Taumaturgia messianica/Appendice C: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
mNessun oggetto della modifica
Riga 14:
Astraendo per un momento da una o più filosofie del ''Logos'', il modo con cui il pensiero filosofico dell'antichità parlava di Dio o del divino si poggiava su un'acquisizione speculativa irrinunciabile, quella dell'universalità. La troviamo ben rappresentata, ad esempio, nel noto riferimento di Platone ad un "Fattore e Padre di tutto" (''[[w:Timeo (dialogo)|Timeo]]'', 28c). Non si può parlare di Dio se non in termini universali e lo si deve fare con un itinerario intellettuale il quale, privilegiando a volte un cammino deduttivo e a volte uno induttivo, confluisca necessariamente nel comune tentativo di "dare ragione del cosmo". Anche dove pare comparire una moltiplicazione di princìpi, essa rispetta sempre una logica globale, una filosofia dell'intero. L'appello al ''Logos'' non è altro che la prova di questo "voler dare ragione (''ratio'') del tutto", cercando prevalentemente le cause dell'intelligibilità e dell'ordine.
 
Tale esigenza di universalità è ugualmente rintracciabile in un discorso su Dio che proceda lungo un itinerario metafisico, che ricerchi cioè anche le cause dell'essere delle cose, non solo quelle del loro ordine. A partire da Platone ed Aristotele — sviluppo originale di una tradizione di pensiero già presente in [[w:Parmenide|Parmenide]] ed [[w:Anassagora|Anassagora]] — la filosofia greca si era diretta, nella sua ricerca delle cause prime e fondanti dell'essere, verso un'idea del divino sempre più spirituale e più alta. Con [[w:Socrate|Socrate]] e Platone è la filosofia ad affermare la speranza di una vita ove si compirà la giustizia negata nella vita presente, fondata sull'idea di una divinità giusta e rimuneratrice, in opposizione alla volubilità ed immoralità delle divinità della mitologia popolare; così come è ancora la riflessione filosofica a suggerire la ragionevolezza dell'accesso ad una verità stabile ed universale, in polemica contro il relativismo e l'opportunismo politico dei sofisti. Il linguaggio su Dio e sull'Assoluto non è nei filosofi dell'antichità certamente univoco, e resta in buona parte di difficile interpretazione, come testimoniato ad esempio dalla presenza di riferimenti alla pluralità di dèi o dal fatto che si preferisca l'aggettivo sostantivato "il divino" (''tò theîon'') al sostantivo "Dio" (''o Theòs''). Ciononostante, è fuori dubbio che Platone si dirige verso una concezione ineffabile ed apofatica dell'Assoluto, colto come l'Uno ed il Bene sommo, capace di assumere connotazioni religiose, come religiosa era da lui vista l'attività della filosofia nel suo insieme. Il pensiero di Aristotele, sebbene manifesti una dimensione meno religiosa e più razionale, si dirige in modo ancor più chiaro verso una sorta di monoteismo filosofico ove, come nel noto Libro XII della [[w:Metafisica (Aristotele)|Metafisica]], l'Assoluto viene colto come pensiero puro, come sostanza e vita supreme. Come vedremo più avanti (cfr. ''[[Modifica di Taumaturgia messianica/Appendice C#L'opzione del cristianesimo per il Logos e sue conseguenze culturali|infra]]''), sarà questo l'ambito linguistico e concettuale sul ''Logos'' e sull'Assoluto, che il messaggio cristiano sceglierà come punto di appoggio per il suo lógos su Dio.
 
=== L'originalità del ''Logos'' cristiano ===