Esistenzialismo shakespeariano/Vita etica: differenze tra le versioni

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''their arms and cast up their caps.''<br/>
O, me alone! Make you a sword of me?|I.xii.55-77}}
Questo discorso non è bello o poetico; non è pieno di immagini evocative. In effetti, potrebbe essere un passo facilmente trascurabile. Ma qui Shakespeare offre una comprensione filosoficamente sofisticata dell'esistenza umana giustapponendo ciò che gli esistenzialisti chiamerebbero la singolarità esistenziale di Coriolanus con il suo essere per gli altri. Coriolanus sottolinea la natura reciproca della loro relazione ricordando ai suoi soldati le loro battaglie affrontate insieme, il loro sangue versato in guerra, i loro voti (forse anche un altro sottile accenno all'affinità tra relazioni coniugali e militari) e le loro amicizie. Ironicamente, usa queste idee come base della sua argomentazione sul perché dovrebbe essere autorizzato ad affrontare Aufidius da solo. È chiaro che essere e agire da soli sono cruciali per Coriolanus. Continua suggerendo che coloro che sono abbastanza coraggiosi possono seguirlo "da soli" o con altri che hanno una mentalità simile. Il discorso culmina con la sua linea esultante: "O, me alone!" Anche se Coriolanus è chiaramente consapevole del valore della solidarietà umana, resiste ad abbracciare quell'aspetto della sua esistenza ed è attento a non perdere la sua individualità nella folla.
 
Quando i combattimenti sono finiti, Coriolanus torna al campo come un eroe. È onorato con un nuovo titolo e accolto calorosamente dagli altri soldati. Ma mentre altri lodano le sue gesta eroiche, Coriolanus offre una visione modesta e sottovalutata delle sue conquiste, dichiarando: "I have done as you have done, that’s what I can; / . . . He that has but effected his good will / Hath overta’en mine act" (I.x.16-9). Coriolanus sta effettivamente suggerendo che un individuo che vive secondo le proprie buone intenzioni ottiene una forma di successo maggiore della sua. Perché quindi Coriolanus si oppone così categoricamente alla discussione o alla celebrazione dei suoi successi? Ci viene ripetutamente detto che Coriolanus è un uomo orgoglioso, "topping all others in boasting" (II.i.19), ma questo è chiaramente falso. In effetti, in termini di significato esistenziale dell'opera teatrale, la riluttanza di Coriolanus a farsi inondare di "In acclamations hyperbolical" o "praises sauced with lies" (I.x.51, 53) è molto più eloquente. Coriolanus non vuole che le sue azioni vengano riconosciute perché, come nota Hans-Jürgen Weckermann, ciò "would render them no longer his own exclusive property but the common possession of all the people of Rome by integrating his actions into a common cause".<ref>Hans-Jürgen Weckermann, ‘Coriolanus: The Failure of the Autonomous Individual’, in ''Shakespeare: Text, Language, Criticism'', curr. Bernhard Fabian e Kurt Tetzeli von Rosador (New York: Olms-Weidmann, 1987), p. 340.</ref> Per dirla in un altro modo, la lode comporterebbe anche il riconoscimento del suo bisogno degli altri.
 
Alla fine dell'Atto I, Coriolanus fa una strana richiesta a Cominius:
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| ''Coriolanus—'' || I sometime lay here in Corioles,
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| || At a poor man’s house. He used me kindly.
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| || He cried to me; I saw him prisoner;
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| || But then Aufidius was within my view,
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| || And wrath o’erwhelmed my pity. I request you
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| || To give my poor host freedom.
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| ''Cominius—'' || O, well begged!
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| || Were he the butcher of my son, he should
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| || Be free as is the wind. Deliver him, Titus.
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| ''Lartius——–'' || Martius, his name?
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| ''Coriolanus—'' || By Jupiter, forgot!
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| || I am weary, yea, my memory is tired.
|-
| || <small>''(I.x.82-91)''</small>
|}
Questo è un tentativo di Coriolanus di provare un autentico sentimento di amicizia ed empatia umana. Ricorda la sofferenza di un altro e cerca di far rilasciare il prigioniero. Ma il momento della gentilezza viene immediatamente vanificato dall'oblio di Coriolanus. La sua memoria viene meno a causa della stanchezza, un altro sintomo ordinario dell'essere umano. Facendo dimenticare all'uomo Coriolanus un prigioniero di guerra, Shakespeare collega la nozione di alterità con la nozione di libertà. In ''[[:fr:w:Pyrrhus et Cinéas|Pyrrhus et Cinéas]]'', [[w:Simone de Beauvoir|Beauvoir]] scrive:
{{q|All men are free, and as soon as we have anything to do with other people, we experience their freedom. If we want to disregard these dangerous free beings, we have to turn away from mankind, but at that moment our being
contracts and dwindles away. Our being can only be realised by choosing to risk itself in the world, by placing itself in danger of being grasped by other alien and divided free beings.<ref>Simone de Beauvoir, ''[[:fr:w:Pyrrhus et Cinéas|Pyrrhus et Cinéas]]'' (Parigi: Gallimard, 1944 — trad. {{it}} Andrea Bonomi, in ''Per una morale dell'ambiguità'', Sugar, Milano, 1964). Questo brano è però tratto da Ursula Tidd, ''Simone de Beauvoir'' (Londra e New York: Routledge, 2004), p. 35.</ref>}}
Quando Beauvoir afferma che "all men are free", intende dire che la coscienza umana è liberamente impegnata nel perpetuo compito di autocostruzione. Ma quando riconosciamo un altro essere, riconosciamo che anche lui ha una coscienza che è libera di formarsi, e questa libertà degli altri minaccia il nostro senso di sé, perché ci rendiamo conto che gli altri possono liberamente esprimere giudizi e avere opinioni su di noi. Rifiutare la libertà degli altri, afferma Beauvoir, significa far sì io diventi esistenzialmente sminuito. Qualcosa di questa idea emerge dall'incapacità di Coriolanus di ricordare il nome dell'uomo che un tempo gli mostrò pietà e compassione. Lo scambio cristallizza la posta in gioco: la necessaria considerazione dell'altro e l'appello ai sentimenti umani comuni. Prefigura l'identificazione etica di Coriolanus con la sua stessa famiglia alla fine del dramma.
 
Come il loro precursore moderno, Shakespeare, gli esistenzialisti sono interessati a ciò che Sartre chiama ''"the ethics of a human reality in situation"''.<ref>Sartre, ''Being and Nothingness'', p. 645.</ref> Come spiega Christine Daigle, l'etica per gli esistenzialisti è sempre "radically immanent", fondata sull'esistenza individuale e incarnata.<ref>Christine Daigle, ‘The Problem of Ethics for Existentialism’, in ''Existentialist Thinkers and Ethics'', cur. Christine Daigle (Montreal e Kingston: McGill-Queen’s University Press, 2006), p. 14.</ref> Non ci sono assoluti trascendentali, nessuna morale definitiva dettata da Dio. Tutti gli esponenti dell'esistenzialismo concordano sul fatto che gli esseri umani devono decidere ''da soli'' come vivere, come attualizzare la propria esistenza attraverso "definitive, absolute engagements".<ref>Beauvoir, ''[[:fr:w:Pour une morale de l'ambiguïté|The Ethics of Ambiguity]]'', p. 16.</ref> Beauvoir scrive: "For existentialism, it is not impersonal universal man who is the source of values, but the plurality of concrete particular men projecting themselves toward their ends on the basis of situations whose particularity is as radical and irreducible as subjectivity itself."<ref>''Ibid.'', pp. 17-18.</ref> Naturalmente, come riconosce Beauvoir, questa argomentazione porta naturalmente alla seguente domanda: se l'etica si fonda sul relativismo e non sull'universalismo, come possono gli esseri umani stabilire codici e pratiche etiche che leghino insieme la società? Sostiene che, sebbene gli esseri umani siano individui e debbano affermare la propria esistenza sulla base del proprio senso di autenticità e individualità, sono anche inevitabilmente parte di una rete di relazioni umane. Questo è ciò che Beauvoir chiama l'ambiguità dell'esistenza: è sempre aperta all'esistenza degli altri, ma ne è anche potenzialmente minacciata. Scrive: "An ethics of ambiguity will be one which will refuse to deny ''a priori'' that separate existants [sic] can, at the same time, be bound to each other, that their individual freedoms can forge laws valid for all."<ref>''Ibid.'', p. 18.</ref> Beauvoir pensa quindi all'individualità radicale del soggetto come esistente all'interno di un tutto collettivo. In seguito, in ''[[:fr:w:Pour une morale de l'ambiguïté|The Ethics of Ambiguity]]'', Beauvoir riassume il suo argomento principale: "Thus, we see that no existence can be validly fulfilled if it is limited to itself. It appeals to the existence of others".<ref>''Ibid.'', p. 67.</ref> Ella accetta che "The idea of such a dependence is frightening, and the separation and multiplicity of existants [''sic''] raises highly disturbing problems", ma alla fine conclude che esiste un "bond of each man with all others".<ref>''Ibid.'', pp. 67, 70.</ref> Come si vede, l'etica esistenzialista è precariamente radicata nell'ambiguità dell'esistenza umana.
 
Potrebbe non essere una coincidenza che Coriolanus risuoni fortemente dell'etica esistenzialista. Prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, un'amica prestò a Beauvoir l'[[w:Bibliothèque de la Pléiade|edizione ''Pléiade'']] della raccolta di opere di Shakespeare tradotta da [[w:Victor Hugo|Victor Hugo]], e in una lettera del 20 ottobre 1939 spiega a Sartre come fosse determinata a "to reread the lot".<ref>Simone de Beauvoir, ''Letters to Sartre'', trad. {{en}} e cur. Quintin Hoare (Londra: Radius, 1991), p. 129.</ref> Dopo aver finito, inviò la raccolta di Shakespeare a Sartre (senza l'approvazione dell'amica), e anche lui iniziò a rileggere attentamente le opere. In una lettera a Beauvoir del 22 novembre 1939, Sartre scrive: "I got back to reading the first act of ''Coriolanus'', which is very enjoyable. . . . I didn’t know Shakespeare at all. This is a sort of discovery and it’s made a strong impression."<ref>Jean-Paul Sartre, ''Witness to my Life: The Letters of Jean-Paul Sartre to Simone de Beauvoir 1926-1939'', trad. {{en}} Lee Fahnestock e Norman MacAfee, cur. Simone de Beauvoir (Londra: Hamish Hamilton, 1992), p. 356.</ref> Beauvoir chiamerà in seguito questo periodo della sua vita (all'incirca 1939-49) come il suo "moral period".<ref>Simone de Beauvoir, ''The Prime of Life'', trad. {{en}} Peter Green (Londra: Penguin, 1965), p. 547.</ref> Durante questo periodo, produsse un corpus di scritti, comprendente testi sia letterari che filosofici, che affrontavano direttamente la questione dell'etica esistenzialista. La guerra aveva messo più a fuoco i temi della solidarietà umana e della responsabilità personale, e l'esistenzialismo, che prima si era concentrato quasi interamente sulla condizione ontologica dell'uomo, iniziò a indagare le dimensioni etiche e politiche dell'esistenza umana. Una delle opere più significative di questo periodo fu il romanzo di Beauvoir, ''[[:fr:w:Le Sang des autres (roman)|Le Sang des autres]]''.<ref>Uso qui la trad. {{en}} in mio possesso: Simone de Beauvoir, ''The Blood of Others'', trad. {{en}} Yvonne Moyse e Roger Senhouse (Londra: Penguin, 1964).</ref> In ''[[:fr:w:La Force de l'âge|La Force de l'âge]]'', Beauvoir descrive come, mentre scriveva il libro, giunse alla conclusione che "An individual . . . only receives a human dimension by recognizing the existence of others".<ref>Beauvoir, ''The Prime of Life'', p. 549.</ref> Il libro si sofferma sui temi della libertà e dell'azione umana, ma suggerisce che questi concetti possono essere pienamente compresi solo nel contesto della società e delle relazioni umane. L'epigrafe del libro è una citazione da ''[[w:I fratelli Karamazov|I fratelli Karamazov]]'' di Dostoevskij: "Ciascuno è responsabile di tutto dinanzi a tutti". Jean Blomart e Hélène Bertrand, le figure centrali del romanzo, giungono entrambi alla conclusione che la libertà individuale deve fondarsi su un autentico riconoscimento della libertà altrui; capiscono che esistono l'uno accanto all'altra e quindi hanno una responsabilità l'uno per l'altra. Ci sono buone probabilità che Coriolanus sia stato un'importante fonte di ispirazione per il romanzo di Beauvoir, poiché il titolo, ''Le Sang des autres'', è una frase dell'opera teatrale. Quando Coriolanus torna dal combattimento a Corioles, chiede: "Come I too late?", al che Cominius risponde: "Ay, if you come not in ''the blood of others'', / But mantled in your own" (I.vii.27-9).<ref>La traduzione diretta fatta da Victor Hugo di questi versi ("Oui, si vous ne revenez pas couvert du sang d’autri mais du vôtre") è significativa (''Oeuvres Complètes de W. Shakespeare'', vol. 9 (Parigi: Pagnerre, 1872), p. 104.). Molte altre traduzioni francesi dell'opera tentano di adattare o chiarire la frase "the blood of others" come "du sang des ennemis".</ref> I versi suggeriscono che è impossibile distinguere tra il proprio sangue e il sangue di un altro essere umano; sono identici all'occhio umano. Il fatto che il sangue di Coriolanus sia letteralmente mescolato con il sangue degli altri suggerisce che Shakespeare stia facendo un punto importante sulla natura etica della vita umana. Forse Coriolanus non era distante dalla mente di Beauvoir quando scrisse: "to suppress one’s awareness of the Other’s existence is mere childishness".<ref>Beauvoir, ''The Prime of Life'', p. 546.</ref> L'etica nel romanzo di Beauvoir può fornire una chiave per comprendere le preoccupazioni esistenziali dell'opera di Shakespeare.
 
=== Sanguinare e arrossire ===
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=== La libertà di Coriolanus ===
[[File:First Folio, Shakespeare - 0616.jpg|200px|thumb|''[[w:First Folio|First Folio]]'' di ''[[w:Coriolano (Shakespeare)|Coriolanus]]'', 1623]]
 
 
 
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== Conclusione ==