Esistenzialismo shakespeariano/Vita etica: differenze tra le versioni

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{{Esistenzialismo shakespeariano}}
== Vita etica in ''Coriolanus'' ==
All'inizio di ''[[:en:w:The Ethics of Ambiguity|The Ethics of Ambiguity]]'', [[w:Simone de Beauvoir|Simone de Beauvoir]] discute l'accusa principale mossa all'esistenzialismo: che si tratta di una filosofia che ripudia ogni etica e loda l'amoralità. I critici della filosofia, spiega Beauvoir, motivano che "if man is free to define for himself the conditions of a life which is valid in his own eyes, can he not choose whatever he likes and act however he likes?"<ref>Simone de Beauvoir, ''The Ethics of Ambiguity'', trad. {{en}]} Bernard Frechtman (New York: Citadel Press, 1976), p. 15.</ref> La risonante risposta di Beauvoir a questa domanda è no. L'esistenza umana è sempre eticamente carica perché è situata e incarnata, e il suggerimento che gli esseri umani debbano assumersi la responsabilità della formazione e dello sviluppo della propria soggettività funziona come un imperativo etico nel pensiero esistenzialista. Ma la trama di questo argomento diventa più intricata e complessa quando gli esistenzialisti iniziano a esaminare la profonda ambiguità che sorge quando un individuo si rende conto di non essere solo un soggetto percipiente, ma anche un oggetto percepito da altre persone. Scrive Beauvoir: "I concern others and they concern me, and that is an irreducible truth."<ref>''Ibid.'', p. 72.</ref> Per gli esseri umani, la simultaneità del loro ''status'' di soggetto e oggetto minaccia continuamente il loro senso di autonomia, libertà e individualità. Di conseguenza, Sartre vede la relazione tra una persona e l'altra come un luogo di conflitto, perché il senso della propria individualità intuitiva ed esistenziale di una persona è sempre soggetto a sentirsi minacciato e alienato dal potere visivo delle altre persone. In ''Being and Nothingness'' scrive: "While I attempt to free myself from the hold of the Other, the Other is trying to free himself from mine; while I seek to enslave the Other, the Other seeks to enslave me."<ref>Jean-Paul Sartre, ''Being and Nothingness: An Essay on Phenomenological Ontology'', trad. {{en}} Hazel E. Barnes (Londra e New York: Routledge, 2003), p. 386.</ref>
Come abbiamo visto nel [[Esistenzialismo shakespeariano/Letteratura e filosofia|Capitolo 3]], Shakespeare presenta allo stesso modo lo sguardo oggettivante e alienante degli altri come soggettivamente disorientante nelle sue opere teatrali e nella sua poetica. Ma in ''[[w:Coriolanus|Coriolanus]]'', Shakespeare esplora l'impatto etico che la relazione tra sé e l'altro<ref>Sebbene Sartre scelga di mettere in maiuscolo la parola "altro" per designarla come una nozione astratta (vede "l'Altro" quasi come una potenza trascendentale e senza volto che ha effetti negativi sulla soggettività umana), ho deciso di non seguire l'esempio, poiché credo che il senso convenzionale e quotidiano della parola non solo sia più filosoficamente significativo, ma risuoni anche in modo più accurato con le più ampie preoccupazioni di Shakespeare per la relazione tra sé e gli altri.</ref> ha sulla soggettività umana in un modo che risuona potentemente con il lavoro di esperti di etica esistenziale come Beauvoir e [[w:Martin Buber|Martin Buber]]. Benché Beauvoir sia d'accordo con l'opinione di Sartre secondo cui la coscienza degli altri è un problema ontologico e riconosce che gli individui "are separate, even opposed",<ref>Beauvoir, ''The Ethics of Ambiguity'', p. 73.</ref> insiste sul fatto che sotto l'opposizione tra sé e l'altro c'è una connessione che costituisce la base della vita relazionale. Gli altri fanno parte della mia esistenza e io sono parte della loro esistenza, e questo significa che c'è un legame fondamentale tra di noi, anche se quel legame è irto di tensione, conflitto e attrito. Beauvoir suggerisce che il legame fondamentale tra sé e l'altro, la necessaria reciprocità di tale relazione, apre la possibilità di un'etica basata su reciprocità, solidarietà e cooperazione.
 
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L'impenetrabilità delle menti altrui, il grave problema epistemologico di sapere come si sentono e cosa pensano gli altri, è chiaramente un'idea filosofica da cui Shakespeare è stato attratto durante tutta la sua vasta opera. Si rende conto che le menti delle altre persone sono insondabili e opache, e che ciò ha conseguenze considerevoli per il senso di sé del soggetto umano. Come dice Duncan in ''Macbeth'', "There’s no art / To find the mind’s construction in the face" (I.iv.12-13). ''Sceptick, or Speculations'' di [[w:Walter Raleigh|Sir Walter Raleigh]], un testo che esamina la natura ingannevole delle impressioni sensoriali e propone che la coscienza umana non ha accesso diretto alle cose in sé stesse, è un'indagine della prima età moderna sulla natura problematica delle menti delle altre persone. Scrive: "I may tell what the outward object seemeth to me; but what it seemeth to other creatures, or whether it be indeed that which it seemeth to me, or any other of them, I know not".<ref>[[w:Walter Raleigh|Walter Raleigh]], [https://catalogue.nla.gov.au/Record/237693 ''Sceptick, or Speculations. And Observations of the Magnificency and Opulency of Cities. His Seat of Government. And Letters to the Kings Majestie, and others of Qualitie. Also his Demeanor before his Execution''] (Londra: Printed by W. Bentley, 1651), p. 20.</ref> Attingendo all'esempio di Raleigh, Katharine Maus osserva: «In the English Renaissance . . . the ‘problem of other minds’ presents itself to thinkers and writers not so much as a question of whether those minds exist as a question of how to know what they are thinking."<ref>Katharine Eisaman Maus, ''Inwardness and Theater in the English Renaissance'' (Chicago: Chicago University Press, 1995), p. 7.</ref> Ciò che Raleigh sta articolando in questo breve trattato sono le sue preoccupazioni sull'intraducibilità dell'esperienza fenomenica. Anche se possiamo provarci, non riusciamo mai vedere le cose come le vedono gli altri. Come osserva James A. Knapp: "To see as another, to see the other, and to see oneself as another sees you are all at the heart of the ethical aporia haunting the history of metaphysics.".<ref>James A. Knapp, ''Image Ethics in Shakespeare and Spenser'' (Basingstoke: Palgrave Macmillian, 2011), p. 105.</ref> A differenza di altri personaggi come Leontes o Othello, che si sforzano di vedere come ti vedono gli altri a tal punto da portarli all'esaurimento mentale ed emotivo, Coriolanus rifiuta apertamente di riconoscere i sentimenti, i pensieri e le opinioni degli altri. Nel suo primo feroce attacco verbale contro i plebei, dice: "What’s the matter, you dissentious rogues, / That, rubbing the poor itch of your opinion, / Make yourselves scabs?" (I.i.161-3). Per denigrare il potere dei plebei di formarsi un'opinione su di lui, Coriolanus usa un'immagine grossolana e degradante, che associa la formazione di giudizi a pustule corporee. Ma l'assalto rivela di più su di lui che sui plebei. Coriolanus preferirebbe pensare che si feriscono da soli piuttosto che ferire lui, perché è inconsciamente preoccupato della loro capacità di esprimere opinioni che potrebbero potenzialmente sfidare o minacciare la sua soggettività. Ma, come vedremo, l'identità singolare di Coriolano non può sostenersi da sé. Ha bisogno che altre persone riflettano una dimensione della sua esistenza a cui non ha accesso immediato. Come dice Sartre: "I need the Other in order to realize fully all the structures of my being".<ref>Sartre, ''Being and Nothingness'', p. 246.</ref> La sua visione di sé non basta; deve essere convalidata attraverso gli occhi degli altri.
 
Andy Mousley sostiene che c'è un importante impulso di livellamento in ''Coriolanus''. Coriolanus, uomo elogiato per la sua suprema indipendenza, "is brought down to earth and obliged to recognise his ‘only human’ humanity."<ref>Andy Mousley, ''Re-Humanising Shakespeare: Literary Humanism, Wisdom and Modernity'' (Edinburgh: Edinburgh University Press, 2007), p. 115.</ref> Continua Mousley: "The play seems to go out of its way to make vulnerable someone who seems impervious to vulnerability. This has a universalising effect: if the ‘more than human’ Coriolanus turns out to be ‘only human’ after all, then this shows that the ‘truism’ that we are all only human might have some ‘truth’ in it."<ref>''Ibid.'', p. 115.</ref> Questo è un aspetto cruciale della tragedia. Coriolanus è costretto ad accettare la sua fragilità esistenziale e la dipendenza dagli altri. Inoltre, è obbligato a confrontarsi con il fatto di svolgere un ruolo all'interno di una società più ampia. Il pensiero di questo sgomenta Coriolanus. Come fa notare [[w:Stanley Cavell|Cavell]]: "it is irrelevant to Coriolanus whether the parable of the belly is interpreted with the patricians or with the plebeians as the belly, or as the tongue, or as any other part. What alarms him is simply being part, one member among others of the same organism."<ref>[[w:Stanley Cavell|Stanley Cavell]], ''Disowning Knowledge in Six Plays of Shakespeare'' (Cambridge: Cambridge University Press, 1987), p. 169.</ref> Nel corso dell'opera, Shakespeare non umanizza solo Coriolanus: a livello di linguaggio, Shakespeare sottolinea anche i legami ineludibili che lo collegano ad altri esseri nel mondo.