Esistenzialismo shakespeariano/Vita etica: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
testo
Riga 9:
=== Singolarità esistenziale ===
{{Doppia immagine verticale|right|Sir Walter Ralegh by 'H' monogrammist.jpg|Sir Walter Raleigh Signature.svg|200|<small>Ritratto di [[w:Walter Raleigh|Sir Walter Raleigh]] (1588)</small>|<small>Firma di Sir Walter Raleigh</small>}}
CoriolanoCoriolanus, ci viene detto, è un uomo come nessun altro. Di lui Cominius dice che è "like a thing / Made by some other deity than nature" (IV.vi.94-5), un individuo che "cannot in the world / Be singly counterpoised" (II.ii.84-5). Dopo aver assistito alla sua "strange alteration" (IV.v.149) a casa di Aufidius, il primo attendente osserva: "would I were hanged but I thought there was more in him then I could think" (IV.v.160-1 ), al che il secondo attendente aggiunge: "He is simply the rarest man i’th’ world" (IV.v.162-3). Quasi tutti i personaggi della tragedia hanno qualcosa da dire sull'eccezionale carattere sovrumano di Coriolanus. Anche i cittadini lo additano, affermando senza mezzi termini che "Caius Martius is chief enemy to the people" (I.i.7-8). Quando un membro della congregazione chiede agli altri di considerare "the services he has done for his country" (Ii27-8), il primo cittadino suggerisce che il suo orgoglio raggiunge "the altitude of his virtue" (I.i.37), il che indica che i suoi pregi e difetti lo tengono lontano dalla società e da '"the commonalty" (I.i.26). Anche i critici sono rimasti affascinati dal modo in cui Shakespeare sottolinea il carattere distintivo di Coriolanus. Nella sua classica lettura dell'opera, [[:en:w:A. C. Bradley|A. C. Bradley]] considera Coriolanus "an impossible person", che soffre di una qualità fin troppo umana che lo rende doppiamente tragico, "because it is not only his faults that make him impossible. There is bound up with them a nobleness of nature in which he surpasses everyone around him."<ref>A. C. Bradley, ‘Character and the Imaginative Appeal of Tragedy in Coriolanus’, in ''Coriolanus: A Casebook'', cur. B. A. Brockman (Basingstoke: Macmillan, 1977), pp. 60, 61.</ref> Bradley, fino a un certo punto, ha ragione. C'è qualcosa di ammirevole nel modo in cui si rifiuta di fare giochi politici e di "stoop to th’ herd" (III.ii.32). In termini esistenzialisti, Coriolanus vive della propria etica di autenticità; fa del suo senso di integrità il suo codice etico personale. Ma Shakespeare manipola l'azione dell'opera in modo tale che il pubblico si sente sempre più incerto sulla fede di Coriolanus nella propria singolarità esistenziale. Coriolanus è legato al mondo attraverso relazioni familiari, sociali e politiche: ha una madre, una moglie, un figlio, un’''arcinemesis'', colleghi militari, amici intimi e veri nemici, che minacciano il suo senso della propria unicità esistenziale. La sua singolarità è costantemente minata ed è dolorosamente consapevole che le altre persone hanno la capacità di oggettivarlo.
 
L'impenetrabilità delle menti altrui, il grave problema epistemologico di sapere come si sentono e cosa pensano gli altri, è chiaramente un'idea filosofica da cui Shakespeare è stato attratto durante tutta la sua vasta opera. Si rende conto che le menti delle altre persone sono insondabili e opache, e che ciò ha conseguenze considerevoli per il senso di sé del soggetto umano. Come dice Duncan in ''Macbeth'', "There’s no art / To find the mind’s construction in the face" (I.iv.12-13). ''Sceptick, or Speculations'' di [[w:Walter Raleigh|Sir Walter Raleigh]], un testo che esamina la natura ingannevole delle impressioni sensoriali e propone che la coscienza umana non ha accesso diretto alle cose in sé stesse, è un'indagine della prima età moderna sulla natura problematica delle menti delle altre persone. Scrive: "I may tell what the outward object seemeth to me; but what it seemeth to other creatures, or whether it be indeed that which it seemeth to me, or any other of them, I know not".<ref>[[w:Walter Raleigh|Walter Raleigh]], [https://catalogue.nla.gov.au/Record/237693 ''Sceptick, or Speculations. And Observations of the Magnificency and Opulency of Cities. His Seat of Government. And Letters to the Kings Majestie, and others of Qualitie. Also his Demeanor before his Execution''] (Londra: Printed by W. Bentley, 1651), p. 20.</ref> Attingendo all'esempio di Raleigh, Katharine Maus osserva: «In the English Renaissance . . . the ‘problem of other minds’ presents itself to thinkers and writers not so much as a question of whether those minds exist as a question of how to know what they are thinking."<ref>Katharine Eisaman Maus, ''Inwardness and Theater in the English Renaissance'' (Chicago: Chicago University Press, 1995), p. 7.</ref> Ciò che Raleigh sta articolando in questo breve trattato sono le sue preoccupazioni sull'intraducibilità dell'esperienza fenomenica. Anche se possiamo provarci, non riusciamo mai vedere le cose come le vedono gli altri. Come osserva James A. Knapp: "To see as another, to see the other, and to see oneself as another sees you are all at the heart of the ethical aporia haunting the history of metaphysics.".<ref>James A. Knapp, ''Image Ethics in Shakespeare and Spenser'' (Basingstoke: Palgrave Macmillian, 2011), p. 105.</ref> A differenza di altri personaggi come Leontes o Othello, che si sforzano di vedere come ti vedono gli altri a tal punto da portarli all'esaurimento mentale ed emotivo, Coriolanus rifiuta apertamente di riconoscere i sentimenti, i pensieri e le opinioni degli altri. Nel suo primo feroce attacco verbale contro i plebei, dice: "What’s the matter, you dissentious rogues, / That, rubbing the poor itch of your opinion, / Make yourselves scabs?" (I.i.161-3). Per denigrare il potere dei plebei di formarsi un'opinione su di lui, Coriolanus usa un'immagine grossolana e degradante, che associa la formazione di giudizi a pustule corporee. Ma l'assalto rivela di più su di lui che sui plebei. Coriolanus preferirebbe pensare che si feriscono da soli piuttosto che ferire lui, perché è inconsciamente preoccupato della loro capacità di esprimere opinioni che potrebbero potenzialmente sfidare o minacciare la sua soggettività. Ma, come vedremo, l'identità singolare di CoriolanoCoriolanus non può sostenersi da sé. Ha bisogno che altre persone riflettano una dimensione della sua esistenza a cui non ha accesso immediato. Come dice Sartre: "I need the Other in order to realize fully all the structures of my being".<ref>Sartre, ''Being and Nothingness'', p. 246.</ref> La sua visione di sé non basta; deve essere convalidata attraverso gli occhi degli altri.
 
Andy Mousley sostiene che c'è un importante impulso di livellamento in ''Coriolanus''. Coriolanus, uomo elogiato per la sua suprema indipendenza, "is brought down to earth and obliged to recognise his ‘only human’ humanity."<ref>Andy Mousley, ''Re-Humanising Shakespeare: Literary Humanism, Wisdom and Modernity'' (Edinburgh: Edinburgh University Press, 2007), p. 115.</ref> Continua Mousley: "The play seems to go out of its way to make vulnerable someone who seems impervious to vulnerability. This has a universalising effect: if the ‘more than human’ Coriolanus turns out to be ‘only human’ after all, then this shows that the ‘truism’ that we are all only human might have some ‘truth’ in it."<ref>''Ibid.'', p. 115.</ref> Questo è un aspetto cruciale della tragedia. Coriolanus è costretto ad accettare la sua fragilità esistenziale e la dipendenza dagli altri. Inoltre, è obbligato a confrontarsi con il fatto di svolgere un ruolo all'interno di una società più ampia. Il pensiero di questo sgomenta Coriolanus. Come fa notare [[w:Stanley Cavell|Cavell]]: "it is irrelevant to Coriolanus whether the parable of the belly is interpreted with the patricians or with the plebeians as the belly, or as the tongue, or as any other part. What alarms him is simply being part, one member among others of the same organism."<ref>[[w:Stanley Cavell|Stanley Cavell]], ''Disowning Knowledge in Six Plays of Shakespeare'' (Cambridge: Cambridge University Press, 1987), p. 169.</ref> Nel corso dell'opera, Shakespeare non umanizza solo Coriolanus: a livello di linguaggio, Shakespeare sottolinea anche i legami ineludibili che lo collegano ad altri esseri nel mondo.
 
La relazione tra Coriolanus e Aufidius è un ostacolo per l'autentica connessione umana tra due individui che adombrano. Nel primo atto, entrambi i personaggi esprimono il desiderio di essere l'un l'altro. "I sin in envying his nobility, / And were I anything but what I am, / I would wish me only he" (I.i.228-30), dice Coriolanus nella scena iniziale del dramma, ammettendo pochi versi dopo che Aufidius "is a lion / That [he is] proud to hunt" (I.i.233-4). Aufidius osserva: "I would I were a Roman, for I cannot, / Being a Volsce, be that I am" (I.xi.4-5). Queste sono espressioni strane, che articolano non solo un desiderio di autotrasformazione, ma anche, più precisamente, un desiderio di diventare il proprio nemico più disprezzato. Maurice Hunt la chiama "a symbolic fusion of selves",<ref>Maurice Hunt, ‘“Violent’st” Complementarity: The Double Warriors of Coriolanus’, ''Studies in English Literature'', 31:2 (1991), p. 310.</ref> sebbene perversa e inautentica: ogni soldato si fa servo dell'altro per venerare narcisisticamente una versione glorificata di se stesso. Pertanto, quella che dovrebbe essere una relazione tra sé e l'altro si riduce a una relazione tra sé e sé. [[:en:w:Janet Adelman|Adelman]] suggerisce: "the noble Aufidius is Coriolanus’s own invention, a reflection of his own doubts about what he is, an expression of what he would wish himself to be."<ref>[[:en:w:Janet Adelman|Janet Adelman]], ''Suffocating Mothers: Fantasies of Maternal Origin in Shakespeare’s Plays, Hamlet to The Tempest'' (New York e London: Routledge, 1992), p. 156.</ref> Ma anche se il legame è irto di tensione, rimane intatto. Quando Coriolanus incontra Aufidius in battaglia, dice: "I’ll fight with none but thee, for I do hate thee / Worse than a promise breaker" (I.ix.1-2), al che Aufidius risponde: "We hate alike" (I.ix.1-2). Coriolanus e Aufidius rispettano l'odio reciproco dell'altro. L'intensità del loro reciproco disprezzo crea paradossalmente una forma di identificazione emotiva, una sorta di magnetismo esistenziale tra i due nemici.
 
=== Sanguinare e arrossire ===