Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 1: differenze tra le versioni

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Collegando tutto direttamente a Dio, piuttosto che procedere attraverso una catena di cause intermedie, gli antichi ebrei potevano funzionare senza l'elaborata gerarchia che di solito comporta la tirannia. La scelta da parte di Israele di fare alleanza con Dio portò alla creazione di una società in cui i bisogni del corpo per il sostentamento e la sicurezza, così come i bisogni dell'anima di essere relazionata a Dio mediante la vera conoscenza e amore, furono ben soddisfatti.
 
In questa nuova costituzione del patto, Spinoza ha apparentemente mantenuto la classica distinzione ebraica tra il rapporto tra uomo e uomo (''bein adam le-havero'') e il rapporto tra uomo e Dio (''bein adam le-maqom'').<ref>Cfr. M. Yoma 8.9.</ref> Il rapporto tra uomo e uomo è visto come un patto reciproco tra persone libere, che allo stesso modo riferiscono questa relazione a Dio e assicurano così la propria uguaglianza politica. È l'obbedienza politica che è protetta dalla disuguaglianza della tirannia. Quindi il rapporto è soprattutto pratico.<ref>Cfr. ''TT-P'', cap. 3.</ref> Il rapporto tra uomo e Dio è visto come la consapevolezza dell'individuo percettivo di essere parte della ''causa sui''.<ref>Spinoza parla dell'uomo nell'"ordine eterno della natura" come di "un atomo" (''particula''). ''Tractatus Politicus'', 2.8/pag. 295 (= Latino, 2:8). Tuttavia, essere un "atomo" dell'eternità è in verità meglio che essere una persona storica transitoria, per quanto importante sia qui e ora.</ref> È la conoscenza del vero stato cosmico dell'individuo, elevato dall'insignificanza della storia mutevole. Quindi il rapporto è principalmente teorico. E mentre il rapporto pratico è esplicitato nella Scrittura, il rapporto teorico vi è solo implicitamente alluso. Infatti, essendo basato sulla natura piuttosto che sulla società umana, non può essere il soggetto diretto del discorso sociale ordinario. È un bene disponibile solo per individui dotati. La società può solo "consentire la libertà di filosofare (''libertatem philosophandi'') per ogni individuo".<ref>''TT-P'', cap. 16/p. 237.</ref> Il discorso sociale, d'altra parte, non riguarda l'eternità ma, piuttosto, il bene storico dell'uomo, i "determinati dettami della nostra ragione ... che mirano solo al vero bene dell'uomo."<ref>''Ibid.'', cap. 16/p. 239.</ref>
 
L'alleanza, quindi, ha criteri sia pratici che teorici. Entrambi questi insiemi di criteri sono, tuttavia, universali. Potrebbero applicarsi ovunque e in qualsiasi momento. In quanto tali, entrambi precludono quell'aspetto dell'alleanza più strettamente connesso con l'evento dell'elezione di Israele da parte di Dio, cioè quelle leggi la cui funzione è commemorativa, le "testimonianze" (''edot''). Queste leggi, come il comandamento di celebrare la [[w:Pesach|Pesach]] ogni anno, sono progettate "affinché per tutta la vita ti ricordi del giorno che uscisti dal paese d'Egitto." ({{passo biblico2|Deuteronomio|16:3}}). Spinoza chiama queste leggi "osservanze cerimoniali". E, al fine di eliminare la storia particolare dall'essere un reame in cui l'uomo è in relazione con Dio, vede la loro unica funzione quella di "rafforzare e preservare lo Stato ebraico".<ref>''Ibid.'', cap. 5/p. 112.</ref> In altre parole, la loro funzione è ora considerata essenzialmente politica nella senso di servire il bisogno umano universale di una società ben ordinata.
 
Con questa riduzione del reame storico-rituale al reame politico-morale, invece di accettarlo come la celebrazione unica degli eletti di Dio nella loro elezione, Spinoza ha invertito il classico rapporto ebraico tra moralità generale e alleanza singolare. Perché in questa relazione la moralità universale è vista come la precondizione per l'alleanza storica tra Dio e Israele. Il secondo, nelle parole di Maimonide, "completa" il primo.<ref>''[[Mishneh Torah]]'': Melakhim, 9.1.</ref> Questa moralità universale è enunciata nella dottrina rabbinica delle [[w:Noè#L'alleanza noachica secondo la Torah|leggi noachiche]], cioè le leggi (come i divieti di idolatria, spargimento di sangue, incesto e rapina) che appartengono ai discendenti di Noè, all'umanità di per sé. Tuttavia, la rivelazione storica di Dio, che è il contesto dell'alleanza e il suo contenuto normativo, si propone come il rapporto diretto tra Dio e l'uomo, per il quale il rapporto indiretto di Noè è solo preparatorio. È il suo sfondo, non la sua base. Al contrario, Spinoza ha fatto della rivelazione storica e del suo più singolare contenuto "cerimoniale" un mezzo storicamente contingente per un fine essenzialmente morale.<ref>"If we want to testify, without any prejudgment, to the divinity of Scripture, it must be made evident to us from Scripture alone that it teaches true moral doctrine (''vera documentia moralia''); for it is on this basis alone that its divinity can be proved" (''TT-P'', cap. 7/p. 142 = Latino, 2:173).</ref> Anche questo era un presupposto accettato dalla maggior parte dei pensatori ebrei moderni, la maggior parte dei quali differiva da Spinoza solo per il grado di contingenza e irriducibilità che queste cerimonie avevano ora.
 
[[File:Dacosta_und_Spinoza.jpg|240px|thumb|right|''Uriel da Costa istruisce il giovane Spinoza'', di [[:en:w:Samuel Hirszenberg|Samuel Hirszenberg]] (1901)]]
In questa nuova elevazione di pratiche che sono essenzialmente leggi morali rispetto a pratiche che sono più immediatamente leggi "religiose", Spinoza seguiva una guida stabilita dal suo famoso predecessore eterodosso ad Amsterdam, [[w:Uriel da Costa|Uriel da Costa]]. Nel suo rifiuto di gran parte della legge ebraica in quanto moralmente e religiosamente ingombrante, da Costa considerava le leggi di Noè non solo necessarie ma sufficienti per una vita umana realizzata.<ref>Da Costa descrive le Sette Leggi Noachiche "qui ante Abrahamum fuerent, hoc illis satis est ad salutem ... secundum rectam rationem, quaes vera norma est illius naturalis legis" (''Exemplar Humanae Vitae'', in ''Die Schriften des Uriel da Costa'', cur. G. Gebhardt [Amsterdam, 1922], 117-118).</ref> Inoltre, in una famosa critica al collegamento da parte di Maimonide della piena sufficienza morale con un'affermazione della rivelazione, Spinoza sostiene che "un modo vero di vivere", cioè la morale naturale, non dipende specificamente da "ispirazione profetica".<ref>''TT-P'', cap. 5/p. 122.</ref> In altre parole, l'eccellenza pratica ("virtù") non è affatto subordinata a un rapporto storico con Dio. In effetti, la moralità è il criterio della validità della legge rivelata piuttosto che la legge rivelata sia il criterio della moralità come nelle fonti ebraiche classiche.
 
Anche per questo, credo, Spinoza invoca spesso il cristianesimo contro l'ebraismo nel ''Tractatus Theologico-Politicus''. Il valore pratico del cristianesimo sembra essere quello di sottolineare la moralità minima richiesta dalla prosperità umana e di rifiutare la tradizione ebraica farisaica, con i suoi numerosi accrescimenti particolaristici a quella moralità minima.<ref>Cfr. ''TT-P'', cap. i/p. 64; cap. 3/pp. 97-98; cap. 4/pp. 107-108; cap. 5/p. 113; cap. 11/p. 203; cap. 18/pp. 273-274. Questo è anche il motivo per cui, credo, Spinoza di solito ha un'opinione più alta dei sadducei che dei farisei. I sadducei erano minimalisti, accettando solo ciò che era letteralmente nella Scrittura come rivelazione normativa. Cfr. ''ibid.'', cap. 12/p. 205; anche, TB Horayot 4a.</ref> E nonostante la sua solita insistenza sul fatto che filosofia e teologia siano tenute separate ciascuna nella sua proprio reame, Spinoza fa un'importante eccezione quando si tratta di filosofia politica. Essendo lo studio di un artefatto umano, la società, in opposizione alla metafisica, che è lo studio della natura in toto (''natura naturans''), è in relazione con la teologia. Infatti, determina la validità stessa della teologia. Scrive che "possiamo usare il giudizio prima di accettare con certezza almeno morale ciò che è stato rivelato".<ref>''TT-P'', cap. 15/p. 233.</ref> Ma, anche a livello di moralità, per non parlare di ontologia, la dottrina dell'elezione non gioca un ruolo costitutivo. Un tale ruolo potrebbe essere svolto solo da una dottrina che Spinoza potrebbe ricostituire come idea razionale nel suo sistema. L'elezione di Israele da parte di Dio nel senso letterale e non metaforico non potrebbe mai diventare un'idea del genere.
 
Per molti lettori, senza dubbio, la subordinazione da parte di Spinoza della legge cerimoniale ebraica alla legge morale ebraica sembra riflettere l'insegnamento cristiano classico sull'ebraismo. Il cristianesimo non aveva forse storicamente relativizzato la legge cerimoniale ebraica insistendo sul fatto che si applicava solo al popolo ebraico prima della venuta di Cristo, cosa che aveva altrettanto fortemente insistito non era il caso dei precetti fondamentali della legge morale ebraica?<ref>Cfr. pet es., Tommaso d'Aquino, ''Summa Theologiae'', 2/1, q. 100, a. 8; John Calvin, ''Institutes of the Christian Religion'', trad. {{en}} F. L. Battles (2 voll., Philadelphia, i960), 2.7.13.</ref> Tuttavia, una lettura più attenta del ''Tractatus Theologico-Politicus'' porta a concludere che il trattamento da parte di Spinoza della legge cerimoniale ebraica è molto più radicale di quello di qualsiasi teologo cristiano classico. Infatti i cristiani avevano sostituito la legge cerimoniale ebraica con i sacramenti, che consideravano ora il vero contenuto del rapporto di alleanza con Dio.<ref>Cfr. per es., ''Summa Theologiae'', 2/1, q. 102, a.2 e q. 103, a.3 e a.4; ''Institutes'', 2.7.1.</ref> Come per l'ebraismo, tuttavia, non proponevano una giustificazione morale della pratica religiosa; piuttosto, includevano la moralità all'interno dell'alleanza storica tra Dio e il suo popolo.<ref>Cfr. per es., ''Summa Theologiae'', 2/1, q. 101, a.1; ''Institutes, 2.7.10 e 4.20.16.</ref> I teologi cristiani insistevano sul fatto che la legge cerimoniale riguarda il vero rapporto con Dio, e che deve essere distinta dalla legge morale, che appartiene solo alla società umana.<ref>Cfr. ''Summa Theologiae'', 2/1, q. 101, a.1; ''Institutes'', 2.8.11.</ref> La prima è nettamente superiore alla seconda in virtù del suo oggetto diretto: Dio piuttosto che altri esseri umani.
 
La differenza tra ebraismo e cristianesimo, quindi, è ciò che costituisce l'alleanza piena, non che l'alleanza sia fondativa. E l'alleanza, sia per l'ebraismo che per il cristianesimo, è iniziata dall'elezione di Israele da parte di Dio. Ebrei e cristiani differiscono – e la differenza è cruciale – per quanto riguarda la portata di quella elezione iniziale. I cristiani affermano che questa elezione inizia con Israele e si estende all'incarnazione, la venuta di Dio ad abitare nel corpo dell'ebreo Yeshua di Nazareth come il Cristo. Gli ebrei si rifiutano di accettarlo. Quindi, per i cristiani, l'ebraismo è carente; per gli ebrei il cristianesimo è eccessivo. Con tutto questo in mente, Spinoza non può essere considerato semplicemente un'elaborazione della vecchia critica cristiana del "cerimonialismo" ebraico. Spinoza è andato radicalmente oltre questa critica; poiché ha decostruito il cristianesimo tanto quanto ha decostruito l'ebraismo. In questo senso, sia gli ebrei che i cristiani hanno più cose in comune tra loro di quanto i due non abbiano in comune con Spinoza.
 
=== La cessazione dell'Alleanza ===