Ascoltare l'anima/Capitolo 12: differenze tra le versioni

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Ma Ridley non pensa che gli stati d'animo degli ascoltatori nell'ascoltare la musica ''determinino completamente'' ciò che la musica esprime, perché l'espressività per lui è in parte una questione di contorni espressivi ''doggy''. Per Ridley tutto ciò che è determinato dai singoli ascoltatori è l'esatta ''sfumatura'' di un'emozione che sappiamo – su basi indipendenti ''doggy'' – che la musica esprime. Secondo lui, è solo la qualità a grana fine del melisma che è determinata dalle risposte emotive individuali. Quindi è fuorviante accusare Ridley di dire che l'espressione musicale è sempre "the listener's self‐expression".
 
La mia opinione sulla teoria di Ridley è che non dovremmo pensarla come una teoria di cosa sia l'espressione. Dopotutto, ho appena impiegato quattro capitoli a discutere di una teoria dell'espressione "romantica" del tutto diversa. L'espressione non può essere ''definita'' nemmeno in parte come l'eccitazione dell'emozione: l'espressione è qualcosa che compiono artisti e compositori, non qualcosa che è determinato da lettori e ascoltatori.<ref>A questo punto probabilmente mi separodissocio da Levinson. Cfr. ''ibid.'' 107 per la definizione da parte sua di espressività musicale.</ref> D'altra parte, come ho enfatizzato nel [[Ascoltare l'anima/Capitolo 9|Capitolo 9]], se i compositori riescono ad esprimere (articolare e chiarire) le emozioni in un brano musicale, allora un buon criterio del loro successo sarà che un pubblico qualificato proverà a sua volta le emozioni appropriate nei loro incontri con la musica. Quindi, in un certo senso, quello che dice Ridley è del tutto corretto: ciò che un brano musicale esprime è una funzione della sequenza di emozioni che un compositore articola nel brano, nel modo in cui vengono ''percepite'' e successivamente ''interpretate'' da particolari ascoltatori. Pertanto, il modo in cui un ascoltatore risponde a due brani malinconici sottilmente diversi sarà forse sottilmente diverso, corrispondente alle sottili differenze in ciò che viene espresso, anche se l'esperienza dell'ascoltatore non è ciò che ''determina'' quello che viene espresso dalla musica.
 
Se interpretiamo Ridley come facesse delle osservazioni su come gli ascoltatori ''arrivano a capire'' e ''interpretare'' ciò che la musica esprime, quello che dice è sia interessante che perspicace. Suggerisce che quando una persona ascolta le Marce Funebri di Beethoven o Chopin, viene evocata una sequenza di stati emotivi o affettivi che sono diversi e quindi si ''sentono'' diversi in vari modi. E sì, potremmo benissimo sentirci in modi diversi quando ascoltiamo attentamente questi due brani, proprio perché la musica esprime emozioni sottilmente diverse o ha qualità espressive sottilmente diverse. Inoltre, i nostri sentimenti di malinconia sottilmente diversi possono avvisarci delle differenze nella musica che sono responsabili delle differenze nel modo in cui ci sentiamo. Perdipiù, la ''stessa'' musica può suscitare risposte in qualche modo diverse in diversi ascoltatori qualificati e il modo in cui questi ascoltatori interpretano la musica (incluso ciò che esprime, se non altro) probabilmente varierà a seconda di come si sentono esattamente in risposta ad essa. C'è una continua interazione tra come ci sentiamo nell'ascoltare un brano musicale e ciò che interpretiamo come espressione.
 
In questo senso la musica è molto simile alla letteratura e alla pittura. Il modo in cui ci sentiamo in risposta alla musica influenza la nostra comprensione di essa, proprio come il modo in cui ci sentiamo in risposta a ''The Reef'' o alla ''Grande riserva di Dresda'' influenza la nostra comprensione di quelle opere molto diverse. È probabile che riflettere sulle nostre risposte emotive ci porti a concentrarci su quegli aspetti della musica che (pensiamo) sono responsabili delle nostre reazioni. Il modo in cui diversi lettori, ascoltatori o spettatori qualificati interpretano un'opera d'arte dipende in parte da come li colpisce emotivamente. E, come ho sostenuto nel Cap. 9, in una riuscita opera di ''espressione'' artistica, l'artista ha costruito con cura un'opera in modo da articolare una particolare emozione; e i membri del pubblico sono attivamente incoraggiati a rispondere emotivamente all'opera in modo tale che le proprie risposte emotive li aiutino a capire cosa esprime l'opera.
 
Probabilmente ci sono meno vincoli su ciò che conta come una risposta emotiva appropriata a un brano di pura musica strumentale espressiva di quanto ce ne siano per le risposte a ''The Reef'' o alla ''Grande riserva di Dresda''. Ma come per letteratura e pittura, non tutte le risposte emotive saranno appropriate e non tutte le risposte emotive ci sensibilizzeranno ad aspetti della musica stessa. Non sarebbe appropriato reagire alla Marcia Funebre di Beethoven saltellando allegramente per la sala del concerto, e una tale reazione ci distanzierebbe dall'opera piuttosto che approfondirne la nostra comprensione.
 
La mia principale riserva sull'idea di Ridley è che lui insiste sul fatto che la risposta alla musica è ''empatica'', che la sensazione che provo è proprio quella che attribuisco alla musica come ciò che esprime. Trascura il fatto che ciò che viene espresso non è sempre e nemmeno di solito ciò che suscita negli ascoltatori.<ref>Ridley riconosce che a volte sentiamo musica strumentale come contenesse un personaggio in un "viaggio dell'anima", ma sembra comunque credere che la risposta comprensiva dell'ascoltatore a un tale personaggio sia fondamentalmente compassionevole e/o "[[w:empatia|empatica]]", cioè che sentiamo ciò che la ''persona'' sente.</ref> Nell'ascoltare "Immer leiser", ad esempio, posso provare desiderio e angoscia ''con'' il protagonista della musica, ma posso provare pietà e disperazione mentre contemplo il suo destino. Nell'ascoltare l’''Intermezzo'' Opus 117 n. 2 di Brahms, posso sentire il conflitto tra i due punti di vista che ho indicato, identificandomi ora con l'uno e ora con l'altro, ma posso anche sentirmi affranto e compassionevole mentre contemplo il conflitto musicale nella ''persona'': potrei provare qualcosa ''per'' lui piuttosto che ''con'' lui.<ref>Ammetto che molti ''lieder'' romantici e molti brani lirici "introspettivi" come l’''Intermezzo'' possono incoraggiare l'ascoltatore a identificarsi con una ''persona'' nella musica. Parimenti, nei miei esempi alla fine del Cap. 9, vedi "Ode" di Keats e ''La Grande riserva'' di Friedrich, il lettore o lo spettatore può tipicamente entrare nei sentimenti dell'apparente "enunciatore" delle opere e sentirsi uno con il pittore o l'enunciatore drammatico. Questo perché si tratta di opere "liriche" di (apparente) autoespressione di un pittore, poeta o compositore.</ref> E possiamo dire cose simili sulla musica che ha qualità espressive, ma non esprime emozioni nel senso romantico a tutti gli effetti di cui ho discusso nel Cap. 9: un brano musicale può, credo, esprimere ''nostalgia'' anche se l'emozione che suscita in me è ''malinconia''; un pezzo può esprimere ''paura'' mentre evoca in me solo ''ansia''.
 
In sintesi, Ridley ha ragione sul fatto che vivere la musica come espressiva di alcune emozioni richiede una risposta emotiva alla musica, e ha ragione sul fatto che l'esatta sfumatura di emozione sentita influenzerà il modo in cui interpretiamo la musica, compreso ciò che esprime. Ma la sua teoria non ''definisce'' con successo l'espressione; è meglio interpretata come una teoria su come gli ascoltatori arrivano a capire cosa esprime un brano musicale. E come teoria su come gli ascoltatori arrivano a capire cosa esprime un brano musicale, affronta il problema che le emozioni evocate negli ascoltatori (qualificati) potrebbero non essere sempre esattamente le stesse che ascoltano espresse dalla musica.
 
=== Ascoltare con immaginazione ===