Storia della letteratura italiana/Italo Svevo: differenze tra le versioni

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{{storia della letteratura italiana|sezione=7}}
 
Trieste all'inizio del Novecento è ancora territorio dell'impero austriaco. La città non ha una propria tradizione come centro culturale, ma è vivacizzata da una borghesia molto attiva e dall'intreccio di popoli di diversa provenienza e cultura. Prende piede anche qui la '''cultura mitteleuropea''', una cultura cosmopolita e problematica, che è alla base della fioritura letteraria e artistica che caratterizza l'ultima fase dell'impero asburgico. È in questo clima che nasce e si forma Italo Svevo, pseudonimo di Ettore Schmitz, uno degli autori più singolari della letteratura italiana. Svevo non è infatti un intellettuale professionista, ma un borghese con la passione per la scrittura, lontano dalle tendenze che all'epoca dominavano la cultura italiana e aperto alle esperienze provenienti dall'Europa, e in particolare dai paesi di lingua tedesca. La stessa scelta dello pseudonimo "Italo Svevo" è indicativa della posizione intermedia assunta dallo scrittore, a cavallo tra la cultura italiana e quella germanica.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=940 }}</ref>
 
== La vita ==
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{{vedi source|Una vita}}
[[File:Triest 1885.jpg|thumb|Veduta di Trieste negli anni ottanta dell'Ottocento]]
Svevo comincia a scrivere il suo primo romanzo nel 1888. La pubblicazione avviene, a spese dell'autore, nel 1892 presso un piccolo editore triestino, Vram, dopo che Treves aveva rifiutato il manoscritto. Il titolo originale doveva essere ''Un inetto'', ma è stato poi cambiato in ''Una vita'' su richiesta dell'editore.<ref>{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Svevo e Pirandello | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | p=5 }}</ref><ref name="Ferroni943">{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=943 }}</ref>
 
{{trama libro|testo=L'opera si presenta come il racconto di un vinto, cioè di un uomo sconfitto dalla vita. Alfonso Nitti, trasferitosi dalla campagna a Trieste, trova un impiego in banca, ma non riesce a stabilire contatti umani e vede le sue ambizioni economiche e letterarie frustrate. Vive una relazione con Annetta Maller, figlia del proprietario della banca. Sposando Annetta, potrebbe veder realizzate le proprie ambizioni, ma Alfonso, preso dall'inettitudine, fugge al paese natale, dove trova la madre gravemente ammalata. In seguito alla morte della madre è convinto di aver trovato finalmente il suo ''modus vivendi'', che consiste nel dominare le passioni. In realtà il protagonista è ben presto ripreso da queste ultime. Ritornato a Trieste, rivede Annetta e le scrive una lettera. Questa però è promessa sposa a Macario, giovane appassionato di letteratura conosciuto in casa Maller. Annetta non risponderà alla lettera. Nel frattempo il fratello di Annetta sfida a duello Alfonso. Il protagonista preferisce suicidarsi con una pistola, conscio del proprio fallimento.}}
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Come già Alfonso Nitti, anche Emilio Brentani è un inetto, e la sua condizione è aggravata da un precoce senso di senilità. Ogni sua azione sembra priva di vitalità. Mantiene un atteggiamento di distacco tra sé e gli altri che gli impedisce una piena conoscenza della realtà, relegandolo in una rete di autoinganni. È perennemente in attesa di occasioni che non si realizzano. Si rifà a falsi modelli ideali in cui egli stesso non crede e che finiscono per essergli solo di intralcio. Non sa vivere il presente e si sente continuamente minacciato, in altre parole: non vive ma si guarda vivere. Sono questi i caratteri tipici che si possono ritrovare in vari modelli del [[../Decadentismo|decadentismo]], ma allo stesso tempo descrivono anche la condizione dell'uomo moderno, perso dietro a vane illusioni e incapace di cogliere il vero volto della natura.
 
Emilio e gli altri tre personaggi del romanzo sono inseriti in un intreccio, legati tra loro da raccordi e sottili simmetrie. Da un lato c'è l'amico Stefano Belli, generoso ma anche spregiudicato, che rappresenta per Emilio una figura parterna e un modello di "salute". Dall'altro ci sono le due donne, Angiolina e Amalia, che non si incontreranno mai e che rappresentano due figure opposte. Amalia è una ragazza triste destinata alla rinuncia e all'inerzia sentimentale. Viceversa Angiolina è la donna del popolo, rappresenta la vitalità più aperta di cui Emilio vorrebbe partecipare. Nell'amata il protagonista vede infatti la risposta ai suoi desideri e ai suoi vaghi ideali. Tuttavia vive il rapporto con la donna solo attraverso degli intermediari, e sente cresce la passione tanto più aumenta il distacco e l'estraneità tra di loro. Ogni tradimento dell'amata provoca in Emilio nuove illusioni. Alla fine del romanzo, dopo la morte di Amalia, Angiolina viene infine trasfigurata in una immagine simbolica. Emilio guarda a lei come a un segno a cui è legata indissolubilmente la sua vita, allo stesso modo in cui un vecchio vede la giovinezza lontana.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=944 }}</ref>
 
== Gli anni del silenzio ==
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{{vedi source|Opera:La coscienza di Zeno}}
[[File:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930 (cover).jpg|thumb|''La coscienza di Zeno'' in un'edizione del 1930]]
Nel febbraio 1919 Svevo inizia a scrivere il suo terzo romanzo, ''La coscienza di Zeno'', che pubblicherà nel 1923 presso l'editore Cappelli di Bologna. Anche questa nuova prova letteraria, all'inizio, è accolta dall'indifferenza della critica. James Joyce, che legge il romanzo e lo apprezza, consiglia all'amico di inviarlo a certi critici francesi che nel 1926 dedicheranno alla ''Coscienza di Zeno'' e agli altri due romanzi la maggior parte del fascicolo della rivista ''Le navire d'argent''. Ma intanto anche in Italia qualcosa si smuove e sulla rivista milanese ''L'esame'' esce, nel 1925, un intervento di [[../Eugenio Montale|Eugenio Montale]] intitolato ''Omaggio a Italo Svevo''.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=947 }}</ref>
 
=== Struttura del romanzo ===
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Zeno è teso a rispondere al richiamo del desiderio, a seguire vane promesse di felicità e bellezza. Allo stesso tempo, però, ama smascherare gli inganni che le persone attorno a lui si creano. I valori borghesi, nella sua visione, sono schermi utilizzati per dare un'apparenza di rispettabilità a pulsioni e desideri che affondano le loro radici nell'animalità dell'uomo. Zeno cerca si sottrarsi ai modelli borghesi, ma finisce sempre per ricadervi. Anche la sua coscienza è invischiata in vari autoinganni: il desiderio per Ada lo porta a sposare Augusta, e la relazione con l'amante lo riporterà dalla moglie e dalla famiglia.
 
Tuttavia, Zeno non è uno sconfitto. È consapevole che la serietà nasconde illusioni, si comporta da personaggio comico, si abbandona all'imprevedibilità della vita e mantiene il sorriso anche di fronte agli eventi più drammatici. E alla fine la sua inferiorità si risolve: va incontro a una serie di successi commerciali, che coincidono con gli anni tragici della prima guerra mondiale.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | pp=948-949 }}</ref>
 
=== La malattia come strumento di conoscenza ===
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Letteratura e malattia si intrecciano: la malattia diventa lo strumento fondamentale per conoscere il mondo. La letteratura utilizza la malattia come forza critica per indagare il mondo moderno; allo stesso tempo però, la scrittura è invenzione, e questo allontana dalla conoscenza. Un'altra contraddizione riguarda il rapporto con il tempo. ''La coscienza di Zeno'' indaga sul rapporto tra il tempo della scrittura e quello della vita, tra il presente e il passato. Zeno però si accorge che con il tempo non è possibile avere nessun rapporto lineare. Il tempo infatti si riavvolge su di sé, ma nel ripetersi si trasforma e si deforma.
 
Su tutto il romanzo domina l'incombere della guerra, che minaccia di distruggere il mondo borghese in cui vive il protagonista. Il conflitto è visto come una frattura che pone fine a un'epoca, quella in cui è vissuto il giovane Zeno. Nell'ultimo capitolo, il vecchio Zeno esibisce il distacco con cui guarda alle vicende che hanno segnato la vita precedente. Il protagonista/narratore abbandona la cura e mostra come questa sia basata sull'insincerità, mettendo addirittura in dubbio che ciò che ha raccontato sia completamente vero. Tuttavia è grazie alla guerra che Zeno giunge a guarigione: gli sconvolgimenti bellici gli hanno infatti consentito di fare cospicui affari commerciali. A questo punto il suo sguardo si amplia alla malattia che ha colpito l'intera umanità. Lo sviluppo industriale e il dominio sulle forze della natura conducono a distruzione e morte. La malattia viene proiettata nel tempo, e il romanzo si chiude con l'immagine di un futuro minaccioso in cui la Terra viene distrutta da un'esplosione e ridotta a una nebulosa.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | pp=949-950 }}</ref>
 
== Le altre opere ==