Esistenzialismo shakespeariano/Letteratura e filosofia: differenze tra le versioni

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{{Esistenzialismo shakespeariano}}
== Letteratura come filosofia – Filosofia come letteratura ==
Come ha dimostrato il Capitolo precedente, l'esistenzialismo ha importanti radici nella prima età moderna. Le idee esistenzialiste fondamentali cominciavano a prendere forma nella cultura intellettuale in rapida evoluzione del Rinascimento. Shakespeare, sostengo, è stato un contributo fondamentale a questo discorso esistenzialista emergente. Basandosi su questa argomentazione, questo Capitolo suggerirà che i pensatori esistenzialisti e Shakespeare condividono un interesse per l'intima relazione tra filosofia e letteratura o, per dirla più precisamente, Shakespeare e gli esistenzialisti sono attratti dall'idea che filosofia e letteratura possono essere articolate insieme in un modo che intensifica entrambe le forme di pensiero. La manipolazione da parte di Shakespeare dei termini "filosofia" e "filosofo", e il suo profondo scetticismo verso qualsiasi punto di vista singolo o fortemente sostenuto, significa che, in senso ampio e generale, le opere di Shakespeare sono filosoficamente ricche e rilevanti. Naturalmente, in tutte i suoi drammi, pone – implicitamente ed esplicitamente – molte importanti domande filosofiche, tra cui una delle più basilari di tutte: "Cos'è la filosofia?". Ma la qualità polifonica della forma drammatica, il modo in cui le opere di Shakespeare danno voce a una gamma di idee, proposizioni e atteggiamenti contrastanti, assicura che non solo drammatizzi questioni filosofiche fondamentali, ma metta anche indirettamente in discussione la natura e la validità della riflessione filosofica stessa. Questo elemento del dramma di Shakespeare risuona delle preoccupazioni degli esistenzialisti sulla forma della filosofia. Uno degli elementi più innovativi dell'esistenzialismo è stato il modo in cui ha portato alla luce la letterarietà della scrittura filosofica: la sua testualità, la sua manipolazione del linguaggio e il suo interesse per la metafora e la narrativa. Abbattendo i tradizionali confini tra i due, esistenzialisti come Nietzsche, Kierkegaard, Camus, Beauvoir e Sartre esplorano la relazione reciprocamente illuminante tra letteratura e filosofia. Usano la letteratura non solo come veicolo per la filosofia, ma anche come un modo per articolare in maniera più preciso l'immediatezza esistenziale e l'esperienza sensoriale degli esseri umani mentre vivono e agiscono nel mondo. Impegnandosi direttamente con l'opera di Shakespeare, molti esistenzialisti considerano questo loro precursore rinascimentale il maestro del dramma esistenziale intuitivo. Shakespeare è uno scrittore eccezionalmente importante per molti pensatori esistenzialisti e le sue opere hanno avuto un'enorme influenza sullo sviluppo di idee esistenzialiste chiave. Questo Capitolo sosterrà che nel loro impiego pratico della filosofia nella letteratura e nel modo in cui il loro lavoro porta alla luce la natura letteraria delle stesse idee filosofiche, Shakespeare e gli esistenzialisti consentono alle due forme di pensiero di fondersi, producendo così un impatto la cui intensità non è evidente in entrambe le forme prese da sole.<ref>Questo argomento distingue il mio studio da altri che si sono avvicinati a Shakespeare come pensatore filosofico. In ''Shakespeare, Philosophy and Literature'' (New York: Peter Lang, 1995), [[:en:w:Morris Weitz|Morris Weitz]] adotta una metodologia più tradizionale. Assersice infatti quanto segue: "Some works of literature . . . contain philosophical ideas that are as integral to these works as any other constituents... there is a place in literary criticism for the aesthetic articulation of those ideas" (p. 118).</ref>
 
 
 
=== Shakespeare come pensatore filosofico ===
Quanto è gratificante leggere le opere di Shakespeare come fonti di intuizione filosofica? I drammi sono innegabilmente pieni di interrogativi ontologici, metafisici, epistemologici ed etici. Molti commentatori hanno suggerito che l'abilità filosofica di Shakespeare sia una ragione fondamentale per il suo continuo fascino. William Hazlitt trova nella forza vitale drammatica delle sue opere "the spirit of a poet and the acuteness of a philosopher".<ref>William Hazlitt, ''Characters of Shakespear’s Plays'' (Boston: Wells and Lily, 1818), p. 84.</ref> [[w:Harold Bloom|Harold Bloom]] parla della "cognitive acuity" di Shakespeare.<ref>[[w:Harold Bloom|Harold Bloom]], ''The Western Canon: The Books and the School of the Ages'' (London: Papermac, 1995), p. 179.</ref> Tuttavia, come fa notare [[w:Ágnes Heller|Ágnes Heller]], il "dubious honorary title of philosopher" non può essere conferito a Shakespeare semplicemente perché alcuni dei suoi personaggi esprimono sentimenti in maniera filosofica o perché ci sono prove sufficienti per suggerire che si interessò direttamente dell'opera filosofica di Machiavelli, Platone e Montaigne.<ref>[[w:Ágnes Heller|Ágnes Heller]], ''The Time is Out of Joint: Shakespeare as Philosopher of History'' (Lanham: Rowman & Littlefield, 2002), p. 2.</ref> Naturalmente, Shakespeare non drammatizza un credo o un metodo filosofico coerente o esplicito; non esiste un sistema intellettuale ben definito alla base delle sue opere teatrali e delle sue poesie. Come dice John D. Cox: "While Shakespeare’s esthetic thinking is not dogmatic, it is extraordinarily suggestive, and it enters fully into contemporary debate about art, theater, illusion, how we know, and the enigmatic nature of being".<ref>John D. Cox, ''Seeming Knowledge: Shakespeare and Skeptical Faith'' (Waco: Baylor University Press, 2007), p. 226.</ref> C'è un impulso filosofico in atto nelle sue opere che può essere ampiamente inteso come di carattere "esistenziale". Invece della conoscenza concettuale o proposizionale, Shakespeare indaga ciò che Leon Harold Craig chiama "experiential knowledge", una forma di comprensione ottenuta attraverso l'esperienza delle intensità esistenziali della vita umana.<ref>Leon Harold Craig, ''Of Philosophers and Kings: Political Philosophy in Shakespeare’s Macbeth and King Lear'' (Toronto: Toronto University Press, 2001), p. 19.</ref> Le visioni o le idee filosofiche di Shakespeare sono sempre concretamente situate ed espresse da personaggi incarnati nel processo di esistere. È la sua manipolazione della forma drammatica e del fraseggio poetico che crea e migliora le implicazioni filosofiche delle sue opere.
 
Prima di esaminare l'espansione semantica shakespeariana della parola "[[w:filosofia|filosofia]]", vale la pena di commentare brevemente i principali significati del termine nel [[w:Rinascimento|Rinascimento]]. Nel suo senso più stretto, la parola "filosofia" significava "filosofia naturale" o "scienza" nella prima Inghilterra moderna.<ref>David Crystal e Ben Crystal, ''Shakespeare’s Words: A Glossary and Language Companion'' (Londra: Penguin, 2002), p. 326.</ref> L’''[[w:Oxford English Dictionary|Oxford English Dictionary]]'' spiega che originariamente si riferiva ad una "branch of knowledge that deals with the principles governing the material universe and perception of physical phenomena.". Hamlet invoca questo empirismo razionale quando usa il termine "philosophy". Mentre presta giuramento al fantasma, dice: "There are more things in heaven and earth, Horatio, / Than are dreamt of in your philosophy" (I.v.165-6), e più tardi nel dramma, poco prima che arrivino gli attori, dice: "there is something in this more than natural if philosophy could find it out" (II.ii.303-5). Tuttavia, Kiernan Ryan osserva che l'uso del termine da parte di Hamlet "is a gentle rebuke to those who believe that the phenomenal world can be rationally explained", aggiungendo che "the phrase ‘dreamt of’ allows philosophy more imaginative and speculative scope than the rebuke entails."<ref>Kiernan Ryan, ‘Shakespeare’s Thoughtless Wisdom’, inedito, maggio 2010.</ref> Questo suggerimento che i pensatori rinascimentali premessero per un senso più ampio del termine "filosofia" è supportato da alcune riflessioni di Montaigne. In ''"Apologie de Sebond"'', Montaigne scrive: "Philosophers can hardly be serious when they try to introduce certainty into Law by asserting that there are so-called Natural Laws, perpetual and immutable, whose essential characteristic consists in their being imprinted upon the human race."<ref>Michel de Montaigne, ''The Complete Essays'', trad. {{en}} M. A. Screech (Londra: Penguin, 2003), p. 654. Tutte le citazioni successive in questo Capitolo sono tratte da questa edizione e sono indicate dal numero di pagina tra parentesi.</ref> Propone un'interpretazione più ampia del termine: "Philosophy is the art which teaches us how to live" (p. 183), suggerisce in un saggio sulle pratiche di educazione dei bambini. Questa definizione risuona chiaramente di un senso più moderno e di vasta portata della parola. Espandendo il significato del termine, Montaigne suggerisce implicitamente che potrebbe includere anche altre suddivisioni della filosofia, come moralità ed etica. Questa rinegoziazione dei confini della "filosofia" è fondamentale per il progetto filosofico di Montaigne in ''[[w:Saggi (Montaigne)|Essais]]'', e vale la pena citare per esteso un brano particolare sull'argomento:
{{q|Here is a pleasant thought: when the passions bring dislocation to our reason, we become virtuous; when reason is driven out by frenzy or by sleep, that image of death, we become prophets and seers. I have never been more
inclined to believe Philosophy! It was pure enthusiasm — breathed into the spirit of philosophy by Truth herself — which wrenched from her, against her normal teaching, that the tranquil state of our soul, the quiet state, the sanest state that Philosophy can obtain for her, is not her best state. Our waking sleeps more than our sleeping; our wisdom is less wise than our folly; our dreams are worth more than our discourse; and to remain inside ourselves is to adopt the worst place of all.|p. 640}}
 
 
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=== Esistenzialismo e tragedia ===
 
 
 
== Conclusione ==