Yeshua e i Goyim/Capitolo 2: differenze tra le versioni

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Tra gli studiosi il concetto di '''''missione''''' ai gentili è spesso inteso in modi diversi e questo naturalmente incide sui risultati della visione della questione da parte degli studiosi. Per cominciare, possiamo notare che la missione in generale è da intendersi come intenzioni e azioni motivate dallo scopo di raggiungere, realizzare qualcosa e arrivare da qualche parte. Jeremias intendeva la missione dei gentili come "propaganda nazionale", perché la religione ebraica non può essere separata dalla nazione e dal popolo ebraici. Inoltre afferma che la missione dei gentili era intesa a realizzare la speranza di glorificare Dio in mezzo al mondo dei gentili, per diffondere la luce della Torah e per ''convertirli all’ebraismo''. Sorprendentemente per Jeremias, Gesù, come egli afferma, si oppose fermamente a questa missione dei gentili, che era ampiamente sostenuta e praticata tra gli ebrei del suo tempo ({{passo biblico2|Matteo|23:15}}).<ref>Jeremias, 1981, 17, 17-39.</ref> Secondo Geremia questa missione fu iniziata e praticata da alcuni individui ({{passo biblico2|Giovanni|7:35}}) che si sentivano obbligati a praticare la missione ai Gentili, cioè a realizzare i fini universali dell'ebraismo.
 
È importante notare che nemmeno Jeremias, che sostiene che l'ebraismo al tempo di Gesù era una religione fortemente impegnata nella missione ai gentili, insiste che l'iniziativa di praticare la missione fosse presa dalle istituzioni ufficiali dell'ebraismo.94 Dai tempi dell'Antico Testamento per tutto il periodo del Secondo Tempio, l'unica fase in cui si può parlare di una missione-campagna organizzata con l'intenzione di convertire i gentili avvenne durante il regno degli [[w:Asmonei|Asmonei]] alla fine del II secolo p.e.v. [[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]] ci informa che durante il regno di [[w:Giovanni Ircano I|Giovanni Ircano I]] (134-104 p.e.v.) gli ebrei convertirono con la forza gli [[w:Edomiti|idumei]], e in seguito durante il regno di [[w:Aristobulo I|Aristobulo I]] (104-103 p.e.v.), gli [[w:Iturei|Iturei]] furono convertiti con la forza all'ebraismo. Flavio Giuseppe afferma che se gli Idumei desideravano rimanere nelle terre recentemente invase, che ora erano annesse al regno degli Asmonei (''[[w:Antichità giudaiche|Ant.]]'' 13:257-258, 319), dovevano essere circoncisi. È stato notato da Goodman e Bird che questa grande e organizzata campagna non può essere considerata una prova della disponibilità degli ebrei a diffondere l'ebraismo in tutto il mondo. Piuttosto, queste campagne erano motivate dalla volontà degli ebrei di mantenere pura ed ebraica la terra di Israele. La motivazione ideologica e religiosa della campagna degli Asmonei era certamente simile alla motivazione che spingeva i Maccabei a circoncidere con la forza tutti i ragazzi incirconcisi – sia ebrei che gentili – che trovavano "nel territorio d'Israele;" ({{passo biblico2|1Maccabei|2:46}}). I Maccabei adempirono a questo dovere all'inizio delle loro rivolte, il che suggerisce l'elevata importanza dell'atto. Flavio Giuseppe menziona che nel 67 e.v. due grandi uomini, che erano sotto la giurisdizione del re Agrippa II, vennero in Galilea. I galilei stavano per costringere questi due gentili a farsi circoncidere se fossero rimasti in mezzo a loro (''Vita'' 113). Qui è da notare che nel caso della conversione degli Idumei e di questi due cortigiani di Agrippa II, si sottolinea che loro potevano rimanere nel Paese solo se venivano circoncisi (''Ant''. 13:257-258, 319, 394-397; ''Vita'' 113, 149-154). Se lasciavano la Terra, non ci sarebbero state ragioni impellenti per essere circoncisi. Questo ovviamente suggerisce che la motivazione degli ebrei a circoncidere i gentili residenti nella loro terra era parte della loro volontà di mantenere la Terra Santa ebraica e religiosamente pura. Questi incidenti non possono essere considerati una prova della volontà degli ebrei di praticare la missione verso i gentili. È chiaro che la pressione sociale per essere circoncisi era grande in Galilea e in Giudea. L'affermazione di Bird è corretta: "La circoncisione dei gentili qui (in Israele) non è una questione di missione o conversione, ma di mantenere la santità della terra e proteggerla dalla contaminazione".<ref>Bird, 2010, 35, 59–60. Goodman, 1992, 64–65. Ware, 2005, 49.</ref> La necessità di mantenere la terra santa purificata e incontaminata è evidente in vari passi degli scritti del Secondo Tempio. Durante le rivolte dei Maccabei gli oggetti di culto pagano furono cancellati, abbattuti e diversi gentili furono cacciati dal paese: {{passo biblico2|1Maccabei|4:42-45;5:68;13:47-48,50;14:36}}.<ref>Si vedano Schnabel, 2004, 96–97. Bauckham, 2005, 94–102.</ref> La motivazione teologica di queste riforme cultuali derivava senza dubbio da {{passo biblico2||Dt|12:2-4}}.
 
Dagli anni 1990, l'affermazione di Jeremias che la missione ai gentili era molto praticata durante il tempo di Gesù è stata criticata e abbandonata da Goodman e [[:en:w:Scot McKnight|McKnight]]. Possiamo certamente affermare che il consenso secondo cui l'ebraismo era una religione missionaria è stato abbandonato tra gli studiosi attuali. Tuttavia è chiaro che la conclusione negativa di Goodman e McKnight sullo zelo missionario dell'ebraismo dipende in parte dalla loro ristretta definizione della missione ai gentili. Nella sua definizione della missione gentile, Goodman afferma che la motivazione conscia alla base della missione è di grande importanza. Secondo lui la motivazione diretta della missione ai gentili è fare proselitismo, e non solo informare, educare o giustificare una visione della fede con un intento apologetico.<ref>Goodman, 1994, 4–5.</ref> A causa di questa definizione apparentemente rigorosa, Goodman trascura diversi passi contenenti menzioni di apologetica e di educazione quando giudica se l'ebraismo fosse una religione missionaria o meno. In modo simile, McKnight intende una religione missionaria come una religione che desideri consapevolmente di evangelizzare i non-membri in modo che si convertano alla religione.<ref>McKnight, 1991, 4–5.</ref> [[w:John Dickson (saggista)|Dickson]] critica la definizione minimalista di McKnight e Goodman della missione ai gentili perché tendono a considerare la missione in modo troppo ristretto, come attività direttamente collegabile a finalità di conversione del non-membro. Secondo questa definizione restrittiva, la missione è intesa praticamente come evangelizzare/predicare ai non-membri affinché si convertano. Tuttavia, la missione, che mira alla conversione dei non-membri, può essere vista in termini più ampi. La preghiera, l'insegnamento apologetico e le buone opere a favore dei non-membri sono spesso visti come indirettamente motivati ​​da un impegno missionario, cioè dal desiderio che i non-membri diventino, in qualche modo, membri o associati.
 
Dickson ha certamente ragione nella sua affermazione che una religione missionaria non è riconosciuta solo dai suoi atti pratici di predicazione, evangelizzazione e conquista dei non-membri, ma anche da molte altre attività, che non sono direttamente da considerare al servizio della conversione del non-membro. L'impegno missionario di una religione si vede anche nelle sue credenze e visioni religiose.<ref>Dickson, 2003, 10. Dickson definisce la missione come "la gamma di attività con cui i membri di una comunità religiosa desiderosi della conversione degli estranei cercano di promuovere la loro religione ai non aderenti".</ref> Possiamo affermare che la questione dell'ebraismo come "religione missionaria" è troppo semplicistica. Essa presuppone che l'ebraismo fosse unito in queste grandi questioni intenzionali – cioè, che gli ebrei in genere desiderassero la conversione dei pagani, e che agissero secondo questa speranza.<ref>Dickson, 2003, 11–13.</ref> A tale domanda una risposta facile e corretta deve essere "no", perché nel senso presupposto l'ebraismo non era una religione missionaria. Tuttavia l'ebraismo conteneva certamente speranze universali, che credo fossero condivise dalla maggioranza degli ebrei. Queste speranze universali contenevano la visione che Israele sarebbe stata una fonte di benedizione e luce per le nazioni ({{passo biblico2|Genesi|12:2-3}}; {{passo biblico2|Isaia|49:6}}) e che i gentili sarebbero andati in pellegrinaggio al glorificato Monte Sion nell’''eschaton'' a causa del miracolo di Dio.<ref>Ware, 2005, 90, 93–94, 107, 116–117, 143, 153–154.</ref> Tra gli ebrei c'erano certamente alcuni maestri che cercavano di insegnare e raggiungere i gentili affinché potessero pervenire alla salvezza, sotto le "ali della [[w:Shakhinah|Shekhinah]]".<ref>Donaldson, 1997, 59. Dickson, 2003, 12–13, 49–50.</ref>
 
 
 
=== Testimonianze di proselitismo ebraico ===
Il nostro scopo non è di approfondire la discussione sull'attività missionaria di alcuni ebrei durante il periodo del Secondo Tempio. Qui introdurrò solo di sfuggita i brani principali, importanti per la questione della missione degli ebrei ai gentili. Tanto per cominciare, sia le fonti scritte romane che quelle ebraiche suggeriscono che alcuni ebrei individualmente praticassero la missione ai gentili durante il periodo del Secondo Tempio. Ci sono due riferimenti più o meno espliciti a singoli ebrei che fanno proselitismo verso i gentili a Roma. Il primo risale al 139 p.e.v. e il secondo al 19 e.v. Secondo [[w:Valerio Massimo|Valerio Massimo]], scrittore all'inizio del I secolo, gli ebrei furono espulsi da Roma nel 139 p.e.v. a causa della diffusione della loro religione (''[[w:Factorum et dictorum memorabilium libri IX|Factorvm et Dictorvm Memorabilivm]]'', 1.3.3).<ref>Valerio Massimo, 13. 3–4. Dickson, 2003, 24–25. Valerio compilò il suo lavoro durante il regno dell'imperatore Tiberio (14-37 p.e.v.). McKnight, che è, come abbiamo visto, scettico sull'affermazione che gli ebrei sarebbero stati impegnati nella missione ai gentili, afferma sulla base dei testi di Valerio Massimo che durante questo periodo gli ebrei praticavano effettivamente il proselitismo in una certa misura. Inoltre afferma che questa attività sembra essere stata così potente che i romani ebbero bisogno di prendere alcuni provvedimenti contro di essa. McKnight, 1991, 73.</ref> Il secondo riferimento a una possibile attività di proselitismo a Roma riguarda l'anno 19 e.v. quando, secondo Flavio Giuseppe (''Ant.'' 18:81-84), [[w:Publio Cornelio Tacito|Tacito]] (''Ann.'' 2:85), [[w:Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]] (''Tib.'' 36) e [[w:Cassio Dione|Cassio]] (''Dio'' 57.18.5a) una grande moltitudine di ebrei furono deportati da Roma. È degno di nota che solo Cassio affermi chiaramente che il motivo dell'espulsione era l'attività di proselitismo degli ebrei.<ref>Dickson, 2003, 26–27.</ref> Secondo Flavio Giuseppe l'espulsione di quattromila ebrei romani nell'isola di Sardegna fu dovuta a un truffatore ebreo che "era stato cacciato lontano dal proprio paese con un'accusa mossa contro di lui per aver trasgredito le loro leggi", ''Ant.'' 18:81. Questo truffatore ebreo senza nome, che era "sotto tutti gli aspetti un uomo malvagio", era sfuggito alla sua punizione a Roma dove ora "professava di istruire gli uomini nella saggezza delle leggi di Mosè", 18:81. Lavorando con altri tre ebrei, che erano "in tutto del suo stesso carattere, persuasero Fulvia, una donna di grande dignità, e una che aveva abbracciato la religione ebraica, a inviare porpora e oro al tempio di Gerusalemme", 18:82. Fulvia diede loro i soldi da mandare a Gerusalemme, gli uomini usarono i soldi per se stessi. L'inganno divenne però noto al marito di Fulvia, che lo raccontò all'imperatore [[w:Tiberio|Tiberio]], 18:83. Di conseguenza Tiberio bandì l'intera comunità ebraica di Roma, in tutto quattromila ebrei, se si può fare affidamento su Flavio Giuseppe, dalla città all'isola di Sardegna, 18:84. Dal racconto di Flavio Giuseppe è possibile leggere un implicito riferimento alla missione dei gentili poiché questi uomini stavano insegnando la Torah al popolo e siccome erano in contatto con un convertito all'ebraismo. Inoltre, l'idea di inviare doni al tempio di Gerusalemme può essere compresa alla luce delle più ampie visioni del pellegrinaggio delle nazioni a Sion, che spesso si accompagna alla speranza della ricchezza delle nazioni che affluisce nella città ({{passo biblico2|Tobia|13:11}}, {{passo biblico2|Isaia|60:5-13}}; {{passo biblico2|Ag|2:7}}; {{passo biblico2|Salmi|72:10}}). Anche altri convertiti stranieri inviarono denaro a Gerusalemme: ''Ant.'' 20:50–53.
 
 
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== Note ==