Storia della letteratura italiana/Rinascimento: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Gian BOT (discussione | contributi)
m Bot: uniformazioni ortografiche
 
Riga 18:
Gli studiosi hanno poi ampiamente dibattuto il tema del rapporto tra il Rinascimento e il Medioevo. Jacob Burckhardt sostiene la tesi della discontinuità rispetto al Medioevo, sottolineando come all'uomo medievale non era riconosciuto alcun valore se non come membro di una collettività o di un ordine, mentre solo nel Rinascimento, con la nascita delle signorie e dei principati, avrebbe preso avvio in Italia un atteggiamento più libero e individualistico da parte dell'uomo nei confronti della politica e della vita in generale.<ref>{{cita libro | Jacob | Burckhardt | La civiltà del Rinascimento in Italia | 1958 | Sansoni | Firenze }}</ref>
 
Al contrario Konrad Burdach, massimo sostenitore della continuità tra Medioevo e Rinascimento, ritiene che non vi sia nessuna rottura fra i due periodi, ma che costituiscono un'unica grande epoca. Burdach afferma che non vi fu nessuna svolta, e se proprio si vuole parlare di rinascita bisogna addirittura risalire all'anno Mille. Annota infatti che i temi alla base della Riforma luterana erano già presenti nelle eresie medioevalimedievali, e che Medioevo e Rinascimento hanno una stessa fonte in comune: il mondo classico.<ref>{{cita libro | Konrad | Burdach | Riforma, Rinascimento, umanesimo | 1935 | Sansoni | Firenze }}</ref>
 
== Le guerre in Italia ==
Riga 35:
 
== Una nuova concezione dell'uomo ==
Il Rinascimento elabora nuovi modelli con cui guardare alla realtà. Gli sconvolgimenti politici e religiosi, e la scoperta di nuovi continenti, fanno sorgere una nuova immagine dell'uomo. Non c'è ancora, però, una visione laica e razionale dell'uomo e dell'universo. Si tratta piuttosto di una concezione "naturalistica", in base alla quale c'è un rapporto organico tra gli aspetti della vita individuale, sociale e naturale.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=251 }}</ref>
 
=== Il senso della morte ===
Riga 76:
I fenomeni naturali, dirà Bernardino Telesio (Cosenza, 7 novembre 1509 – Cosenza, 2 ottobre 1588), vanno indagati e descritti non più con l'astrattezza dei princìpi logici aristotelici, ma ''iuxta propria principia'' (secondo i propri principi naturali). Nella scienza aristotelica, secondo Francesco Bacone, i filosofi sarebbero stati come ragni che tessevano da se stessi la propria tela di parole in cui si avvolgevano. La scienza rinascimentale si vuole quindi liberare dal passato ma va ancora alla ricerca, sia pure nell'ambito della naturalità, di una sostanza primigenia così com'era nei filosofi della natura presocratici. Così Telesio respinge la visione della natura aristotelica, ma nello stesso tempo ritiene che tutti gli esseri naturali abbiano a fondamento sostanziale un comune sostrato: la materia. «Le premesse per un vigoroso sapere scientifico erano così poste, anche se per lo più nuovo e vecchio continuano a coesistere e le nuove scoperte tecniche e scientifiche si mescolano con concezioni magiche ed astrologiche».<ref>{{cita libro | autore1=Ugo | autore2=Annamaria Perone | autore3=Giovanni Ferretti | autore4=Claudio Ciancio | titolo=Storia del pensiero filosofico | editore=SEI | città=Torino | anno=1975 | p=13}}</ref> Il clima scientifico culturale dominante nel secolo è molto più impregnato di magia e astrologia che non il medioevo cristiano.
 
Il sapere medioevalemedievale, se da una parte non era esente da errori e superstizioni,<ref>{{ cita libro| autore1=Giovanni Reale | autore2=Dario Antiseri | titolo=Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi | vol=1 | pp=270-273 | editore=La Scuola | città=Brescia | anno=1983 }}</ref> dall'altra era enciclopedico, armonioso, coordinato e orientato verso Dio inteso come culmine della verità, quadro che tiene assieme i vari saperi. Ragione e fede procedevano assieme. Nel Medioevo il papato e l'impero costituivano dei punti di riferimento ben saldi, e per alcuni, come per [[../Dante Alighieri|Dante]], speranza d'ordine e di legalità universale. Dopo Guglielmo di Ockham (Ockham, 1288 – Monaco di Baviera, 1347) filosofia e teologia divengono autonome e anzi si contrastano.
 
L'idea di costituire un impero universale cristiano è abbandonata; salta il quadro di riferimento religioso, la cornice che tiene assieme il mosaico del sapere e della vita. Si smarrisce il senso della stabilità culturale e politica. Le scienze diventano autonome e specialistiche, si perfezionano ma non comunicano più tra loro. Il sapere e il gusto del bello appartiene ora a un'"élite" di intellettuali che vivono alla corte del principe lontani da ogni contatto con la plebe rozza e ignorante alla quale, sostiene [[../Giordano Bruno|Bruno]], bisogna nascondere una verità che non potrà mai capire e che è rischioso elargire.
Riga 87:
Tuttavia, non mancano tendenze che si oppongono al classicismo. Per indicarle si utilizzano termini come '''anticlassicismo''' o '''antirinascimento'''. I modelli del classicismo vengono rifiutati e ci si rivolge, invece, al folklore e alle sperimentazioni linguistiche, ricorrendo al dialetto e a linguaggi marginali. Questo però non implica l'ignoranza dei classici, che vengono al contrario tenuti come punti di riferimento, spesso ironici. Tra i più rappresentativi autori dell'anticlassicismo ci sono [[../Teofilo Folengo|Teofilo Folengo]] e [[../Ruzante|Ruzante]].
 
Accanto a classicismo e anticlassicismo si può parlare anche di una '''cultura della contraddizione''', a cui si possono ricondurre scrittori come Machiavelli, Ariosto e, fuori d'Italia, Erasmo da Rotterdam (Rotterdam, 27 ottobre 1467 – Basilea, 12 luglio 1536) e François Rabelais (Chinon, 1483 o 1494 – Parigi, 9 aprile 1553). Questi autori, in genere nati prima dello scoppio delle guerre in Italia, mantengono forti legami con lo sperimentalismo letterario della fine del Quattrocento. Attraverso l'osservazione critica viene mostrata l'ambivalenza che è insita in ogni comportamento, evidenziando come sia impossibile una visione unitaria della realtà e dell'uomo.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=257 }}</ref>
 
== Nascita del teatro moderno ==
Nel Cinquecento nascono anche le prime commedie in volgare. Già a partire dagli anni settanta del Quattrocento, in molti centri culturali italiani erano sorte nuove forme di spettacolo. Erano eventi organizzati dalle corti, diffusi soprattutto a Ferrara e Mantova, e si tenevano in ambienti chiusi. Per lo più venivano rappresentati drammi di soggetto mitologico, ma venivano portati sulle scene anche classici (come Plauto e Terenzio) tradotti in volgare. I luoghi adibiti a queste rappresentazioni erano generalmente le sale dei palazzi signorili, dove poteva trovare posto il pubblico. Gli attori invece di muovevano davanti a una parete della sala che veniva opportunamente dipinta, in modo che si potessero distinguere le diverse scene. Più avanti, nel corso del secolo, prenderà forma il teatro come edificio architettonico, così come lo conosciamo oggi.
 
Al primo decennio del XVI secolo risalgono le prime commedie originali in volgare, che prendevano a modello Plauto e Terenzio. Nello sviluppo di un teatro moderno è stato molto importante il contributo dato da Ariosto e dalla corte di Ferrara. Nasceva in questo modo il teatro moderno, inteso come rappresentazione di un testo drammatico in un luogo chiuso, con uno spazio scenico in cui gli eventi avvengono in luoghi e tempi diversi rispetto al reale. Le prime opere drammatiche a essere portate sulle scene sono le commedie, per lo più ambientate in città. La violenza e l'imprevedibilità dei luoghi urbani, difficili da controllare anche per i governanti, vengono lasciate fuori dal teatro. Nelle commedie anche la città diventa un organismo ordinato, che si può serenamente contemplare.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | pp=261-262 }}</ref>
 
== Note ==