Indagine Post Mortem/Capitolo 3: differenze tra le versioni

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Una "[[w:visione (religione)|visione]]" può essere veritiera o non-veritiera. Una visione veritiera è definita come l'avere un'esperienza di percezione di un'entità esterna in presenza di una relazione causale esterna per cui quell'entità sta causando tale esperienza di percezione, senza utilizzare i normali processi di [[w:percezione|percezione sensoriale]] (Copan & Tacelli curr. 2000 p. 197). Questa è un'ipotesi di visione soprannaturale, discussa nel Capitolo 7. Una visione non-veritiera è definita come l'avere un'esperienza di percezione di un'entità esterna in assenza di una relazione causale esterna per cui quell'entità sta causando tale esperienza di percezione. Esempi sarebbero le allucinazioni e le illusioni.
 
Craig (1989, pp. 68-69) sostiene che gli autori del Nuovo Testamento si riferiscono costantemente alle apparizioni della risurrezione come a un'apparizione extramentale nel mondo reale e oggettivo. Distinguono questa interpretazione di "apparizione di resurrezionerisurrezione" da quella di "visione", un termine a cui si riferiscono per fenomeno mentale soggettivo. Ad esempio, il commento di Luca secondo cui Pietro "non si era ancora accorto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell'angelo: credeva infatti di avere una visione" ({{passo biblico2|Atti|12:9}}) illustra questa comprensione della visione come di natura soggettiva (Wiebe 1998, p. 146). Riguardo ad {{passo biblico2|Atti|26:19}}, che si riferisce all'esperienza di Paolo sulla via di Damasco come "visione celeste" piuttosto che come apparizione della risurrezione, Craig risponde che ciò è dovuto al fatto che l'esperienza di Paolo implicava elementi soggettivi, tali che gli altri suoi compagni non percepirono l'apparizione di Gesù (Craig 1989, p. 75)<ref>Per questo motivo, alcuni studiosi, ad esempio Keim, Grass, Fuller e Pannenberg, avrebbero usato la parola "visioni" per etichettare le apparizioni della resurrezionerisurrezione di Gesù. Va notato che mentre Pannenberg (1968, pp. 88-106) usa la parola "visione" per le esperienze di Paolo, sostiene che ha una realtà extramentale e non è immaginaria; inoltre, contrariamente a Keim e altri, Pannenberg sostiene la tomba vuota e la risurrezione corporea di Gesù.</ref> e che solo lui si convertì quel giorno (Chilton 2019, p. 83). Tuttavia, l'esperienza è stata descritta in Atti come coinvolgente anche eventi extramentali; per esempio, anche se i suoi compagni non percepirono l'apparizione di Gesù, furono però raffigurati mentre vedevano un'apparizione della luce e di conseguenza caddero a terra ({{passo biblico2|Atti|26:13}}). Pertanto, l'esperienza di Paolo può anche essere considerata come un'apparizione della resurrezionerisurrezione, come affermano altre parti del Nuovo Testamento (cfr. ulteriormente la Sezione 1.6).
 
Dicendo che Gesù apparve agli apostoli "per un periodo di quaranta giorni" ({{passo biblico2|Atti|1:3}}), Luca probabilmente intende distinguere le apparizioni della risurrezione dalle visioni soggettive registrate in seguito (ad esempio quella di Stefano in {{passo biblico2|Atti|7:56}} e Anania in {{passo biblico|Atti|9:10}}). Secondo i resoconti neotestamentari, solo Paolo vide un'apparizione della risurrezione dopo quel periodo di 40 giorni. Paolo usa la frase "come a un aborto" in {{passo biblico2|1Corinzi|15:8}}, il che implica che deve esserci stata una cessazione delle apparizioni della risurrezione, e l'apparizione a Paolo era l'eccezione (Allison 2005a, p. 260). Paolo restringe inoltre il periodo delle apparizioni della risurrezione con la frase "ultimo di tutti" ({{passo biblico2|1Corinzi|15:8}}).
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Riguardo a Paolo, Habermas osserva che è chiaro dalla sua stessa testimonianza in Galati 1:13-14 e Filippesi 3:4-6 che non era né colpevole né timoroso di perseguitare i cristiani prima di diventare lui stesso un cristiano. Piuttosto, ne era orgoglioso, essendo motivato dallo zelo religioso senza alcun rimorso nei suoi sforzi di perseguitare i cristiani. Altri suggerimenti che Paolo avesse comorbilità fisiche o psicologiche o predisposizioni alle allucinazioni sono senza prove positive (Bergeron e Habermas 2015). Anche se Paolo fosse stato affetto da condizioni fisiche come disidratazione e affaticamento o da una sottostante personalità "schizotipico felice", questo non spiegherebbe perché abbia allucinato un Gesù risorto piuttosto che qualcos'altro. Lüdemann (2004, p. 172) propone che Paolo avesse motivazioni inconsce per assumere una posizione elevata nella leadership dei primi cristiani, il che provocò le sue allucinazioni su Gesù. Bergeron & Habermas (2015) obiettano che non vi è alcun documento che lo suggerisca e osservano che, data la persecuzione dei primi cristiani, "le posizioni nella leadership cristiana del primo secolo non sarebbero di certo state pensate come mezzi per far avanzare la propria carriera religiosa o la propria posizione sociale."
 
In secondo luogo, è vero che il senso di colpa, il lutto, le pressioni e le ansie, l'entusiasmo religioso, l'eccitazione per i resoconti iniziali di tombe vuote e avvistamenti vari, "l'influenza dello Spirito Santo" (Vermes 2008, pp. 150-151) e così via, potrebbero essere stati presenti in vari gradi tra alcuni membri di ciascun gruppo. Tuttavia, allucinazioni che coinvolgano tutti i membri sono ancora improbabili, data l'evidenza dei discepoli che dubitano della risurrezione, le difficoltà di accettare e proclamare un Messia crocifisso, i rischi di persecuzione, la loro riverente paura di essere giudicati da YHWH per aver agito come falsi testimoni e lo scetticismo popolare sulla resurrezionerisurrezione corporea (su queste considerazioni si veda il Capitolo 2). È molto più probabile che, data la possibilità dei loro diversi stati mentali, qualcosa di extramentale e indipendente dai loro stati mentali abbia rimosso tutti i dubbi residui da tutti loro, in modo tale che centinaia di persone fossero disposte a servire coraggiosamente come testimoni oculari nel contesto di una spaventosa persecuzione, ed essere disposti a soffrire la vergogna e persino la morte di conseguenza.
 
Gli scettici potrebbero obiettare che secondo Luca i discepoli dissero: "Davvero il Signore è risorto" dopo l'apparizione a Pietro e prima dell'apparizione a loro come gruppo ({{passo biblico2|Luca|24:34}}), e questo suggerisce la fede nella risurrezione dopo una prima segnalazione. In risposta (assumendo la storicità di questo passo per amor di argomentazione con l'obiettore), mentre questo testo può essere inteso ad implicare la presenza di fede tra i membri del gruppo, non implica che tutti i dubbi persistenti fossero stati cancellati da tutti i membri nel gruppo dopo un primo rapporto. La presenza di dubbi persistenti è indicata dal contesto, che afferma che quando Gesù apparve successivamente, i dubbi erano ancora presenti nei loro cuori ({{passo biblico2|Luca|24:38,41}}).
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== Necessità di prove "solide" ==
Oltre allo scetticismo generale sulle persone risorte dai morti, Wright sottolinea che le persone a quel tempo "sapevano di allucinazioni, fantasmi e visioni. La letteratura antica, sia ebraica che pagana, è piena di queste cose. Risale a Omero; è in Virgilio, è dappertutto» (Wright 2007, pp. 210-211, cfr. ad es. [[w:Origene|Origene]], ''[[:en:w:Contra Celsum|Contra Celsum]]'' 2.60). Wright (2008, p. 58) spiega:
{{q|If the disciples simply saw, or thought they saw, someone they took to be Jesus, that would not by itself have generated the stories we have. Everyone in the ancient world took it for granted that people sometimes had strange experiences involving encounters with the dead, particularly the recently dead. They knew at least as much as we do about such visions, about ghosts and dreams—and the fact that such things often occurred within the context of bereavement or grief. They had language for this, and it wasn’t resurrection.}}
 
Mentre Renan aveva suggerito che "La piccola società cristiana... resuscitò Gesù nei loro cuori per l'amore intenso che gli avevano mostrato" (Renan 1869, p. 45; cfr. anche Renan 1864, p. 296), Wright (2008, p. 62) nota:
{{q|The earliest Christians knew that lots of people have visions of someone they love who has just died... and they had language for it; they would say, ‘It’s his angel’ or ‘It’s his spirit’ or ‘his ghost.’ They wouldn’t say, ‘He’s been raised from the dead.’}}
In risposta all'ipotesi intramentale di Lüdemann e al suggerimento di Sawicki (1994) che dopo la morte di Gesù i suoi seguaci potessero confortarsi a vicenda con il pensiero che la ''[[w:Halakhah|halakhah]]'' di Gesù gli sarebbe sopravvissuta, Bryan (2011, pp. 162-164) sostiene che né nell'antichità né nel presente sono tali visioni o pensieri normalmente considerati come prove di risurrezione. Anzi:
{{q|They are taken to be at worst (I suppose) hallucinations, and at best (as I have taken them to be) genuine communications of comfort about the departed from beyond the grave. But in neither case are they considered to be declarations that the departed one has risen from the dead. That, however, is what the texts claim about Jesus. That is what Peter and Paul actually say. Why do they do that? Lüdemann’s hypothesis leaves that question unanswered. Hence, it does not explain what Lüdemann himself says needs to be explained.|''ibid.'', p. 164}}
 
Bryan (2011) continua:
{{q|If the experience of the first Christians was the kind of experience that Bultmann, Borg, Sawicki, and Crossan suggest—visionary and internal, simply the conversion of their hearts to God’s truth and the real meaning of Jesus life and death—then why on earth did they not say so? The language to describe such experiences was clearly available, so why did the first Christians not use it? Why did they choose instead to use the language of resurrection, words such as ''egeirō'' and ''anistēmi'', words which, as we have noted, were normally used in quite different connections, and whose use here was therefore inviting misunderstanding of experiences that would, in fact, have been perfectly acceptable to many in the ancient world who found ‘resurrection’ ridiculous?|''ibid.'', p. 169}}
Mentre è stato suggerito (es. Marcus 2001, p. 397) che l'uso del linguaggio della risurrezione rappresenta una scelta deliberata per sfruttare un termine con uno sfondo apocalittico (cfr. Isaia 26:19; Ezechiele 37; Daniele 12:2), i discepoli avrebbero comunque avuto bisogno di prove abbastanza "solide" per convincere se stessi e convincere il loro pubblico che ciò che avevano visto era un Gesù risorto fisicamente e non un'allucinazione, un fantasma o una visione, ed essere d'accordo tra loro che tale era il caso. Dato ciò, e data la probabilità che gli apostoli fossero davvero molto scettici sulla risurrezione di Gesù (Matteo 28:17, Luca 24:37-38, cfr. il Capitolo 2), alcuni avvistamenti vaghi o transitori di Gesù o esperienze "soggettive" individuali che non andavano d'accordo tra loro, non avrebbero portato a una convinzione ampiamente diffusa tra i primi cristiani che Gesù fosse risorto fisicamente. (È interessante notare che il ''motif'' che ci fossero dubbi tra gli apostoli anche dopo aver visto "Gesù" ha più attestazioni in {{passo biblico2|Matteo|28:17}} e {{passo biblico2|Luca|24:37-38}}). Ciò che sarebbe stato richiesto erano una sorta di esperienze potenti, multisensoriali e ripetute di "Gesù" che li convincessero e fornissero loro il coraggio di proclamare la risurrezione di fronte alla potente opposizione che aveva crocifisso il loro leader.
 
Tali esperienze della fisicità del corpo risorto di Gesù sono infatti molte volte attestate nei documenti del I secolo (Luca 24:30-31, Luca 24:36-43, Atti 1:4, 10:41, Giovanni 20:20, 27, 21:12-13, [[w:Lettera di Ignazio agli Smirnesi|Ignazio Smirn.]] 3:3). Nonostante la diversità dei dettagli delle narrazioni sulla risurrezione nei Vangeli, ci sono elementi comuni che sono facilmente distinguibili nelle tradizioni delle [[w:apparizioni di Gesù|apparizioni]] che abbracciano una parte considerevole della loro diversità. Uno di questi è un'apparizione che implica un pasto (Dunn 2003, pp. 858-860). La rappresentazione di Gesù che è coinvolto in pasti con effetti causali lasciati indietro e testimoniati da due o più discepoli è attestata in Luca 24:30-31, 35 (effetto causale rimasto: il pane spezzato, testimoniato da due discepoli), Luca 24:39-43 (il pesce mangiato, testimoniato dagli "Undici" e quelli con loro), Atti 1:4, 10:41 e [[w:Lettera di Ignazio agli Smirnesi|Ignazio]] 3:311 (il cibo e il liquido mangiato e bevuto, testimoniato da un gruppo di discepoli), e Giovanni 21:12-13 (il pane e il pesce dati, testimoniato da sette discepoli). Similmente, la rappresentazione di "Gesù" che mostra ai discepoli le sue mani ha molteplici attestazioni (Luca 24:39-40,12 Giovanni 20:20,27). La [[w:Lettera di Ignazio agli Smirnesi|Lettera di Ignazio agli Smirnesi]] 3.1-2 afferma che il motivo per cui gli apostoli erano disposti a morire per la loro fede è che avevano toccato fisicamente Gesù risorto:
{{q|Sono convinto e credo che dopo la risurrezione egli era nella carne. 2. Quando andò da quelli che erano intorno a Pietro disse: "Prendete, toccatemi e vedete che non sono un demone senza corpo". E subito lo toccarono e credettero, al contatto della sua carne e del suo sangue. Per questo disprezzarono la morte e ne furono superiori. Dopo la risurrezione mangiò e bevve con loro come nella carne, sebbene spiritualmente unito al Padre.|[http://www.clerus.org/clerus/dati/1999-03/25-2/SmirnesIgnazoi.rtf.html ''Ignazio III'']}}
 
 
 
 
 
 
== Conclusione ==
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[[Categoria:Indagine Post Mortem|Capitolo 3]]