Esistenzialismo shakespeariano/Idee esistenzialiste: differenze tra le versioni

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{{q|To conclude: there is no permanent existence in our being or in that of objects. We ourselves, our faculty of judgement and all mortal things are flowing and rolling ceaselessly: nothing certain can be established about one from the other, since both judge and judging are ever shifting and changing.<br/>
We have no communication with being, for every human nature is wholly situated forever between birth and death, it shows itself only as a dark shadowy appearance, an unstable weak opinion. And if you should determine to try and grasp what Man’s being is, it would be exactly like trying to hold a fistful of water.|p. 680<ref>Come indica Screech, Montaigne prende in prestito frasi dalla traduzione di Plutarco da parte di Amyot in questo passaggio, il che suggerisce che alcune di queste idee hanno anche radici classiche.</ref>}}
Il passaggio è una rappresentazione radicale e antiessenzialista dell'esistenza umana. La mente sperimentatrice e le cose vissute non sono separate e distinte, ma fanno parte di un continuo accadimento. Come dice Antonia Szabari: "to read Montaigne’s book – with Montaigne – as a painting-in-words is to understand writing as a medium modelled on phenomenological consciousness which can only grasp its object in its momentary ‘this-ness’ and is forced to change every moment as its object does."<ref>Antonia Szabari, ‘“Parler seulement de moy”: The Disposition of the Subject in Montaigne’s Essay “De l’art de conferer”’, ''MLN'', 116:5 (2001), p. 1001.</ref> Non basta, ci dice Montaigne, affidarsi alle origini, ai presunti universali e alle generalità per produrre la nostra conoscenza della vita: "We confuse our thoughts with generalities, universal causes and processes which proceed quite well without us, and leave behind our own concerns for ''Michel'', which touch us more intimately than Man" (p. 107). L'autoriflessività di Montaigne qui sottolinea la passione e la profondità del suo incontro con il proprio senso interiore di sé. Grady osserva che nei Saggi, Montaigne suggerisce che il sé "is not only immersed in ideology but capable of distantiating itself from it through complex, decentred interactions".<ref>Grady, ''Shakespeare, Machiavelli, and Montaigne'', p. 121.</ref> Per Montaigne, prosegue Grady, "the self is something that is observed and experienced, something that acts and performs, and something that feels and judges. It is both in the world and withdrawn from the world."<ref>''Ibid.'', p. 121.</ref> Il sé, come lo concepisce Montaigne, non è una cosa ma una relazione con determinate dimensioni dell'esistenza: il mondo, gli altri esseri umani e la nostra esperienza di noi stessi.
 
L'uso di Montaigne delle immagini dell'acqua per descrivere il suo transitorio senso di sé richiama alla mente il senso angosciante di dissoluzione soggettiva di Antony alla fine di ''[[w:Antonio e Cleopatra (Shakespeare)|Antony and Cleopatra]]''. "My good knave Eros, now thy captain is / Even such a body. Here I am Antony, / Yet cannot hold this visible shape, my knave" (IV.xv.12-4) dice, completamente disorientato dall'esperienza della pura contingenza soggettiva. L'identità esterna di Antony e il suo senso interiore di sé si sono svincolati l'uno dall'altro, e questo lo fa sentire "indistinct / As water is in water" (IV.xv.10-11). Eppure, paradossalmente, anche se la sua identità è stata cancellata e questo ha prodotto un doloroso senso di smarrimento e di indeterminazione soggettiva, Antony continua a vivere se stesso come un'intensità esistenziale. Lee osserva che la forza e la potenza di questa esperienza di sé sono "dominant over his sense of his own corporeality".<ref>Lee, ''Hamlet and the Controversies of Self'', p. 219.</ref> La fluida soggettività di Antonio è espressa retoricamente dalla ripetizione da parte di Shakespeare dell'espressione "my knave". In primo luogo, Antony usa la frase per riferirsi al suo servitore Eros. Ma la frase viene rapidamente utilizzata di nuovo in modo ambiguo per designare sia Eros che il suo dissolvente senso di sé: "here I am Antony, / Yet cannot hold this visible shape, my knave". Incastrando questo momento di disfacimento soggettivo tra un uso chiaro e un uso equivoco della frase, Shakespeare ne destabilizza il significato primario. L'individualità una volta era qualcosa che Antony impiegava, qualcosa che possedeva: era il suo servitore. Il secondo uso di "my knave", come frase appositoria che qualifica "this visible shape", gioca sul significato sdrucciolevole del termine. In diversi contesti può essere usato per descrivere qualcuno che è ingannevole e furbo, o qualcuno che è scherzoso e familiare. Come fa la parola stessa, "knave", la soggettività insubordinata di Antony si mette costantemente in discussione e racchiude significati diversi. Non coincide più con se stesso. N. K. Sugimura osserva giustamente che a questo riguardo il discorso di Antony "feels like a description [of] an Existentialist crisis straight out of modern literature".<ref>N. K. Sugimura, ‘Two Concepts of Reality in Anthony and Cleopatra’, in ''Thinking With Shakespeare: Comparative and Interdisciplinary Essays for A. D. Nuttall'', curr. William Poole e Richard Scholar (Londra: Legenda, 2007), p. 74.</ref>
 
=== Il Sé autentico: l'ideale della sincerità nel Rinascimento ===