Taumaturgia messianica/Appendice E: differenze tra le versioni

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== Nozione di Dio e problema di Dio ==
=== Nozione di Dio e domande ultime ===
Nello sviluppo della cultura umana due questioni centrali si sono imposte alla ragione reclamandole una certa spiegazione: l'esistenza del mondo e l'emergenza dell'essere umano sul resto della realtà visibile. La riflessione filosofica e sapienziale su tali questioni ha dato origine a ciò che viene chiamato, rispettivamente, il ''problema cosmologico'' ed il ''problema antropologico''. Nel primo, la ragione si chiede se il mondo abbia una causa che lo trascenda e quale sia questa causa; nel secondo, se la vita umana abbia un significato e sia portatrice di un progetto. Questi interrogativi vengono anche chiamati ''domande ultime'', per indicare che in esse si cerca il senso e la ragione ''ultima'' delle cose. Sebbene nel corso del tempo tali domande abbiano assunto connotazioni diverse, nella loro sostanza si sono mantenute sorprendentemente invariate (esempi in ''[[w:Gaudium et spes|Gaudium et spes]]'', 10; ''[[w:Nostra aetate|Nostra aetate]]'', 1; ''[[w:Fides et Ratio|Fides et ratio]]'', 1-4, 26-27). Questi due ''problemi'' sono legati ad un terzo, del quale rappresentano in certo modo l'accesso, e che viene indicato come il ''problema di Dio''.
 
L'analisi filologica e semantica dei termini «"Dio»" o «"divino, divinità»" non fornisce particolari indicazioni in quanto si tratta di nomi comuni, mentre nelle culture e nelle religioni vengono utilizzati principalmente e originariamente [[Il Nome di Dio nell'Ebraismo|nomi propri di Dio]]. L'etimo del greco ''Theós'' non è ben conosciuto. Vi sono deboli indizi che la parola Dio (lat. ''Deus, divinus'') derivi da una radice indoeuropea ''dyeuh'' (luce del giorno oppure cielo, come nel latino ''dies''), mentre la parola ''God'' o ''Gott'' pare collegata a ''hud'' (adorare). La nozione di Dio si incontra associata, come osservato, alla ricerca di una risposta alle domande ultime sul mondo e sull'uomo, ma non può ritenersi frutto delle manifestazioni più elevate di pensiero. Essa, infatti, non riguarda solo una conoscenza riflessa (filosofia speculativa), ma anche una conoscenza basata su esperienze esistenziali semplici (filosofia pratica, religione). In ogni caso, il riferimento a Dio e al divino è presente lungo lo sviluppo di tutta la cultura umana, facendone una costante antropologica fondamentale. Di fatto, la possibilità di un discorso filosofico o teologico su Dio rimanda sempre ad una certa precomprensione dell'idea di Dio, quasi una nozione verso la quale il pensiero umano si troverebbe naturalmente predisposto. Anche [[w:Tommaso d'Aquino|Tommaso d'Aquino]] pare alludere a questa conoscenza del tutto generale, senza però discutere la sua origine, quando espone l'itinerario filosofico delle sue celebri cinque vie, che si concludono con le affermazioni: "e questo tutti chiamano Dio": ''intelligunt'' (prima), ''nominant'' (seconda), ''dicunt'' o ''dicimus Deum'' (terza, quarta e quinta) (cfr. ''Summa theologiae'', I, q. 2, a. 3 e a. 2, ad 2<sup>um</sup>).
 
In ambito religioso-esistenziale, la nozione di Dio compare con la percezione della coscienza morale, con l'esperienza del limite e della dipendenza; in ambito filosofico, vi si accede come esercizio riflesso della ragione. Nel primo ambito essa vi cerca un appoggio concettuale per dirigersi dialogicamente ad un Essere supremo e personale, mentre nel secondo ambito, l'accesso a tale carattere presenta maggiori difficoltà. La religione si dirige verso l'idea di Dio principalmente attraverso le categorie del sacro e della trascendenza, quella di mistero (orizzonte di conoscenza e di vita superiori), attraverso la ricerca di risposte alle domande di senso e la speranza in una giustizia remuneratrice; la filosofia vi accede preferenzialmente attraverso le categorie di Assoluto, di Incondizionato, di razionalità ordinatrice, con il tentativo di mettere a tema i problemi dell'origine e del fine, dell'intero e del fondamento, e infine con la sua riflessione sulla libertà e la responsabilità ad essa collegata. Ne deriva una certa varietà di “immagini"immagini di Dio”Dio", che coesistono con molteplicità non contraddittoria, ma il cui discernimento si rende necessario al fine del dibattito con le scienze perché, in buona misura, ne ha condizionato storicamente gli esiti.
 
=== Dio, oggetto della religione, della filosofia e della Rivelazione ===
In entrambi gli ambiti, religioso e filosofico, l'idea del divino prende avvio dall'esperienza dello stupore e della meraviglia (cfr. [[w:Platone|Platone]], ''[[w:Teeteto|Teeteto]]'', 155d; [[w:Aristotele|Aristotele]], ''[[w:Metafisica (Aristotele)|Metafisica]]'', I, 2), che stimola la conoscenza filosofica ed introduce al ''mysterium tremendum et fascinans'' dell'esperienza religiosa. Ogni domanda su Dio è filosofica e religiosa al tempo stesso. Nell'accademia platonica, la ricerca filosofica della verità non era disgiunta dalla pratica religiosa della giustizia e del bene. Di fatto il pensiero religioso ha preceduto quello filosofico e lo ha nutrito continuamente con le sue categorie e le sue motivazioni. Una categoria come quella della trascendenza, ad esempio, scaturisce da un'esperienza di tipo religioso, senza la quale il pensiero filosofico non potrebbe neanche tematizzarla. Le domande ultime di cui la filosofia si occupa criticamente sono di fatto domande alle quali le religioni dell'umanità avevano cercato anch'esse di dare risposta. Il nome di Dio non è solo oggetto di speculazione teoretica, ma anche di invocazione. Esprime il luogo di un “legame”"legame" (''re-ligo'') fra l'uomo e quel fondamento che egli cerca come risposta alle sue domande esistenziali. Il tema dell'accesso all'Assoluto coinvolge pertanto tutte le dimensioni della persona umana, non solo il suo intelletto, ma anche la sua libertà-responsabilità, e quindi investe anche il suo comportamento etico, le sue disposizioni psicologiche o morali. Un problema di Dio suscitato all'interno di una riflessione filosofica sul sapere scientifico, se colto coerentemente, dovrebbe interessare tutte quelle dimensioni.
 
Nella classicità greca la dimensione religiosa associata all'esercizio della filosofia non coincideva con quella dettata dalla religiosità popolare e si trovava spesso in conflitto con essa, sebbene ne mutuasse sovente il linguaggio. Se nel primo caso il rapporto col divino si esprimeva con un legame morale verso la ricerca della verità, nel secondo caso quel legame riguardava la sfera delle necessità esistenziali immediate, quella della vita vissuta e del sentimento. Una delle novità del cristianesimo fu quella di proporre nel Dio di Gesù Cristo un'immagine divina che avesse a che vedere sia con le ragioni della verità che con quelle della vita (cfr. Ratzinger, 1971, pp. 71-72). Una volta entrato in contatto col mondo greco-romano, il cristianesimo utilizzò come punto di partenza della propria predicazione l'accesso al divino tematizzato dalla filosofia e non il politeismo della religiosità popolare, riconoscendovi quelle garanzie di universalità e quel riferimento ad un cosmo sotto gli occhi di tutti (cfr. {{passo biblico2|At |14,:8-18; At 17,:22-31}}), ritenuti necessari per un adeguato appello alla ragione.
 
Come la filosofia e la religione, anche la teologia — che nell'originaria accezione platonica indicava il discorso razionale su Dio e sul divino — ha un proprio discorso su Dio. Essa utilizza come fonte specifica un contenuto assolutamente unico, quello ricevuto da una comunicazione personale di Dio all'uomo. Nella tradizione giudeo-cristiana, questa comunicazione ha la forma di una Rivelazione storica e diviene fonte di categorie religiose e filosofiche inedite. Essa è caratterizzata, fin dalla creazione, dall'economia di una parola pronunciata da Dio e rivolta all'uomo. Si manifesta inizialmente come una rivelazione attraverso una parola cosmica (cfr. {{passo biblico2|Gen |1,:3.6.9}}; {{passo biblico2|Sal |33,:6.9}}); poi attraverso una parola di alleanza offerta ad un popolo eletto (cfr. {{passo biblico2|Dt |4,:7-40}}), la cui memoria storica verrà affidata al ministero profetico; poi, finalmente, grazie all'irrompere nella storia del Verbo stesso fatto uomo, cioè con l'incarnazione del Figlio di Dio. Sebbene ne riferiremo più estesamente in chiusura (vedi ''infra'', IVSez. 1.4), occorre già segnalare che il modo con cui la Rivelazione, e quindi la teologia, parlano di Dio presuppone la nozione di Dio cui l'uomo ha accesso attraverso l'esperienza religiosa ed attraverso la riflessione filosofica (cfr. ''[[w:Fides et Ratio|Fides et ratio]]'', 36, 43, 73, 77). Diversamente, l'intelligenza della parola rivelata ne verrebbe irrimediabilmente sfuocata. In termini più generali, '''la rivelazione storica del Dio di Israele giunta a compimento in Gesù Cristo''', presuppone una conoscibilità di Dio (spontanea o riflessa) a partire dalla natura, perché la parola storica dell'alleanza e della salvezza presuppone una parola cosmica, o almeno si comprende in relazione ad essa.
 
=== Il pensiero filosofico di fronte all'Assoluto e le vie per una conoscenza naturale di Dio ===
Partendo dalle riflessioni suscitate dai problemi cosmologico e antropologico, il pensiero filosofico ha formulato lungo la storia alcune argomentazioni note come “dimostrazioni"dimostrazioni dell'esistenza di Dio”Dio". Quelle che interessano l'ambito cosmologico muovono generalmente dalla necessità di fondare catene causali (origine del moto, passaggio dalla potenza all'atto, ecc.) per le quali si vuole evitare un ''regressum ad infinitum'', oppure dalla ricerca di una soluzione al problema della contingenza (cercare un fondamento necessario a ciò che non lo è) o, infine, dalla necessità di spiegare l'origine dell'ordine e del finalismo osservati in natura. Quelle di ambito antropologico muovono dalla percezione della coscienza e della libertà individuali, che sottintendono imperativi morali di cui si cerca un'origine fuori dell'uomo, oppure dall'esperienza dell'autotrascendenza umana, che confrontata con gli altri esseri viventi reclama una spiegazione, o anche dalla ricerca di un garante morale per le proprie esigenze di giustizia e di verità o, infine, dal tentativo di non soccombere allo scandalo del male mediante il ricorso ad una logica superiore capace di darne ragione. Non essendo questa la sede per sviluppare o valutare criticamente queste o altre prove (riepiloghi e trattazioni in Alfaro, 1981; Gonzalez, 1988; Fabro, 1989) vogliamo qui solo accennare alcune suggestioni in rapporto al pensiero scientifico.
 
Uno dei motivi per cui la razionalità scientifica ha manifestato una certa perplessità nei loro confronti, causando spesso malintesi nei rapporti con la filosofia, riguarda l'utilizzo del termine «"dimostrazione»", che le scienze riservano a prove di carattere logico-formale collegate a fatti sperimentali. In realtà si è sempre trattato di “vie”"vie", “argomenti”"argomenti" o “mostrazioni”"mostrazioni" non assimilabili alle dimostrazioni delle scienze esatte, sia per il ricorso a cammini di astrazione filosofica che richiedono di elevarsi verso una conoscenza che trascenda l'ordine del dato empirico, sia, soprattutto, per l'oggetto stesso, Dio appunto, che si incontrerebbe al termine dell'argomentazione. Non cogliere il passaggio che quasi tutte queste “vie”"vie" richiedono dal dato di esperienza (solitamente effetti causali) ad un fondamento che trascende l'esperienza, conduce spesso a travisarne il senso. [[w:Immanuel Kant|Kant]], che confinava la certezza della ''conoscenza'' al solo ambito della ragion pura, ritenne non si potesse concludere, a partire dall'esperienza, l'esistenza di qualcosa che la trascendeva.
 
Ad esempio, sarebbe erroneo interpretare la prima delle cinque vie proposte da Tommaso d'Aquino (cfr. ''Summa theologiaeTheologiae'', I, q. 2, a. 3), che fa appello all'origine del moto come già in Aristotele (''Metafisica'', XII, 6), all'interno di categorie scientifico-sperimentali, come se si trattasse soltanto di un moto fisico: in questo caso l'origine del moto materiale coinvolgerebbe la fonte dell'energia e quindi la geometria dello spazio-tempo da cui essa ha origine, rendendo la catena causale difficilmente trattabile e poco intelligibile. Perché anche una mentalità scientifica possa cogliere come e dove avvenga il passaggio trascendente al di là della causalità sperimentale, andrebbe invece suggerito di notare come una catena di causalità efficiente confluisce prima o poi verso un interrogativo irriducibile su una causalità ''formale'', cioè verso il “perché”"perché" le proprietà dello spazio-tempo o dell'energia che vi è associata sono proprio così e non altrimenti: questo secondo tipo di causalità fonda l'ambito empirico, ma non è giustificabile all'interno di esso.
 
La terza via suggerita da Tommaso d'Aquino, quella che prende le mosse dalla contingenza, richiede anch'essa un trascendimento; ma in questo caso, conduce a chiedersi non già “perché"perché le cose sono in questo modo e non in un altro”altro" (interrogativo sulla causalità formale), bensì semplicemente “perché"perché, pur potendo non essere, le cose sono”sono" (interrogativo sulla contingenza). Il passaggio non presenta ambiguità in rapporto al pensiero scientifico, in quanto individua un ambito di riflessione che non interferisce con il piano dell'analisi empirica. La domanda sulla contingenza del mondo si ritrova di fatto in molte riflessioni di uomini di scienza (cfr. [[w:Ludwig Wittgenstein|Wittgenstein]], ''Tractatus logico-philosophicus'', 6.522 e 6.44) e viene riconosciuta significativa. [[w:Stephen Hawking|Stephen Hawking]], pur all'interno di un'impostazione non certo metafisica, si chiederà ad esempio «"chi ha infuso la vita nelle equazioni»" perché esse non solo descrivano il mondo, ma lo facciano esistere (''Dal Big Bang ai buchi neri'', Milano 19938, p. 196). La seconda via tomasiana, che propone un regresso lungo la linea della causalità efficiente, dal punto di vista dei rapporti col pensiero scientifico è assimilabile alla prima. Qualche precisazione merita invece la quinta via basata sull'osservazione dell'ordine e della finalità nel cosmo, esempio del più ampio argomento fisico-teleologico al quale lo stesso Kant, critico nei confronti di tutte le altre prove, prestava un certo rispetto. All'interno della odierna visione di un universo in continua evoluzione fisica e biologica, ove ordine e coordinamento sono il risultato del naturale sviluppo delle forme, se ne potrebbe apparentemente banalizzare l'istanza probativa. Ma il ricorso all'azione di leggi fisiche o biologiche, tanto nel loro aspetto costruttivo come in quello selettivo, può spiegare quell'ordine solo in ambito fenomenologico e descrittivo, e non può rimuovere il senso di domande che operino secondo maggiori gradi di astrazione. Ciò che sul piano dell'analisi fisica si manifesta come razionalità, coerenza numerica, effetto di un gradiente o frutto di una simmetria, o appare sul piano biologico come risultato di coordinamento funzionale o di adattabilità, sul piano filosofico può presentarsi ancora come finalità, ed in quello teologico rispondere ad una domanda sul significato ultimo e sul senso.
 
In linea più generale, un giudizio critico sulle prove cosmologiche circa l'esistenza di un Assoluto non è praticabile, per definizione, dall'interno del metodo scientifico-sperimentale. Tuttavia tali prove non appaiono contraddittorie o insensate se viste dalla prospettiva di quel metodo, perché l'esistenza di un ordine di conoscenza che oltrepassi il dato empirico, per analogia, astrazione o trascendenza, è riconosciuta compatibile con l'analisi delle scienze (vedi ''infra'', IIISez. 1.3.1). Per quanto riguarda le prove di tipo antropologico, esse non suscitano speciale perplessità nell'ambito delle scienze naturali. Si potrebbe ricordare in proposito ancora un'affermazione di Wittgenstein, secondo la quale «"noi sentiamo che anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati»" (''Tractatus logico-philosophicus'', 6.52). Una critica alla sensatezza del problema antropologico, e al suo corrispondente accesso a Dio, sarebbe possibile solo all'interno di una visione filosofica riduzionista, ove tutte le manifestazioni della persona umana aperte alla trascendenza, dalla libertà alla coscienza, dalla richiesta di senso ultimo al disagio di fronte al male morale, vengano non già descritte (cosa ovvia), ma ridotte (cosa assai meno ovvia), all'ambito fenomenologico della [[w:fisiologia|fisiologia]] o della [[w:neurobiologia|neurobiologia]]. Ma in questo caso l'operazione non sarebbe condotta dalle scienze, che invece percepiscono l'irriducibilità della esperienza mentale (''mind'') alla fisiologia del corpo (''body''), o almeno colgono la questione come un problema aperto, bensì da una filosofia che neghi la natura trascendente dell'essere umano, situandosi così in un itinerario di esito nichilista; ne verrebbe perciò richiesto un confronto critico con altre prospettive filosofiche, ma non con le scienze.
 
L'utilizzo di vie per una conoscenza naturale di Dio non è un'operazione filosofica volta a determinare la natura o l'essenza dell'Assoluto. Il migliore pensiero filosofico si pone nei confronti dell'Assoluto con l'atteggiamento dell'umiltà e dell'ascolto, proprio di ogni percezione del mistero. Conoscere cosa o chi sia Dio resta per la filosofia un problema necessario ma insolubile. Se si desidera comprendere l'Assoluto si confina quasi sempre l'idea di Dio all'interno di canoni o pre-giudizi umani. Se ne rintracciano tentativi nei presocratici, che identificavano il principio divino di tutto ciò che esiste con l'acqua, l'aria, i quattro elementi o i numeri. Con [[w:Anassagora|Anassagora]], ma soprattutto con Platone e quindi con [[w:Aristotele|Aristotele]], si cerca di concettualizzarlo come intelligenza, sommo bene e suprema vita spirituale. Nei sistemi filosofici della modernità incontreremo la Sostanza assoluta di [[Baruch Spinoza]] o lo Spirito assoluto di [[w:Georg Wilhelm Friedrich Hegel|Hegel]]. Qualcosa del genere avviene anche quando si vuole negare Dio: le filosofie che non restano aperte alla novità del reale e alla possibilità del mistero, terminano con l'introdurre o concettualizzare altri assoluti, come il “caso”"caso", la “materia”"materia", il “nulla”"nulla", la “vita”"vita" o la “morte”"morte". La filosofia cede allora il passo all'ideologia, alla tentazione di porre un'idea umana alla sommità delle ragioni del proprio capire e del proprio vivere. Compito della vera filosofia è distinguere l'autentico mistero da quelli che non sono tali. Nel suo “discorso"discorso su Dio”Dio", la teologia cristiana ha mantenuto uno speciale rapporto con la metafisica, nelle sue prospettive sia platonica che aristotelica; il suo oggetto proprio, l'ente in quanto ente e le cause ultime dell'essere, le consente di restare aperta al reale senza determinare l'Essere di Dio, ma solo indicandolo. Nel loro incontro con la cultura greca, i primi autori cristiani recuperarono i tentativi della migliore filosofia e li seppero leggere come “attributi”"attributi" dell'Essere di Dio, senza per questo esaurirne l'immagine trascendente, né dissolvere il mistero: «
{{q|Se vogliamo designare Dio e lo facciamo impropriamente chiamandolo Uno, o il Bene, o l'Intelletto, o l'Essere stesso, o Padre, o Dio, o Demiurgo, o Signore, non lo facciamo come proferendo il suo nome, ma in mancanza di meglio prendiamo come appoggio queste designazioni [...]. Ogni singolo termine non può significare Dio, ma tutti nel loro complesso sono indicativi della potenza dell'Onnipotente».|[[w:Clemente (di Alessandria|Clemente di Alessandria]], ''[[w:Stromateis|Stromata]]'', V, 12, 82).}}
 
Considerata nei suoi rapporti con la fede, la conoscenza naturale di Dio aiuta la ragione a capire di Chi o di cosa la Rivelazione cristiana stia parlando quando parla di Dio, ma resta insufficiente, da sola, a generare l'opzione della fede, che è opzione nella libertà dell'amore, opzione verso l'essere personale di Dio. Tale opzione può realizzarsi solo contestualmente alle modalità con cui si accoglie la Rivelazione come parola personale di Dio, riconoscendola significativa alla luce della ragione e della propria esperienza esistenziale. Si tratta di un'insufficienza costitutiva, incompleta anche per un sapere credente: siamo di fronte ad una conoscenza di Dio necessaria ma insufficiente.
 
== La domanda su Dio nel contesto delle scienze naturali ==
=== Modalità e contesti dei riferimenti a Dio nella scienza contemporanea ===