid.'', 507 segg.</ref> Quindi verità e veridicità sono interdipendenti. Come disse succintamente Cohen, "senza verità scientifica nessuna veridicità; e senza veridicità nessuna verità".<ref>''Logik'', 604. Cfr. Sylvain Zac, ''La Philosopkie religieuse de Hermann Cohen'' (Parigi, 1984), 27.</ref>
 
=== L'unicità di Israele nella correlazione divino-umana ===